Ogni minore è titolare di diritti inalienabili che dobbiamo riconoscere, custodire e promuovere. Come educatori siamo chiamati a costruire giustizia a partire dai più piccoli. Oggi parliamo del diritto di stare bene
Jochen van Wylick
«Il benessere del corpo e del cuore non è un lusso: è condizione per vivere pienamente la vita».
Salute non significa solo “assenza di malattia”. Secondo l’OMS, è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale. La Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia (art. 24) stabilisce che ogni minore ha diritto di godere del miglior stato di salute possibile e di accedere ai servizi medici e riabilitativi, senza discriminazione.
Ma oggi, in troppe parti del mondo – e anche nelle nostre città – bambini e adolescenti non ricevono le cure necessarie, non mangiano in modo adeguato, non dormono abbastanza, non hanno accesso a sport, natura, prevenzione. E soprattutto, non trovano ascolto e cura per le loro fragilità interiori.
La pandemia ha portato alla luce una crisi silenziosa: quella della salute mentale giovanile. Ansia, depressione, disturbi alimentari, autolesionismo, solitudine, dipendenze… sono solo alcune delle ferite che colpiscono gli adolescenti.
Dietro a uno sguardo spento, a una battuta aggressiva, a un silenzio troppo lungo, spesso c’è un grido d’aiuto che nessuno ha ancora ascoltato. I numeri parlano chiaro, ma le storie sono ancora più eloquenti. Tanti ragazzi oggi non stanno bene dentro, anche se esternamente sembrano “normali”.
Come comunità educante, non possiamo restare indifferenti. Dobbiamo imparare a riconoscere i segnali, ad accompagnare, a collaborare con figure professionali, a non sostituirci ai terapeuti ma a fare la nostra parte con umanità, fiducia e attenzione.
Don Bosco non parlava di “psicologia”, ma viveva la cura nella quotidianità. Sapeva che un ragazzo che non mangia, non dorme, o è oppresso dalla paura, non può imparare né pregare né sorridere. E per questo si prendeva cura dei suoi ragazzi in modo integrale: corpo, spirito, mente, relazioni.
Dava pane, medicine, calore, consigli. Trovava lavoro e sostegno, ma soprattutto faceva sentire ciascuno importante, degno di amore, capace di bene. La sua medicina più potente era la presenza amorevole, quella che ancora oggi salva, consola, accompagna.
La salute è una questione pastorale. Se un ragazzo sta male, tutto in lui si blocca: lo studio, la fede, la relazione. Non possiamo più separare “evangelizzazione” da “cura della persona”. Educare al Vangelo significa anche educare al rispetto del corpo, all’equilibrio affettivo, alla gestione delle emozioni.
Per questo, come educatori salesiani, siamo chiamati a:
Quante volte un ragazzo ci ha detto: “Qui sto bene”. Non è retorica: è una verifica pastorale. L’oratorio, la scuola, il centro giovanile devono diventare luoghi di benessere reale, dove il minore si sente accolto, non giudicato, sostenuto, liberato.
Anche la spiritualità salesiana, se vissuta nella verità, guarisce. Quando un giovane scopre che Dio lo ama così com’è, che può fidarsi, che può ricominciare, qualcosa dentro di lui si risveglia. La salute interiore non dipende solo dalle terapie, ma anche dall’esperienza di essere amati, ascoltati, salvati.
Il diritto alla salute è sacro. E ogni minore ha bisogno di adulti che si prendano cura del suo corpo e del suo cuore. Stare bene è il primo passo per sperare. E chi spera, può ricominciare a volare.
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