Il libro dell'«Imitazione di Cristo»

Si ripropone qui all'attenzione dei lettori l'Imitazione di Cristo come opera ancora insuperata per l'educazione del cristiano all'interiorità. Pur con alcuni limiti dovuti al tempo della sua composizione, il libro resta un valido «direttorio» per la formazione alle virtù evangeliche essenziali, senza escludere i positivi contributi complementari che possono derivare dall'esperienza della spiritualità contemporanea.

Il libro dell’«Imitazione di Cristo»

da Teologo Borèl

del 17 aprile 2009

Il libro dell’Imitazione di Cristo è stato certamente il testo di letteratura religiosa più diffuso da secoli nel popolo cristiano in Occidente. Ha formato schiere di santi (da sant’Ignazio di Loyola a san Carlo Borromeo, da santa Teresa d’Avila a santa Teresa di Lisieux, da san Giuseppe Cottolengo a san Giovanni Bosco e santa Maria Mazzarello) ed è stato raccomandato sempre dai Papi, da san Pio V a san Pio X, da Pio XI al beato Giovanni XXIII. L’hanno apprezzato anche uomini di cultura lontani dalla Chiesa (da Taine a Comte, da Michelet a Carducci e Croce) e letterati e scienziati insigni, da Corneille a Voltaire, da Ampère a Retté, da Papini a Merton. Ben pochi avrebbero dissentito dal celebre giudizio di Fontenelle: «L’Imitation est le plus beau livre sorti de la main des hommes puisque l’Evangile n’en vient pas» (1).

 

Oggi è ancora così? Malgrado le edizioni e traduzioni del libro presenti presso i librai, cattolici e non, a testimonianza di un interesse mai venuto meno del tutto, sembra che oggi la sua lettura sia sconsigliata, in Italia e in Europa, a quanti sono impegnati nella vita spirituale, laici, sacerdoti, seminaristi e religiosi. Vogliamo qui vedere i motivi di questo fenomeno. Sorvoliamo sulla questione storico-paleografica della paternità del libro (2). Ci basti affermare che esso è nato in ambiente monastico benedettino (3).

 

 

Il libro e la dottrina

 

Il lettore dell’Imitazione avverte fin dalle prime righe che in essa parla un uomo che ha conosciuto la società mondana e ne è rimasto deluso e, postosi nella sequela di Cristo, ha accettato rinunce e sofferenze per configurarsi al Maestro divino secondo la scienza dell’amore. Il testo non contiene una compiuta trattazione dell’ascetica cristiana. È probabile che l’Autore abbia scritto non di getto, cioè con continuità, ma seguendo, a intervalli più o meno lunghi, lo sviluppo intellettuale e affettivo della sua anima. Questo, nell’ipotesi, che sembra la più comune, che unico sia l’Autore del testo, la cui asistematicità sarebbe meglio spiegata se si ammette una pluralità di autori. La dottrina è quella della Chiesa. La diffusa ispirazione alla sacra Scrittura (più di mille citazioni bibliche), ai Padri della Chiesa, specialmente Agostino e Gregorio Magno, ai dottori medievali, soprattutto Bernardo, Bonaventura, Ruysbroeck e Groote, ne ha da sempre garantito l’ortodossia.

 

Relativamente piccolo di mole, il libro è diviso in quattro parti. La prima («Ammonizioni utili per la vita spirituale») tocca i temi più generali della purificazione del cuore. Caratteristica di questa parte è l’accento sulla vanità sia del mondo sia della scienza umana. L’uomo interiore deve concentrarsi sulle verità della fede e liberarsi della fiducia eccessiva nelle elucubrazioni della ragione riconducibili alla superbia e all’ambizione. La seconda parte («Consigli per la vita interiore») disegna l’inizio della vita interiore con la conversione, la retta intenzione, la conoscenza di sé e la familiare amicizia con Gesù che conduce alla condivisione della sua sofferenza. In queste due parti prevale il tono meditativo, il dettato di un «direttorio spirituale».

 

La terza parte introduce la forma dialogica tra il discepolo e il Signore («Consolazione interna»): una forma che vuol significare l’amore del cuore umano quando Gesù lo avvolge con la sua tenerezza che dona pace. Sono pagine che condensano un trattato del cuore, le difficoltà e le tentazioni che il cuore sperimenta nella sua ascesa verso l’amore trasformante, l’abbandono e la fiducia in Gesù che neppure la colpa riesce a menomare, perché la stessa corruzione dell’uomo evoca la potenza della grazia, quando si è umili e si ama. L’Autore scrive certamente alla luce della sua esperienza sapienziale e ha qui raggiunto esiti di tale profondità che a ragione e da secoli le sue pagine sono annoverate tra le manifestazioni alte della letteratura spirituale. La quarta parte («Il Sacramento») può essere considerata come il coronamento delle precedenti. L’amore, che ha condotto il discepolo dalla purificazione all’unione, trova la sua realizzazione nell’Eucaristia. Non è facile imbattersi, anche in grandi autori, in pagine pari a queste che educhino il lettore al senso del Sacramento dell’altare e del sacerdozio con un dialogo tra il discepolo e l’Amato semplice e ardente (4).

 

Centro e cardine di tutta l’Imitazione è Cristo Dio e maestro. Strumento dell’imitazione di lui è la grazia alla quale l’uomo deve aprirsi se vuole ottenere l’imitazione a cui anela. Cristo, grazia, impegno radicale dell’uomo: i tre elementi che fanno dell’Imitazione un libro impregnato della pura dottrina della Chiesa e quasi un commentario della celebre esortazione benedettina a non preferire nulla all’amore di Cristo. Per questo suo fermo cristocentrismo al quale sono finalizzati tutti gli aspetti dell’ascesi, l’«Imitazione» è stata cara a tutti gli iniziatori delle spiritualità apostoliche.

 

Gli storici della spiritualità della Compagnia di Gesù sono concordi nell’affermare l’influenza dell’«Imitazione» sulla formazione spirituale di sant’Ignazio di Loyola: «La più importante delle influenze umane che hanno contribuito alla formazione della sua spiritualità. È certo infatti [...] che il santo ha fatto di questo libro la sua lettura abituale sin da Manresa [...], ha continuato per tutta la vita a farne il suo nutrimento preferito, se non esclusivo» (5). La concezione ignaziana della santità personale, non l’idea del servizio apostolico, collima con quella dell’Autore dell’«Imitazione». E non è certo per caso che l’«Imitazione» sia l’unico libro di lettura consigliato, con i testi biblici, a chi fa gli Esercizi ignaziani, secondo una precisa indicazione di sant’Ignazio.

 

 

Limiti del testo?

 

Parecchi spiritualisti contestano oggi la validità dell’Imitazione ai fini della formazione spirituale. E oggi sarebbe abbastanza arduo trovare copia di quel libro nelle camere dei giovani seminaristi e religiosi e nei banchi delle cappelle degli Istituti di formazione ecclesiastica. L’orizzonte dell’interiorità, nel quale il libro si muove, lo fa ritenere opera di una mentalità soggettivista e individualista. Alcuni nostri contemporanei gli rimproverano, ingenuamente, l’assenza di ecclesiologia e di mariologia, come se in esso dovesse trovarsi lo sviluppo teologico dei secoli posteriori all’Autore. Se fosse fondata, la medesima critica la si potrebbe rivolgere anche ai Vangeli! E lo stesso si dica per l’assenza, nel testo, di una teologia biblica e liturgica e di un’antropologia che guardi all’uomo non soltanto nella sua tensione verticale ma anche nella sua realtà storica e orizzontale.

 

«L’Imitazione riflette la mentalità del [suo] secolo con i suoi tipici problemi ai quali si mostra particolarmente sensibile. Essa è completa nel dire quanto le appare essenziale al fine proposto; non pretende altro che additare la possibilità e la necessità di condurre un’autentica vita interiore nonostante l’inevitabile contatto con il mondo, e indicare il cammino per la sua attualizzazione. L’autore non ha voluto intavolare altre questioni. Ogni giudizio equilibrato deve rispettare questa sua intenzionalità e valorizzare l’opera entro i limiti della sua natura e delle dimensioni del suo tempo» (6).

 

Alcuni accantonano l’Imitazione per effetto di quella loro critica polemizzante nei confronti dei tipi di spiritualità che hanno avuto origine nei secoli XIV e XV. Sarebbero, questi tipi, malati di «privato», di narcisismo, di intimismo, di pietismo e, in quanto tali, venati di pessimismo nella valutazione dei valori mondani e dell’universo creato in generale. Di qui l’attuale reazione «antipietista». Eppure, fa notare un noto storico della spiritualità, l’uomo d’oggi, che disistima o è indifferente al pietismo di libri come l’«Imitazione», decreta un giusto e vivissimo successo a opere come le Passionen di Bach nate nell’ambiente storico del pietismo protestante, anche se l’interesse va forse tutto alla musica e molto meno ai testi e ai sentimenti espressi nelle arie e nei corali del pio Picander (7).

 

 

Le tre cause di un oblio

 

Il fenomeno della disaffezione verso l’Imitazione può essere ricondotto probabilmente a tre cause principali: sociologica, ecclesiologica, psicologica (8). L’ambiente socioculturale incide notevolmente sull’eduzazione religiosa. Ora, il nostro ambiente di inizio secolo resta segnato ancora dai processi convergenti che si sono venuti affermando negli ultimi secoli in Occidente. L’individualismo cerca di neutralizzare le comunità di appartenenza. La massificazione impone comportamenti e modi di vita standardizzati. La desacralizzazione lavora a imporre i presunti vantaggi di un’interpretazione soltanto scientifica del mondo. Dalla teoria della ragione strumentale si è passati alla fiducia totale nell’efficienza della tecnica. Nonostante le crisi e i reflussi, l’uomo si sente sostituto di Dio e, in larghi strati, non ne avverte più la presenza. Un tale uomo non riesce a stimare la dimensione contemplativa della vita e confonde «contemplativo» con «monastico», cioè in un’accezione per lui negativa. E allora comincia a discettare su quei pochi luoghi dell’«Imitazione» che parlano dei pericoli che l’amore alle creature comporta, della dispersione conseguente all’effusione incontrollata negli eventi e nella mentalità non evangelica del mondo. E sorvola sui tanti luoghi nei quali il libro parla di gioia e del dovere di pregare per tutti gli uomini amabili con il cuore di Cristo.

 

La causa ecclesiologica dipende dall’estremismo di alcuni che considerano nella Chiesa soltanto il suo pur importante aspetto missionario e dimenticano che la Chiesa è specialmente, come ha insegnato l’apostolo Paolo, la comunità di coloro che invocano il Risorto e gli rendono testimonianza con uno stile di vita nel quale svolgono un ruolo determinante la preghiera, la lode, la ricerca contemplativa del Signore. L’«Imitazione» educa a questo stile e non vuol creare una setta di «spirituali». Tutta la quarta parte del libro, che è un’adorante professione di fede nell’Eucaristia, mostra che l’Autore, attraverso l’economia sacramentale, guarda alla vita ecclesiale che a quella economia è inscindibilmente connessa e da essa trae significato e valore. La causa ecclesiologica dipende, quindi, da un’interpretazione riduttiva della natura e della missione della Chiesa che evangelizza contemplando e fa apostolato celebrando e pregando.

 

Similmente, la causa psicologica si regge su un equivoco anch’esso riduttivo. Lo sostengono coloro che hanno introdotto il modello freudiano nell’analisi della vita spirituale. Il bambino vive nel caldo ambiente familiare, protetto, e gli è facile, istintivo, il transfert dal papà a Dio. Divenuto adolescente, scopre il lato orizzontale della vita nel contatto con gli altri e, superate le crisi dell’età, conosce il senso dell’unione con Cristo. Divenuto infine adulto, può accedere al mistero pasquale liberamente e viverne i gravosi impegni. L’Imitazione, che insegna l’intimità con Cristo e la sicurezza nella fuga dal mondo, sarebbe, in questa prospettiva, un libro per persone ancora infantili o spiritualmente adolescenziali in via verso l’età e la sensibilità religiosa dell’uomo adulto. Ci si dimentica con troppa leggerezza che l’Imitazione, proprio perché educa all’imitazione di Cristo, chiede al lettore di mettersi sulla «via regale della croce», sa bene che ciò «non è un gioco di bambini» e soltanto chi ama il Signore può capire e camminare su quella via.

 

Insomma, si può essere d’accordo con quelli che dicono che l’Imitazione non contiene ogni aspetto della vita cristiana e ascetica. Ma di questa ha gli elementi essenziali: la presenza e l’azione di Cristo sui cuori, l’intimità salvifica con lui, la carità, la comunione eucaristica. Questa solida pedagogia ha educato intere generazioni cristiane verso il Signore, la sua Parola, la sua croce, il suo Sacramento. Questi elementi non sono cosa del passato. Tutto ciò che in passato ha parlato la lingua del Vangelo è un valore per sempre. In questo senso, il passato non esiste perché Cristo è l’eterno presente della Chiesa. Altri aspetti, quelli derivanti dall’esperienza spirituale ed ecclesiale contemporanea, potranno, e forse dovranno, completare i temi dell’Imitazione. Lo dirà il tempo. L’Imitazione non è certo un libro insuperabile, ma finora, nel suo genere, non è stato superato.

 

E c’è un’altra ragione che ce ne fa raccomandare la lettura e la meditazione. I mali che abbiamo brevemente descritto sopra a proposito della causa sociologica che induce a disistimare l’Imitazione sono profondamente radicati nell’uomo d’oggi che Christian Bobin ha definito «colui che non dorme mai» (9). Un uomo così, lo notava già anni fa Sergio Zavoli, è tentato di costruirsi e di fingersi un «Cristo imborghesito» (10). Quale migliore antidoto dell’uomo e di Gesù che dialogano nell’Imitazione?

 

 

1 B. FONTENELLE, Vie de Corneille, vol. II, Amsterdam, 1754, 74.

2 Cfr P. BONARDI - T. LUPO, L’Imitazione di Cristo e il suo autore, 2 voll., Torino, Sei, 1964; GIOVANNA DELLA CROCE, I mistici del Nord, Roma, Studium, 1981, 66 s; F. VANDENBROUCKE, La spiritualità del Medioevo, vol. II, Bologna, Edb, 1991, 351 s; P. POURRAT, La spiritualité chrétienne, vol. II, Paris, Gabalda, 1921, 394-397; G. MUCCI, «L’edizione critica dell’“Imitazione di Cristo”», in Civ. Catt. 1983 III 397-401.

3 Cfr M. VANNINI, Storia della mistica occidentale. Dall’Iliade a Simone Weil, Milano, Mondadori, 2005, 219.

4 Cfr GIOVANNA DELLA CROCE, I mistici del Nord, cit., 67-69.

5 J. DE GUIBERT, La spiritualità della Compagnia di Gesù. Saggio storico, Roma, Città Nuova, 1992, 115.

6 GIOVANNA DELLA CROCE, I mistici del Nord, cit., 70.

7 Cfr F. VANDENBROUCKE, «Perché non si legge più l’“Imitazione di Cristo”?», in Concilium 7 (1971) 1.797 s.

8 Cfr ivi, 1.798-1.803.

9 Cfr C. BOBIN, «Colui che non dorme mai», in ID., La parte mancante, Troina (En), Servitium - Città Aperta, 2007, 43-48.

10 Cfr S. ZAVOLI, «Dio ha bisogno degli uomini», in ID., Sui banchi della vita, Bergamo, Minerva Italica, 1984, 205-207.

 

 

© La Civiltà Cattolica 2009 II 139-144   quaderno 3812

 

Giandomenico Mucci S.I.

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