Il feriale

L'ambito della presenza e quindi dell'incontro con Dio è la vita di ogni giorno: lo spazio feriale. Ovun¬≠que Dio opera, una creatura deve rendere presente, in modo umano, la sua azione. L'agire dell'uomo, per¬≠ciò, non è solamente una risposta alle richieste della storia, ma anche epifania della perfezione di Dio, emergenza della sua azione creante, espressione del suo amore.

Il feriale

da Teologo Borèl

del 02 luglio 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 

          Per imparare a vivere occorre scoprire il segreto del­la vita. Fino a che non lo si scopre, non si è in grado di vivere intensamente. Il segreto della vita sta nella pre­senza di Dio al centro della nostra esistenza. Il rito è l'e­sercizio per apprendere a vivere alla sua presenza e la festa ne è la gioiosa celebrazione. Ma l'ambito della presenza e quindi dell'incontro con Dio è la vita di ogni giorno: lo spazio feriale. I cristiani, fin dall'inizio, hanno espresso questa convinzione con il termine bi­blico della gloria e con il modello della incarnazione. Essi sono convinti che l'azione di Dio si fa gloria nella creazione e nella storia, e che la sua Parola può diven­tare carne umana: pensiero, decisione e gesto negli uo­mini fedeli. Gesù ha espresso in modo concreto questa legge vivendola senza resistenze nelle sue esigenze più sublimi.

Ges√π icona di Dio

          Gesù è stato costituito Messia e Signore ed è stato glorificato da Dio come Figlio perché ha vissuto e ri­velato la gloria di Dio. Per la fede cristiana Gesù non è un semidio o un mostro umano, e non rivela Dio per­ché nella sua realtà umana sia divino, ma perché è compiutamente umano. Solo attraverso la sua umanità Egli svela che Dio è amore gratuito e misericordia crea­trice. Gesù non ci ha salvato perché ha offerto qualco­sa a Dio da parte degli uomini, ma perché, assumendo la condizione di servo, ha svelato i tratti essenziali del­la realtà divina e in tal modo ha introdotto nella storia lo Spirito di Dio, cioè la sua forza di vita, in modo nuo­vo e definitivo. Egli poteva dire: «Le parole che io vi dico non le dico da me stesso; il Padre che dimora in me fa le sue opere» (Gv 14,10); e ancora: «Ti ho glori­ficato sopra la terra... ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini» (Gv 17,4.6).

          La legge che regola l'incarnazione o la rivelazione della gloria di Dio, come è apparsa in Gesù, può esse­re espressa in questo modo: l'Amore di Dio è efficace sulla terra quando diventa gesto di amore umano, la sua Misericordia si esprime nella storia quando è per­dono di uomini, la Giustizia divina entra nel mondo quando diventa progetto di condivisione e di frater­nità, la Vita diventa dono per gli uomini quando si fa carne umana. In questa prospettiva l'incarnazione non èsolamente un evento fondamentale della storia umana, ma un paradigma dell'azione salvifica di Dio e quindi una legge essenziale della salvezza. Esprime le dinamiche divine che si intrecciano nella storia umana come solidarietà salvifica.

L'uomo gloria di Dio

          La rivelazione di Dio non si è esaurita in Gesù. Egli è stato costituito Messia e Signore perché altri, riferen­dosi a Lui, possano continuare la sua missione. Per questo Egli ha assicurato i suoi: «In verità, in verità vi dico: chi crede in me, anch'egli farà le opere che io faccio e ne farà anche di più grandi» (Gv 14,12). Le opere che possono consentire il proseguimento della rivelazione di Dio, come si è realizzata in Cristo, sono le opere della solidarietà verso gli ultimi e della compassione verso i sofferenti. Altre forme religiose hanno altri carismi; il carisma del cristiano è definito dalla croce. Essa è diventata nel mondo il simbolo di una so­lidarietà che non teme la condivisione della morte, di una compassione che sa portare il male altrui fino al­l'estremo della sofferenza. Questa strada, segnata dal cammino storico di Gesù, è stata percorsa da numero­se schiere di eroi che hanno introdotto nella storia umana correnti nuove di umanità e hanno consentito uno sviluppo inedito delle diverse società. Le sfide at­tuali della storia attendono altre forme di rivelazione, invenzioni nuove di solidarietà che introducano a ine­diti livelli di umanità.

          Per capire il rigore della legge dell'incarnazione, oc­corre tenere presente il carattere trascendente dell'a­zione divina, dato che Dio è sempre creatore. Teilhard de Chardin (1881-1955, Transformation créatrice [1917], in Comment je crois, Seuil, Paris 1969, p. 31) scriveva: «La creazione... non è una intrusione periodica della Cau­sa prima: è un atto coestensivo a tutta la durata dell'u­niverso». L'azione di Dio è tale che «là dove Dio opera, a noi è sempre possibile (restando a un certo livello) cogliere solo l'opera della natura... La causa prima non si mescola agli effetti: egli opera sulle nature indivi­duali e sul movimento d'insieme. Dio propriamente parlando non fa le cose, ma fa che le cose si facciano» (Note sur les modes de l'action divine dans l'univers [1920] , in Comment je crois, cit., p. 38). Nello stesso senso, K. Rahner scriveva: «Sembra che dovunque si riscontra nel mondo un effetto, se ne debba postulare la causa nel mondo stesso e la si possa e debba cercare, appun­to perché Dio, rettamente concepito, opera tutto me­diante le cause seconde... (altrimenti)... l'agire divino viene a collocarsi nel mondo accanto a quello delle creature, invece di essere il fondamento trascendente di tutto l'agire delle creature». Dio, perciò, conclude Rahner, «non opera qualcosa non operata dalla crea­tura, né si affianca all'agire della creatura: rende solo possibile alla creatura superare e trascendere il pro­prio agire» (Il problema dell'ominizzazione, Morcelliana, Brescia 1969, pp. 96-99). «Le vicende e gli eventi di un ente finito stanno continuamente sotto la pressione (se così possiamo dire) dell'essere divino. Tale pres­sione non rientra nei costitutivi essenziali di un esi­stente finito, però può farne sempre qualcosa di più di quanto essa sia in sé e farlo propriamente diventare quello che è» (Id., Scienze naturali e fede razionale, in Scienza e fede cristiana, Paoline, Roma 1984, p. 58).

          Corrispondentemente si deve affermare che ovun­que Dio opera, una creatura deve rendere presente, in modo umano, la sua azione. L'agire dell'uomo, per­ciò, non è solamente una risposta alle richieste della storia, ma anche epifania della perfezione di Dio, emergenza della sua azione creante, espressione del suo amore. La storia appare come il luogo in cui l'uo­mo è chiamato a rendere efficace l'offerta continua della vita. Il dono è troppo grande per essere accolto ed offerto in un solo istante. L'uomo può farlo suo so­lo a frammenti, nella progressione del tempo, attra­verso eventi storici successivi. Ogni giorno l'offerta creatrice di Dio è necessaria ed essa può essere accolta in modo sempre più perfetto. Ma proprio per questo ogni giorno è necessario che uomini e comunità di­ventino espressione efficace dell'azione creatrice di Dio, del suo amore misericordioso. Questo è il servizio che ogni uomo, ogni coppia, ogni comunità è chia­mata a rendere. Tutti gli atti di amore, tutti i gesti fe­riali possono acquistare questa funzione rivelatrice dell'azione divina. È sufficiente che abbiano le caratteri­stiche di gratuità e di oblatività che consentono all'a­gire divino di diventare carne umana.

          In questo senso appare con chiarezza il doppio ver­sante della formula di Ireneo: «La gloria di Dio èl'uo­mo vivente»: l'azione divina rende l'uomo vivo, l'uo­mo che vive rivela Dio. Il primo versante sta dalla par­te di Dio e indica la condizione della vita umana: l'uomo diventa vivente solo in quanto si apre all'azione divina e ne incarna tutte le ricchezze. Il secondo sta dalla parte della creatura e indica la condizione della storia salvifica: l'uomo che vive rivela l'azione di Dio, lo rende presente nella storia. Il luogo di questo scambio salvifico non è la chiesa o la festa, ma è l'ambito del­l'esistenza quotidiana: il lavoro, l'amore, la sofferen­za, la solidarietà, la fatica di ogni giorno. Il rito serve per imparare a vivere alla presenza di Dio, a ristabilire l'orizzonte della sua azione quando l'illusione delle co­se lo ha sconvolto o quando la delusione delle sconfit­te lo ha cancellato. Ma l'ambito della gloria di Dio, e quindi lo spazio del suo dono, è l'esistenza di ogni giorno, il tempo feriale. Riservare a Dio solo il giorno di festa significa annullarne la presenza nella storia umana e relegarlo nei cieli fittizi delle nostre chiese.

Carlo Molari

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