Il DUBBIO

Noi pensiamo che l'uomo ateo sia perseguitato dal dubbio e che noi, perché crediamo in Dio, non possiamo avere dubbi. Ebbene, così noi ce ne stiamo senza alcuna preoccupazione chiamiamo atei, empi, scettici quelli che non hanno di Dio le stesse nostre opinioni. E per questo quante divisioni nel mondo, quante separazioni e lotte, quante persecuzioni.

Il DUBBIO

da L'autore

del 01 gennaio 2002

Le pene del dubbio sono buone. Però dobbiamo liberarci dalle spire materiali che circondano il dubbio.

Non c'è ignoranza tanto grande quanto l'ignoranza della nostra ignoranza. Noi non conosciamo Dio e non lo possiamo raggiungere! Se non riusciamo a percepire questo, bisogna che ci rialziamo e che ci svegliamo da questa indifferenza inerte. Vengano pure pene acute a smuovere questa insensibilità. Il nostro essere più intimo si levi in pianto e gridi: - lo non capisco, io non trovo! - In tutte le corde del nostro animo vibri questo canto affinché in mezzo alle tenebre del dubbio non si perda la fede.

Noi pensiamo che l'uomo ateo sia perseguitato dal dubbio e che noi, perché crediamo in Dio, non possiamo avere dubbi. Ebbene, così noi ce ne stiamo senza alcuna preoccupazione chiamiamo atei, empi, scettici quelli che non hanno di Dio le stesse nostre opinioni. E per questo quante divisioni nel mondo, quante separazioni e lotte, quante persecuzioni. Noi dividiamo gli uomini in due gruppi: il gruppo nostro e quello degli altri fuori di noi, considerando Dio una nostra proprietà particolare. Così ce ne stiamo tranquilli sul nostro trono, senza alcun dubbio e senza preoccupazione.

Dopo quanto abbiamo detto, possiamo vedere come noi, credendo in Dio, mandiamo Dio stesso in esilio, fuori da tutta l'umanità. Allora non viviamo in casa e nella società come se in casa e nella società Dio non esistesse. Dalla nascita alla morte noi camminiamo in mezzo all'universo come se il Dio dell'universo non avesse qui alcun posto. Ogni mattina siamo risvegliati in mezzo all'elevarsi di una luce meravigliosa; tuttavia non riusciamo a trovare Dio in mezzo a questa apparizione straordinaria. Di notte noi, in mezzo agli astri del firmamento che vegliano immobili e silenziosi, ci immergiamo nella profondità del sonno, ma in nessuna parte del nostro giaciglio, dentro le tenebre vaste e gloriose, dimora del riposo, noi percepiamo l'immagine tenera, tacita e dignitosa della madre dell'universo. Vediamo invece il mondo ineffabile e meraviglioso, chiuso e ridotto dentro il nostro pezzo di terra e prigioniero nelle stanze della nostra casa. Come se noi non fossimo nati nel mondo di Dio, ma solo nella nostra casa dove, oltre all'« io, io, io», non troviamo altra parola. Pur tuttavia con la bocca diciamo: - Io credo in Dio, in Lui non ho alcun dubbio!

Quante volte abbiamo camminato in modo da far credere che in casa nostra, nella nostra vita Lui è il Dio-casa della nostra dimora! Ma questo grande Auriga è Colui che conduce l'immenso carro dell'universo! - lo sono il padrone della casa, il capo della famiglia! - questi sono i pensieri che vengono in mente appena ci risvegliamo e, alla notte, nel sonno, questi pensieri si quietano solo per un momento. La casa e il mondo sono sigillati dall'« io ». Quante carte e documenti, quante dispute e disposizioni! E Dio dov'è? Solo sulla bocca! E forse neppure un po' in altre parti.

C'è qualche cosa che ci possa rovinare di più che avere Dio solo sulle labbra? «lo» dico così, «io» sono di questa comunità, «io» sono di questa idea!... Abbandoniamo Dio e Lo confiniamo in posti vuoti e poi senza esitare ci sediamo con impertinenza, ben comodi, in tutti gli altri posti. E la cosa più strana è che noi non ci accorgiamo di questa impertinenza. Questa impertinenza rende insensibili tutte le pene del dubbio: non siamo neppure coscienti di questa ignoranza.

Le pene del dubbio ci risvegliano quando Dio tocca un po' la nostra coscienza. Allora, pur in mezzo al mondo, il mondo non può frenare il nostro pianto, perché allungando verso Dio le nostre braccia, nelle tenebre, non riusciamo a trovarlo. Allora inizia una certa comprensione: quello che abbiamo ricevuto non ci può soddisfare, vediamo che non possiamo nulla e che non si va avanti senza accogliere Colui che dobbiamo accettare.

Al momento del parto il seno materno non abbandona completamente il bambino. D'altra parte l'ansia di venire alla luce attira il bambino. Allora, alla libertà, si frappongono gli strappi dei legami. Le pene del parto sono il primo indizio del dono della vita e della libertà. La mancanza di questi dolori preoccupa il medico.

Anche le pene del dubbio sono, per l'animo, segno del dono della libertà nella verità. Da una parte il mondo nasconde la verità dentro di noi; da un'altra parte la verità nascosta chiama. Essa è in mezzo alle tenebre e, pur non conoscendo la luce, sente l'attrazione della luce; pensa che questa angoscia non abbia alcuno scopo, perché non vede il suo fine lieto; come il bambino prima di nascere si sente legato da tutte le parti dentro il seno.

Vengano pure quelle pene insopportabili, tutta la natura pianga! Finirà certamente questo pianto. Il pianto, però, che non è nato da queste pene ed è ancora legato dentro da mille legami alla materia non ha alcuno scopo. È una pena legata al midollo delle ossa, alla carne, al sangue: si deve camminare barcollando sotto il suo peso.

Sino al giorno in cui il pianto del dubbio in noi non diventerà reale, vero, non potremo godere delle idee della comunità, dei ragionamenti della filosofia, della parola della Scrittura. Ma in quel giorno potremo capire in un solo istante che per noi non c'è soluzione fuori dall'amore. In quel giorno questa sarà la nostra preghiera: - O Dio dell'universo, manifestati nella luce dell'amore!

Nelle manifestazioni dell'intelligenza non possiamo allontanare tutte le tenebre del dubbio. Noi, pur sapendo, non sappiamo sino a quando in noi non si manifesterà l'amore. Osserviamo almeno per una volta da quante persone siamo circondati in questo mondo. Non possiamo dire di non sapere questo: però esse sono per me un nulla. lo vado avanti in questo mondo come se queste esistenze innumerevoli .non avessero né gioie, né dolori. Chi sono coloro che hanno gioie e dolori? I miei parenti, i miei amici, i miei cari. Questi hanno abbandonato quelle innumerevoli esistenze ed il mio mondo ora è fatto di queste, «qualche persona », perché le ho viste nella luce dell'amore.

Io ho visto queste persone in una misura più o meno come l'anima mia. La verità della mia anima è venuta fuori tanto chiara nell'amore; e dove l'amore ha potuto estendersi ha potuto chiamare gli uomini suoi fratelli. Per questo non ho alcun dubbio riguardo loro; essi sono nei miei riguardi una realtà, come me.

Che Dio esista e che sia da per tutto è una cosa che non esito ad affermare: però io, di giorno e di notte, mi comporto in modo come se Lui non fosse in alcun luogo. E questo perché? Perché non è nato ancora in me l'amore per Lui: Dio ci sia o non ci sia, per me non ha alcuna importanza. Più di Lui esiste per me il piccolo e disprezzabile nido della mia casa. lo non lo amo e perciò il mio occhio non si fissa tutto in Lui, il mio orecchio non tende tutto verso di Lui, la mia mente non si apre tutta a Lui. E così noi non riceviamo Colui che esiste più di tutti.

Questa grande povertà della nostra vita non può essere colmata in nessun'altra maniera. Dio, pur esistendo, non esiste!; c'è per noi un astro più grande, il «non-essere ».

Noi stiamo perendo sotto il peso di questo «non-essere »: e questo «non-essere» non vuol dire altro che mancanza di amore. Nell'aridità di questo « non-essere» tutte le bellezze dell'universo sono morte, tutto il bene della vita va perduto. Colui che è, non c'è! Come possiamo comprendere questa grave perdita? Per questo tutto va a finire nel nulla e stiamo perendo continuamente. So tutto, conosco tutto; però tutto è vano!

Dio dell'universo, manifestati nella luce dell'amore!

Rabindranath Tagore

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