Il mio cuore è imperfetto, ma posso accettarlo

Assumo che avrò sempre la mia disabilità. Non nego l'evidenza, non la nascondo, non mi inganno. Avrò sempre vuoto e carenze. La goffaggine per amare e dare la vita...

Il mio cuore è imperfetto, ma posso accettarlo

del 09 novembre 2018

Assumo che avrò sempre la mia disabilità. Non nego l’evidenza, non la nascondo, non mi inganno. Avrò sempre vuoto e carenze. La goffaggine per amare e dare la vita...

 

Le persone con una disabilità riconosciuta si mostrano così davanti agli altri. Conoscono i loro limiti e accettano di essere trattati in base a questi. Io, però, nella disabilità occulta del mio cuore, voglio mostrarmi perfetto davanti agli altri.

Non voglio che si vedano né la mia ferita né il mio peccato o la mia debolezza. Li nascondo, perché nessuno li veda. Come se andasse tutto bene e il pericolo e la tentazione fossero passati per sempre.

Non voglio che la mia debolezza dia altri problemi. Passo oltre. Voglio chiudere tutto nell’anima. Per non soffrire più. È come se potessi andare avanti ormai senza ostacoli.

Ma accettare le mie debolezze non è tanto semplice. Guardarle con pazienza. Capire che sono un disabile nel cuore per sempre.

E dovrò accettarmi come sono sapendo che Dio può entrare attraverso la ferita della mia anima. E che può farlo anche l’amore umano.

Guardo la mia vita con allegria e sorrido. Dio può fare tutto nuovo in me, ma rispetta la mia natura. Rispetta la mia imperfezione.

Perché mi piacciono tanto le cose perfette? Non ha senso. Io non sono perfetto. Mi ritengo indegno di guardare le debolezze altrui.

Diceva padre Josef Kentenich: “Contiamo sulle debolezze umane. Sono un compito per me. Affrontandole mi dirò: Cosa posso cambiare? Ha senso parlare molto? Se lo ha lo farò, se non lo ha stringerò i denti” [1].

Accettare l’altro com’è è possibile solo se prima ho visto la mia povertà e ho sorriso. Sono fragile, e nella mia fragilità non posso smettere di lodare Dio e rendergli grazie per tutto ciò che mi concede. Per il mondo e la vita che mette nelle mie mani.

Nella mia disabilità incontro persone che mi aiutano ad accettarmi come sono e a vivere felice e grato.

Voglio imparare a donare quello che mi costa tanto accettare. Lo dono a Dio: “Bisogna imparare a far arrendere la fragilità dell’esistenza di fronte al potere di Dio. L’essere umano è una creatura debole, ma il suo creatore veglia su di lui nei momenti più difficili. Perché l’uomo non riesce a capire che Dio non vuole mai il male?” [2].

Dio non vuole il mio male. Tutto il contrario. Vuole che nella mia fragilità, nella mia incapacità di amare bene, io sia felice e ami le persone che mette sulla mia strada.

Non lo farò in modo perfetto. Non importa. Ma offrirò a Dio ciò che mi limita. Quello che mi rende fragile. Perché Egli usi i miei scarsi talenti e le mie limitazioni come una strada verso il cielo.

Nel film Campeones, uno dei protegonisti disabili diceva così dell’allenatore: “Mi piace, sta facendo le cose bene. Sta imparando. Ossia, la disabilità l’avrà sempre, ma noi gli stiamo insegnando a gestirla”.

Assumo che avrò sempre la mia disabilità. Non nego l’evidenza, non la nascondo, non mi inganno. Avrò sempre vuoto e carenze. La goffaggine per amare e dare la vita. La tendenza a dimenticare ciò che ho imparato e a ripetere gli stessi errori.

Ciò che voglio è trovare persone che mi aiutino ad affrontare la mia disabilità, che mi insegnino a gestirla. È quello che desidero.

È vero che anch’io posso aiutare gli altri a camminare con la loro disabilità. A lottare per essere persone migliori. Partendo dalla loro verità, non da quello che credono dovrebbero essere.

Nella vita è sempre così. Voglio essere disposto a farmi trattare in base a ciò che sono, con la mia verità. Non voglio ingannarmi.

Dio vuole che io ami come Egli ama, ma nei miei limiti. Non in modo illimitato, perché non possiedo quella forma.

La mia pelle pone fine alla mia pretesa di eternità qui sulla Terra e mi insegna a confidare nel potere di Dio nella mia vita.

Nella mia carne fragile si rende tangibile il cielo che desidero. L’eternità che sogno. Nella mia pelle ferita sboccia un cielo che è paradiso perduto e anelato. Nel mio modo di amare imperfetto partendo dalla fragilità della mia vita.

Offro i miei limiti a Dio. Lascio che gli altri mi trattino tenendo conto di come sono. Rido di me stesso e della mia verità, quando percepisco il peccato sotto le ombre che mi tolgono la luce.

E continuo a sognare una vita piena che disegno goffamente con le dita. È quello che sogno. Nella mia imperfezione. Imparare a gestire tutto meglio di come faccio ora.

[1] J. Kentenich, Niños ante Dios
[2] Cardinale Robert Sarah, La forza del silenzio, 66

 

Padre Carlos Padilla

https://it.aleteia.org

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