Che ci faceva seduto per terra a tracciare lettere ebraiche sulla polvere di Gerusalemme? Si trovava sul percorso che dal tribunale andava verso il luogo dell'esecuzione. Per le lapidazioni si usava una fossa larga in cui stava la persona condannata. Dal bordo superiore la folla in cerchio scagliava pietre in basso. Un corteo passava portando una donna condannata per adulterio.
del 15 aprile 2009
Che ci faceva seduto per terra a tracciare lettere ebraiche sulla polvere di Gerusalemme? Si trovava sul percorso che dal tribunale andava verso il luogo dell’esecuzione. Per le lapidazioni si usava una fossa larga in cui stava la persona condannata. Dal bordo superiore la folla in cerchio scagliava pietre in basso. Un corteo passava portando una donna condannata per adulterio.
Uno sconosciuto, un galileo, sta accovacciato in terra, scrive sulla polvere. Il corteo si ferma presso di lui, per chiedergli un parere.
Strana legge quella che a sentenza di morte emessa e in via di esecuzione, chiede a un passante un ultimo parere. Un’ultima parola poteva avere grado di giudizio, ribadire, sospendere, annullare una sentenza. Da noi si litiga per la poca certezza della pena: lì e allora la più grave sentenza di un’aula di tribunale si poteva annullare per strada. Quella legge prevedeva la condanna a morte ma sperava fino all’ultimo di non doverla applicare. Lo sconosciuto traccia lettere in terra, accovacciato e solo. Interrogato s’interrompe senza mettersi in piedi. Sta nella condizione opposta al tribunale, dove i giudici siedono più in alto. Sta invece tra i piedi del corteo, ultimo intralcio. Gli chiedono un commento alla condanna. Lui lo ha già dato: col gesto di scrivere sulla sabbia. Non perché abbia tracciato una sentenza, ma per la sola azione di scrittura. Proprio così: nelle tante proibizioni che riguardano il giorno settimo, sabato per gli ebrei, c’era anche il divieto di scrivere. Aveva eccezioni, una di queste permetteva di scrivere sulla polvere.
Lo sconosciuto accovacciato in terra sta facendo una mossa lecita di sabato. Ma quel giorno non è sabato: non ci poteva essere tribunale in quel giorno né si poteva eseguire una condanna a morte. Allora che significato ha un uomo che applica una regola del sabato in un giorno feriale? Significa che quella è già la sua risposta, prima ancora che gli venga chiesto un parere. Sta dimostrando che quando si tratta di una condanna a morte è sempre giorno di sabato. La sua prima risposta, col gesto di scrivere sulla polvere è: sospendete l’esecuzione. Uccidere la condannata è profanare il giorno settimo. Senza questa notizia non si capisce perché lo sconosciuto si è accovacciato per terra a scrivere sulla polvere. Lo fa in quest’occasione e in nessun’altra. Non applica leggi, inventa un’interpretazione, inaugura l’eccezione. Dimostra che la legge è fatta per l’uomo, per adeguarsi alla singola figura umana, alla specifica circostanza. Non è l’uomo fatto per la legge, ma il contrario. Lo sconosciuto non fa l’avvocato difensore dell’adultera, non accampa attenuanti, invece libera la legge dalla sua applicazione automatica, meccanica, impersonale. Con la sua mossa manifesta l’irruzione del sabato in un giorno feriale e così sospende la condanna. Gli chiedono ugualmente di pronunciarsi e allora emette il suo verdetto: chi è senza errore tirerà la prima pietra. Errore, non peccato, Giovanni che scrive in greco questa vicenda ebraica ,usa anamàrtetos, un termine legale, non morale. Chi è senza errore ha diritto di dare avvio all’esecuzione. Chiede alla folla di interrogarsi su se stessa e giudicarsi. Chi si troverà illeso dall’errore, dal torto? La folla si disperde. Nessuno se la sente di dichiararsi integro. Qualcuno di sicuro potrebbe in coscienza dirsi senza errore, ma non commetterebbe l’atto di presunzione di dichiararsi giusto davanti alla sua comunità.
Nessuno che sia davvero integro si azzarderà a tirare quella prima pietra. Lo sconosciuto così assolve non la donna ma la comunità dal gesto di profanare col sangue il sabato piombato all’improvviso in mezzo a loro e al giorno feriale. La folla si disperde con sollievo, grata per l’irruzione della grazia sul braccio già teso della legge. La grazia non danneggia ma rinforza la legge, la salva dall’irrigidimento di farsi marionetta. Legge è opera umana, ossa e nervi, non viti e bulloni, non robot. La grazia è il suo soffio vitale, libertà celeste. La folla si disperde grata, perché toccata dalla grazia. Era così quella legge, era così quel tempo, era così Gerusalemme, un posto in cui la morte poteva essere spazzata via da uno sconosciuto di passaggio che inventava al momento la più bella variante in nome della vita.
 
Erri De Luca
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