Il Concilio si realizza nei movimenti ecclesiali

Come Giovanni Paolo II ha spesso affermato il Concilio Vaticano II deve essere letto in termini di continuità, vale a dire che la riforma si attua attraverso un recupero e un rinnovamento. La Chiesa è movimento cioè movimento di Dio verso l'uomo e dell'uomo verso Dio.

Il Concilio si realizza nei movimenti ecclesiali

Quando Giovanni Paolo II era vescovo in Polonia, scrisse un libro dal titolo “Alle fonti del rinnovamento”, che si presentava come “studio sulla attuazione del Concilio Vaticano II”. All’inizio della sua riflessione così indica la prospettiva di lavoro che suggerisce a tutta la sua Chiesa: “Nel presente studio… intendiamo fissare la nostra attenzione sulla coscienza dei cristiani e su quegli atteggiamenti che essi debbono acquisire. Tali atteggiamenti, che scaturiscono da una coscienza cristiana adeguatamente formata, possono, in certo modo, essere considerati l’autentica prova dell’attuazione del concilio. In questa direzione dovrebbero orientarsi tutta l’azione pastorale, l’apostolato dei laici e, in generale, tutta l’attività della Chiesa”.

Riflettendo su queste affermazioni, ritengo che quanto egli ha affermato sia il modo più adeguato per ripensare la questione posta dal cinquantesimo anniversario dell’inizio del Concilio ecumenico Vaticano II. Come Giovanni Paolo II ha spesso affermato (e ripreso nell’ importante discorso di papa Benedetto XVI nel 2005) «il Concilio Vaticano II deve essere letto in termini di continuità, vale a dire che la riforma si attua attraverso un recupero e un rinnovamento. Infatti, mentre una parte della Chiesa, che si appellava allo spirito del Vaticano II, faceva ben poco riferimento ai documenti del Concilio (sostenendo allo stesso tempo che esso segnava una deliberata rottura con il passato della Chiesa, troppo vincolata alla tradizione), un’altra parte pensava che il Concilio fosse stato un grave errore, da dimenticare in fretta per intraprendere quella che molti chiamavano apertamente una “restaurazione cattolica”». (George Weigel, La fine e l’inizio). Accogliamo dunque l’invito pressante di Benedetto XVI a leggere i testi del Concilio ecumenico, evitando quei libri che hanno avuto, come esito, il “nascondimento” del Concilio tra i cristiani.

Sono allora convinto che i movimenti ecclesiali, definiti da Giovanni Paolo II una forma di “autorealizzazione” della Chiesa, possano essere la testimonianza della fecondità e dell’attuazione del Concilio. Diceva infatti nel 1998: «Per loro natura, i carismi sono comunicativi e fanno nascere quell’«affinità spirituale tra le persone» (cfr Chistifideles laici, 24) e quell’amicizia in Cristo che dà origine ai «movimenti». Il passaggio dal carisma originario al movimento avviene per la misteriosa attrattiva esercitata dal Fondatore su quanti si lasciano coinvolgere nella sua esperienza spirituale. In tal modo i movimenti riconosciuti ufficialmente dall’autorità ecclesiastica si propongono come forme di auto-realizzazione e riflessi dell’unica Chiesa.

La loro nascita e diffusione ha recato nella vita della Chiesa una novità inattesa, e talora persino dirompente. Ciò non ha mancato di suscitare interrogativi, disagi e tensioni; talora ha comportato presunzioni ed intemperanze da un lato, e non pochi pregiudizi e riserve dall’altro. È stato un periodo di prova per la loro fedeltà, un’occasione importante per verificare la genuinità dei loro carismi. Oggi dinanzi a voi si apre una tappa nuova: quella della maturità ecclesiale. Ciò non vuol dire che tutti i problemi siano stati risolti. È, piuttosto, una sfida. Una via da percorrere. La Chiesa si aspetta da voi frutti «maturi» di comunione e di impegno.»

Il criterio indicato da Wojtyla nel testo citato “Alle fonti del rinnovamento” suggerisce infatti che proprio la coscienza ecclesiale dei cristiani (quella coscienza che il concilio Vaticano II ha voluto suscitare ed educare) sia da ritenersi il segno che l’insegnamento dato dallo Spirito Santo alla Chiesa ha portato frutti.

Allora è necessario che i movimenti recuperino la consapevolezza della responsabilità loro affidata, ed è un lavoro enorme, perché se da un lato i movimenti sono stati il segno di una stagione luminosa e fiorente per la vita della Chiesa, dall’altro sembra che si notino dei segni di un grave affaticamento. La Chiesa è movimento - ha affermato Giovanni Paolo II - cioè movimento di Dio verso l’uomo e dell’uomo verso Dio. Questo avvenimento presente è sorgente di novità e di giudizio per cui nasce un soggetto nuovo, quello che monsignor Giussani chiamava “il protagonista della storia”. E ci confortano queste parole del supremo magistero della Chiesa: «I movimenti ecclesiali e le nuove comunità - ecco un importante giudizio di Benedetto XVI nell’incontro del 17 maggio 2008 - sono una delle novità più importanti suscitate dallo Spirito Santo nella Chiesa per l’attuazione del Concilio Vaticano II. Si diffusero proprio a ridosso dell’assise conciliare, soprattutto negli anni immediatamente successivi, in un periodo carico di entusiasmanti promesse, ma segnato anche da difficili prove. Paolo VI e Giovanni Paolo II seppero accogliere e discernere, incoraggiare e promuovere l’imprevista irruzione delle nuove realtà laicali che, in forme varie e sorprendenti, ridonavano vitalità fede e speranza a tutta la Chiesa. Già allora, infatti, rendevano testimonianza della gioia, della ragionevolezza e della bellezza di essere cristiani, mostrandosi grati di appartenere al mistero di comunione che è la Chiesa. Abbiamo assistito al risveglio di un vigoroso slancio missionario, mosso dal desiderio di comunicare a tutti la preziosa esperienza dell’incontro con Cristo, avvertita e vissuta come la sola risposta adeguata alla profonda sete di verità e di felicità del cuore umano».

C’è però un’altra considerazione da fare, e riguarda l’atteggiamento della Chiesa (sia ai suoi livelli periferici, sia in alcune parti della sua gerarchia) perché sappia imparare la lezione che gli ultimi pontefici – come appena affermato – hanno dato, indicando la ricchezza dei movimenti come una risorsa positiva per la vita della Chiesa. “Primavera della Chiesa, primavera dello spirito”. E qui non posso che ancora una volta rimandare a quella profonda intuizione che Giovanni Paolo II ha suggerito a monsignor Giussani: «Il movimento ha voluto e vuole indicare non una strada, ma la strada per la soluzione del dramma esistenziale dell’uomo. La strada è Cristo».

Don Gabriele Mangiarotti

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