“L'humor è l'antidoto per tutti i mali” dice un proverbio. Ma vale anche negli ospedali, nelle carceri, nelle case di riposo? Sembra proprio di sì a dire dei clown volontari dell'associazione “Nasienasi”, impegnati a diffondere la gioia di vivere anche nelle situazioni più delicate.
del 06 dicembre 2011 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) {return;} js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 
           “L’humor è l’antidoto per tutti i mali” dice un proverbio. Ma vale anche negli ospedali, nelle carceri, nelle case di riposo? Sembra proprio di sì a dire dei clown volontari dell’associazione “Nasienasi” di Siena, impegnati a diffondere la gioia di vivere anche nelle situazioni più delicate. Impegno avvalorato quest’anno dal premio “Goccia d’oro” di Rapolano Terme. La responsabile dell’Associazione, Cristiana Carusi, ha 41 anni e da cinque anni insegna in una scuola elementare.
Come è entrata nella sua vita l’Associazione “Nasienasi”?
Ho sempre amato fare volontariato, essendo ottimista di natura, anche se non sono immune da periodi di sofferenza e di dolore. Nel 2003 sono venuta a conoscenza di un corso per clown dell’Associazione “Nasienasi”, mi sono interessata ed eccomi qua a fare volontariato.
“Nasienasi” cosa è?
È un’Associazione di volontari clown di corsia e fa parte della Federazione “VIP”, che significa “Viviamo in positivo”. È una unione che raccoglie 44 Associazioni con più di 2600 clown. “Nasienasi” svolge la sua attività a Siena. Facciamo volontariato negli ospedali, nelle case di riposo e nelle carceri.
“Nasienasi” si riferisce ovviamente al naso rosso da clown!
Esattamente. È la piccola maschera che indossiamo quando facciamo volontariato.
Avete altri segni di riconoscimento?
Come tutti i clown indossiamo vestiti bizzarri, abiti variopinti, anche se non siamo specialisti della risata come quelli del circo. Il naso rosso non vuole essere una maschera che ci copre, ma una maschera che fa uscire allo scoperto il nostro cuore. 
Com’è portare un sorriso negli ospedali, nelle case di riposo, nelle carceri?
È un’esperienza intensa e gratificante. Può capitare di tutto: dalla grande accettazione di chi è disposto a condividere un momento di allegria e di fantasia, a chi pone un netto rifiuto. Noi diamo valore anche a questa seconda eventualità in quanto si tratta della reazione di una persona che sta male e che solo a noi può mandare al diavolo, non certo ai medici che prescrivono la terapia , ne agli infermieri che la somministrano.
La vostra è dunque una sfida alla sofferenza!
Sì, il nostro stesso nome, “Viviamo in positivo”, riassume lo spirito del nostro servizio.
Quali sono gli effetti del vostro vivere in positivo?
La gratificazione che riceviamo è immensa. Ho iniziato questa esperienza pensando di dare qualcosa agli altri, in realtà ricevo tantissimo dal sorriso di un bambino, da una persona malata, da chi va a trovare un parente in carcere. Ultimamente la moglie di un detenuto ci ha scritto per ringraziarci dell’accoglienza ricevuta la mattina che andava a trovare il marito detenuto e che l’ ha fatta entrare nel carcere con un po’ di sollievo.
Il gruppo “Nasienasi di Siena da quante persone è composto?
Siamo circa novanta volontari.
Quanti siete quando andate in un carcere o in un ospedale?
Ci dividiamo sempre in gruppi. Nelle stanze di un ospedale entriamo non più di tre o quattro per non invadere gli spazi ed avere il massimo rispetto per chi si trova all’interno della stanza.
Vi allenate prima di entrare?
Ci prepariamo sempre sia dal punto di vista del comportamento, dell’igiene, della psicologia. Ci alleniamo in settori specifici come giocoleria, mimo, gag, per trasformare gli ambienti ospedalieri in luoghi colorati e ricchi di calore umano.
Come riuscite a far ridere un bambino che soffre?
Ricorriamo alla fantasia, oppure prendiamo spunto dagli oggetti o dalle persone presenti all’interno della stanza. Creiamo storie fantastiche, estraniando il bambino dalla realtà del momento. Insieme a lui inventiamo storie con l’utilizzo di bolle di sapone e di palloncini, facendo in modo che anche il bambino diventi protagonista.
Avete un calendario?
Sì. Generalmente il sabato pomeriggio siamo in ospedale e visitiamo non solo i reparti pediatrici, ma anche quelli di medicina generale. La domenica pomeriggio visitiamo le case di riposo, per almeno tre ore. Gli impegni nelle carceri vengono concordati e sono più saltuari: una o due volte al mese Abbiamo poi anche alcuni progetti sperimentali, come quello di accompagnare ogni 15 giorni i bambini per i prelievi ematici nel reparto di pediatria.
Può raccontare un episodio che l’ ha particolarmente colpita?
Diversi anni fa, nel periodo di Natale, eravamo nel reparto pediatrico e ci chiamarono dalla neuropsichiatria perché una bambina ferma a letto, monitorata, era in grave difficoltà. Era attaccata ai respiratori, ma la mamma ci invitò comunque ad entrare e a salutarla. Entrammo con molto timore e ci proponemmo cantando e facendo bolle di sapone. La bambina, che non poteva parlare, rispose con l’ accelerazione dei suoi battiti cardiaci con grande sorpresa della stessa mamma. Questo fatto ci commosse molto. È un ricordo che mi porto dentro.
È stata mai costretta a nascondere le lacrime?
Sì, mi è capitato. Quando siamo nelle stanze degli ospedali o delle carceri non siamo mai soli e, quindi, anche se capita di vivere situazioni che ci colpiscono fortemente, facciamo un passo indietro e ci allontaniamo dai compagni, lasciando che siano loro a proseguire lo spettacolo. Mi è capitato di piangere una volta davanti ad un bambino che stava facendo la chemioterapia. L’ impatto per me fu molto forte e non ce la feci a rimanere lì dentro. Quando sentii le lacrime arrivare salutai nella maniera clown e uscii dalla stanza.
Venite sempre accettati da tutti: medici, infermieri, parenti?
Quando entriamo in un reparto la prima cosa che facciamo è accertarci dal personale infermieristico, dai medici, dai presenti, se ci sono situazioni particolari che inducono a evitare la nostra presenza. Entriamo, quindi, in quelle stanze che i medici e gli infermieri ritengono opportune. Può capitare, tuttavia, di essere rifiutati.
Cosa occorre per divenire clown?
L’Associazione “Nasienasi” è di puro volontariato. Per entrarvi a far parte c’è un corso base che dura da un venerdì sera alla domenica. Al termine di questo corso c’è un periodo di formazione. Uno inizia a fare volontariato, ma è un clown in formazione tenuto a fare due allenamenti e due servizi mensili sia in ospedale che in casa di riposo. Fatte 100 ore tra servizi, allenamenti e servizi extra, che possono essere le uscite per strada o attività parallele, il clown è formato e può, a sua volta, guidare nuovi clown. Ogni clown che entra a far parte dell’Associazione viene a sua volta battezzato con un nome, il mio è “Delizia”.
Pensa che ci sia un clown in tutti noi?
Ne sono convinta, perché vestire i panni del clown non è recitare una parte, non è qualcosa al di fuori di noi; si richiede la volontà di mettersi in gioco. Occorre essere se stessi, occorre dare spazio alla parte più divertente di noi stessi.
Lei è credente?
Sì, ma l’Associazione è a-politica, a-religiosa, a-confessionale. Quest’anno abbiamo attivato anche un progetto missionario clown, e da Siena partiranno dei clown per la Romania, l’Uruguay e il Kenya, dando al “naso rosso” la possibilità di rompere barriere apparentemente invalicabili.
Vito Magno
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