Sono stati pubblicati recentemente dalla Commissione Europea i dati del 1999 relativi ai decessi per suicidio in Europa. I risultati vedono il suicidio come la più importante causa di morte in Europa: circa 58.000 suicidi, un numero maggiore dei decessi per incidenti stradali. Infatti i decessi per incidenti stradali sono stati, nello stesso anno, circa 50.700. I picchi più elevati di suicidi, si hanno tra i 15 e i 34 anni, con prevalenza maschile...
del 01 gennaio 2002
La libertà malata è pericolosa, in particolare per gli indifesi.
In Europa più morti per suicidio (58.000) che per incidenti stradali (50.700).
Unione Europea: affrontare il “killer invisibile”.
Uccidersi è ancora un male.
Perché la libertà si può ammalare.
La libertà muore se non serve la responsabilità.
Diviene violenza, verso tutto, verso di sé.
Occorre “impedire” il culto di se stessi, la libertà fine a se stessa.
Cominciando dal rispetto della libertà che inizia.
Gli embrioni, per cominciare a curare la libertà…
Sono stati pubblicati recentemente dalla Commissione Europea i dati del 1999 relativi ai decessi per suicidio in Europa. I risultati vedono il suicidio come la più importante causa di morte in Europa: circa 58.000 suicidi, un numero maggiore dei decessi per incidenti stradali.Infatti i decessi per incidenti stradali sono stati, nello stesso anno, circa 50.700.
I picchi più elevati di suicidi, si hanno tra i 15 e i 34 anni, con prevalenza maschile.
Il commissario UE alla salute Marko Kyprianou ha esortato i 25 paesi dell’Europa Unita a porre la questione della salute mentale in cima all’agenda, affrontando quello che ha definito il “killer invisibile”.
Meno male.
Per un attimo abbiamo temuto che, nell’attuale clima culturale tutto teso a sostenere la libertà individuale e totale come l’assoluta fonte di ogni bene, ci si fermasse a registrare questo dato come l’ennesima linea di tendenza cui aggiornare le leggi e i costumi europei.
Invece, almeno su questo punto, si continua a sostenere il realismo di un male. Uccidersi è ancora un male. Naturalmente nessuna legge può essere fatta su questa materia, poiché sarebbe difficile colpire il colpevole che riesce ad ottenere lo scopo, e sarebbe disumano perseguitare colui che ci ha provato senza successo. Si parla di malattia, di malato, dunque di cura.
In questo caso, stranamente, è ancora accettata l’evidenza che la libertà (come ogni aspetto dell’uomo) può ammalarsi. Poiché la libertà guida il pensare e l’agire, l’uomo ammalato nella libertà non riesce a “portare” con stabilità la responsabilità della propria esistenza.
Diciamo “portare” perché certamente la responsabilità non è un vestito leggero, che si indossa senza accorgersene, ma il tessuto di cui siamo fatti, che non possiamo strapparci di dosso in nessun modo.
Per questo tentare di vivere la libertà indipendentemente dalla responsabilità, produce la morte. Sempre.
Non semplicemente il suicidio.
Ancora prima la morte della libertà stessa, magari mentre siamo in ottima salute fisica.
Vivere continuando a fuggire dalla responsabilità uccide la libertà. Questo semplicemente perché la libertà serve ad essere responsabili. La libertà ha uno scopo. Non esiste la libertà e basta.
Coltivare l’idea di una libertà astratta dal suo scopo, (la responsabilità, appunto), costruisce nell’uomo una rabbia verso tutto ciò che limita i propri sogni, aspettative, progetti, tentativi…
Verso la realtà, in somma, cioè nella sua totalità, che non è come noi sogniamo.
Il passo alla violenza è strettissimo, violenza verso gli altri e anche verso se stessi.
Esaltazione e depressione. Furore attivo e desiderio di morire.
Ci domandiamo come è possibile combattere questo “killer invisibile” se in tutto il resto delle scelte si continua ad esaltare il culto di se stessi e della propria assoluta libertà.
La libertà fine a se stessa, il poter fare tutto e il suo contrario. Famiglia, sessualità, generazione dei figli, uccisione degli indifesi, ricerca scientifica… non devono avere altre regole se non l’individualistica decisione personale.
Al centro di questo massacro, perpetrato da una libertà “posseduta” dal “killer invisibile”, c’è poi l’atteggiamento peggiore di quello di Pilato di chi dice: “io non lo farò mai, ma non impedisco agli altri di farlo”.
Invece si tratta di impedire. Proprio di impedire.
Non con la violenza ma con la ragione correttamente usata e la legge su di essa costruita, cercando il male minore, ove non vi sia consenso sul bene.
Per combattere il “killer invisibile” bisogna avere il coraggio di renderlo visibile.
Denunciarlo fin da piccolo.
Evidenziarlo fin nei particolari.
Un piccolo virus… che porta effetti devastanti.
Ma il suo agire si mostra ben prima dell’esito mortale (il suicidio): il rifiuto della responsabilità che rende la mia vita legata a quella degli altri. Basta pensare al mondo, a quanto il benessere di pochi renda disperati troppi uomini. In questa direzione non possiamo tacere tutte le volte che la menzogna viene “truccata” per essere una finta e comoda verità, al servizio della propria libertà malata.
É il caso della questione degli embrioni.
Proibire la ricerca sugli embrioni è semplicemente non usare la vita di esseri umani piccoli e indifesi, per i nostri “nobili” scopi.
Che poi tanto nobili potrebbero non essere, visto i soldi in gioco da parte delle multinazionali farmaceutiche.
Per curare la libertà, il primo, ma non l’unico passo, è il rispetto della libertà che inizia.
Piccola e indifesa.
Curarla e proteggerla nell’inizio e il primo passo per guarire davvero la libertà malata di chi, sentendosi grande e forte, pensa di esistere solo per sé.
Ed è solo l’inizio di una riflessione libera, razionale e responsabile, che è dovere di ciascuno.
don Gabriele Mangiarotti
http://www.culturacattolica.it
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