Parlano di crescita. Di necessità di sviluppo. Di fase due o non so a che numero siamo. Un popolo di persone che aspira a tirare a campare non può certo uscire da una crisi. Un popolo di fantocci può pure avere banche ben funzionanti e ottimi governanti: resta un popolo palude, un popolo morto.
del 03 maggio 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); Immagine pagina Didascalia immagineContenuto ArticoloParlano di crescita. Di necessità di sviluppo. Di fase due o non so a che numero siamo.           Parlano gli economisti, i governanti, i giornalisti. Dicono: si deve crescere. Per uscire dalla crisi non basta cercare di svuotare lo stagno con i secchielli delle tasse, i quali finiscono per toglier il minimo d’acqua necessaria per vivere, ma occorre alzare la testa, irrobustire le gambe. Nuova muscolatura. Così che la palude non ci domini, e se ne esca. Lo dicono ormai tutti. Lo dice anche quello strano essere senza volto (la Ue) che assume via via i tratti di un leader o dell’altro, o di nessuno, e che pur dispone le decisioni.           Crescere, dunque. Ma dove si situa il motore di questo sviluppo ? Coloro che ne parlano, che lo invocano, dove pensano che sia il centro propulsore di tale rilancio? Anche un bambino capisce che se un sistema è andato in crisi non avremo nuovo sviluppo pensando di rianimare tale e quale quel sistema. C’è qualcosa dunque a cui affidarsi, su cui concentrarsi per ridare moto al corpo sociale che si è arenato ?           Questo è il problema su cui sarebbe interessante sapere cosa ne pensano i cittadini, cosa ne pensano le persone che subiscono questa crisi causata dalle sbagliate previsioni e dai trucchi di signori a capo di banche e governi. Le elezioni, invece di essere un paranoico circo del massacro mediatico reciproco, dovrebbero servire alle forze in campo per proporre ai cittadini la propria visione. Perché c’è chi può pensare che si debba ripartire dalle banche, chi dalle industrie, chi dalle piccole imprese, e chi dalla politica.           Sarebbe bella una discussione alta, chiara, credibile su questo tema. In ogni caso non si può certo ripartire da tutto. Occorre che il sistema si modelli, decidendo dove porre il motore. Come in un automobile. C’è il punto in cui scocca l’energia che la fa muovere interamente, e nel disegnarla e costruirla si tiene conto della posizione del motore e di come la sua energia possa arrivare ovunque. La decisione è importante. Se sbaglieremo, la ripresa non ci sarà. La chiameranno crescita, ma sarà la sopravvivenza di alcune parti o fasce della società contro altre. Vedo segnali inquietanti in questo senso. Giustamente qualcuno sta ponendo la domanda.          Chi è il soggetto della ripresa, della crescita ? Lo ha fatto tra gli altri, Giuseppe De Rita sul Corriere della Sera dell’altro giorno e lo chiedono spesso autorevoli commentatori su queste colonne. Occorre avere il coraggio di dirlo chiaro. È la persona. Se non ci sarà un piegarsi, un sacrificarsi, un appassionarsi del disegno sociale a servizio della persona e della espressione dei suoi talenti, ogni ripresa sarà solo cruda e violenta selezione. E sarà fatua. Perché oggi la crisi investe soprattutto la persona. Perché le sono state rese difficili le cose, le sono state tolte le energie che vengono dalla religiosità e dalla speranza. Le sono state tagliate le visioni, gli sono stati diminuiti e deviati i desideri. La si è fatta sentire impotente davanti alla politica e all’economia. Sovrastata, inutile. Riciclabile come una lattina. Anzi meno. E la persona – lo vediamo drammaticamente nelle giovani generazioni – ha spesso rattrappito il proprio slancio, i propri desideri, le proprie aspirazioni.          Un popolo di persone che aspira a tirare a campare non può certo uscire da una crisi. Un popolo di fantocci può pure avere banche ben funzionanti e ottimi governanti: resta un popolo palude, un popolo morto. Se non si riparte dalla persona (dunque aiutare gli ambienti naturali e sociali per la nascita, per l’educazione, per le sue imprese e per il suo lavoro) non si cresce. Lo sappiano i governanti e coloro che si oppongono. Le scelte che stanno facendo sono decisive. Gli errori di oggi possono essere più gravi di ieri.
Davide Rondoni
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