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Il dilemma Sanpa e la verità su San Patrignano

La serie di Netflix ci propone le tante “verità” sulla comunità di recupero fondata da Vincenzo Muccioli. Ma non la racconta giusta


Il dilemma Sanpa e la verità su San Patrignano

 

di Emanuele Boffi, tratto da tempi.it

 

La serie di Netflix ci propone le tante “verità” sulla comunità di recupero fondata da Vincenzo Muccioli. Ma non la racconta giusta

 

L’operazione Sanpa era già chiara sfogliando Repubblica del 28 dicembre 2020. 

 

Pagina 11: pubblicità della docuserie di Netflix con riproposizione di un’immagine di un articolo della stessa Repubblica del 24 novembre 1984. Titolo del giornale di allora: “Scappano da San Patrignano ma tornano dopo poche ore”. Slogan: «Questa è la verità su San Patrignano. O almeno una delle tante. Sanpa, luci e tenebre di San Patrignano».

 

Pagina 13, stesso schema, questa volta ad apparire come immagine è un articolo di Repubblica del 7 dicembre 1984: “A San Patrignano siamo rinati”. Slogan: «Questa è la verità su San Patrignano. O almeno una delle tante. Sanpa, luci e tenebre di San Patrignano».

 

Pagina 15, immagine di un articolo di Repubblica del 13 marzo 1993 intitolato “Ascesa e caduta di un superpadre”. Slogan: «Questa è la verità su San Patrignano. O almeno una delle tante. Sanpa, luci e tenebre di San Patrignano».

 

Pagina 17, foto, strappata nel mezzo, di Vincenzo Muccioli con due ragazzi della comunità. Slogan: «Quando cerchi la verità puoi trovarne più di una. Sanpa, luci e tenebre di San Patrignano. Ora disponibile su Netflix».

 

Picchiatori, seviziatori, violenti

Quattro pagine di pubblicità per spacciarci una droga più potente dell’eroina: il dubbio. Sulla comunità di recupero più grande d’Europa la docuserie di Netflix arriva a proporci non “una” verità, ma “tante” verità. Tante quante sono le sue luci e le sue ombre, le fasi della sua esistenza e le vite che ha salvato, ma anche rovinato. Come ribadito a più riprese in tutte le dichiarazioni che i suoi curatori e la regista hanno rilasciato ai media, la serie non mira a schierarsi pro o contro San Patrignano, ma a fornirci una chiave quasi filosofica con cui affrontare la vita: mostrare come bene e male si impastino a tal punto da rendere impossibile una conclusione univoca. San Patrignano ha salvato tante vite, ma le ha anche rovinate; il suo fondatore, Vincenzo Muccioli era un sant’uomo, ma aveva anche un lato oscuro; nella comunità lavoravano tante brave persone animate da un sincero spirito solidale, ma vi si aggiravano anche picchiatori, seviziatori, violenti. Anzi, la violenza era uno dei metodi educativi usati per “tirare fuori” i tossici dal tunnel della dipendenza.

 

Il veleno nella domanda

Sanpa è una docuserie che in cinque puntate mira a lasciarci un «dilemma». Un dilemma morale (addirittura!) ribadito a più riprese: «Quanto male puoi fare per fare il bene?». Cioè: Vincenzo Muccioli poteva incatenare i suoi ragazzi per non farli scappare dalla comunità? Vincenzo Muccioli poteva dare loro qualche sberla? Vincenzo Muccioli poteva coprire i loro delitti? Sono domande che Sanpa ripropone a tambur battente come fossero interrogativi aperti, apparentemente lasciando al telespettatore la risposta. Ma è chiaro che si tratta di quesiti retorici, la cui risposta è scontata e inevitabile. Il veleno non sta nella risposta, ma nel modo in cui è posta la domanda.

 

Un brav’uomo, ma anche un mostro

La comunità si è già espressa sulla serie tv con un comunicato durissimo. Vi si dice tutto l’essenziale per smascherare il giochino di un «racconto sommario e parziale, con una narrazione che si focalizza in prevalenza sulle testimonianze di detrattori, per di più, qualcuno con trascorsi di tipo giudiziario in cause civili e penali conclusesi con sentenze favorevoli alla Comunità stessa, senza che venga evidenziata allo spettatore in modo chiaro la natura di codeste fonti». A cosa miri Sanpa è chiaro sin dalla prima puntata, ma poi è un crescendo di accuse fino al quinto episodio con continui riferimenti al «lager», all’«occultismo», alle «punizioni», alle indicazioni di «omicidio», all’Aids e omosessualità di Muccioli. Certo, in Sanpa è data la parola anche ad Andrea Muccioli, Antonio Boschini e Red Ronnie, suoi bravi difensori, ma se dopo cinque puntate il “dilemma” è posto così: “Vincenzo Muccioli era un brav’uomo, ma anche un mandante di omicidi, un violento, un frocio represso, un mostro”, secondo voi, il telespettatore che idea si farà?

 

Spacciare dubbi è come spacciare eroina

Un dilemma non esente da conseguenze, come mettono in luce nel loro comunicato i responsabili odierni di San Patrignano:

«Le spettacolarizzazioni, drammatizzazioni e semplificazioni presenti in un prodotto chiaramente costruito per scopi di intrattenimento commerciale, più che di seria ricostruzione documentaria che rispetti i canoni di oggettività per essere chiamata tale, potrebbero altresì colpire le purtroppo numerosissime persone e le loro famiglie che affrontano il grave problema della tossicodipendenza, oggi ancora emergenza nazionale. Persone alle quali San Patrignano ha sempre aperto le proprie porte e accolto gratuitamente in un programma terapeutico basato su principi e metodi molto distanti da quelli descritti nella docu-serie, come dimostrato da diversi studi indipendenti di prestigiosi atenei sia nazionali che internazionali».

 

Perché il problema vero di Sanpa è questo: non è vero che mira a mostrarci asetticamente il bene e il male, facendo parlare i suoi più accaniti fan e i suoi più acerrimi nemici, e poi ognuno tragga le sue conclusioni. Questo è solo lo schema narrativo dentro cui si inocula il veleno del “dilemma”, che è il vero scopo di Sanpa: del suo fondatore e della sua comunità non ci si può fidare. Spacciare dubbi è come spacciare eroina: distrugge vite, come hanno capito benissimo i responsabili di San Patrignano, preoccupati delle conseguenze che una simile operazione avrà sugli attuali e futuri ospiti della comunità.

 

La frase di Paolo Villaggio

Ci sono almeno ancora due cose da dire: la prima è che la docuserie sceglie cosa farci vedere della storia di San Patrignano. Di una storia quarantennale di ospitalità e recupero tossici, in cui c’è stato un omicidio e due suicidi, tre puntate su cinque sono dedicate a questi tragici eventi. Infatti, al di là delle dichiarazioni di facciata, il racconto è più incentrato sulle tenebre che sulle luci. Non che queste ultime non vi siano: ci sono immagini anche molto belle degli inizi dell’esperienza della comunità, un Vincenzo Muccioli mostrato come affettuoso e carismatico, i genitori degli ospiti di San Patrignano che sfilano in piazza in difesa del fondatore, una dichiarazione di Paolo Villaggio – il cui figlio era uno dei “salvati” della comunità – che al processo contro il fondatore disse parole molto significative: «Muccioli ha fatto quello che noi padri progressisti non abbiamo avuto il coraggio di fare». Ma ciò che nella narrazione predomina, in un climax ascendente di accuse, sono le tenebre. Le cinque puntate ruotano attorno agli scandali di San Patrignano: il suicidio di Natalia Berla, il processo delle catene, l’omicidio Maranzano, la cassetta di Walter Delogu. I testimoni sono per la maggior parte persone che, ormai da una vita, “sparano” su San Patrignano per i motivi più disparati (e qualcuno è pure stato condannato per questo).

 

Tutto pronto all’inferno per Muccioli

Lo stesso produttore della serie, Gianluca Neri, ha collaborato con Cuore, il giornale satirico della sinistra libertaria. Come lui stesso ha raccontato, l’idea gli è nata ripensando agli anni in cui frequentava la redazione allora guidata da Claudio Sabelli Fioretti, uno dei principali detrattori di Muccioli. Uno che, per farci capire, nei giorni dell’agonia del fondatore di San Patrignano titolò così il suo giornale: “Tutto pronto all’inferno per l’arrivo di Muccioli”. Occhiello: “La grande comunità sotterranea acquista un prestigioso consulente”. Sommario: “Sentenza inappellabile per il guru di San Patrignano: settemila anni al reparto macelleria del quinto girone”. Quindi: ci siamo capiti quanto sia equidistante e super partes la docuserie Sanpa?

 

 

Cosa è davvero San Patrignano

Chi guarda Sanpa vede una bella fiction noir, non un documentario. Per capire cosa è stato e cosa è oggi San Patrignano è più utile leggere un libro uscito da poche settimane di Giorgio Gandola e intitolato Tutto in un abbraccio (lo recensiremo sul prossimo numero di Tempi) dove vi si racconta la stessa vicenda della serie tv, ma sottolineando ciò che lì è celato. E cioè che nella sua storia quarantennale San Patrignano ha salvato 26 mila ragazzi, lo ha fatto senza chiedere un soldo a loro, alle loro famiglie, allo Stato. Nella maggior parte dei casi – con una percentuale del 75 per cento – li ha reinseriti nella società. Grazie a una quarantina di laboratori, ha insegnato loro un mestiere, ha ridato loro uno scopo, ha offerto loro un’alternativa alle tenebre, quelle vere, quelle della droga, non quelle create ad arte da una sinistra che da quarant’anni non riesce a liberarsi dal suo demone per Muccioli.

 

Il bene, il male, la verità

La seconda cosa da sottolineare è che dire che ci sono “tante verità” è come dire che non c’è “nessuna verità”. Se tutto è credibile allo stesso modo, niente è credibile. È una situazione paralizzante, un “dilemma”, appunto. Ma questo è un ragionamento bislacco che rivela il reale intento di chi lo propone. Mettere sui piatti della bilancia il bene e il male, facendo artatamente apparire che essi stiano in perfetto equilibrio, non è opera d’onestà intellettuale. È solo un banale stratagemma per imbrogliare il telespettatore, trattarlo come un cretino, un rimbabito così privo di senno da non sapere che è la stessa condizione umana a essere un impasto di bene e male e che solo secondo una logica manichea ogni uomo e ogni storia umana non è questo fascio di contraddizioni. Ma che esista questa ambiguità esistenziale non significa che non esista una verità. La verità su San Patrignano esiste e può essere raccontata: perché messi sui due piatti della bilancia tutto il male e tutto il bene si vedrà che è quest’ultimo a pesare di più. 

 

Chi guarderà solo la serie di Netflix rimarrà col suo dilemma. Ma chi vedrà la serie di Netflix e leggerà il libro di Gandola arriverà a superare il dubbio e a formulare un giudizio più chiaro su San Patrignano: alle nostre vite piene di errori, contraddizioni e miserie, alle nostre esistenze fatte di luce e tenebre non è negata la possibilità di fare ed essere un bene. In fondo, questo era proprio ciò che diceva Muccioli ai suoi ragazzi quando, nell’indifferenza di tutti, andava a raccoglierli agli angoli delle strade. Lui, così, ne ha salvati 26 mila.

 

 

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