Giovani carissimi,
Mentre aveva tra mano a scrivere la vita di un vostro compagno, la morte inaspettata del giovane Besucco Francesco, mi fece sospendere quel lavoro per occuparmi di lui medesimo. Egli è per appagare le vive istanze de' suoi compatrioti e de' suoi amici e per secondare le vostre dimande, che ho divisato di mettermi a raccogliere le più interessanti notizie di questo compianto vostro compagno, e di presentarvele ordinate in un libretto, persuaso di farvi cosa utile e gradita.
Taluno di voi potrà chiedere a quali fonti io abbia attinte le notizie, per accertarvi che le cose ivi esposte siano realmente avvenute.
Vi soddisferò con poche parole. Pel tempo che il giovane Besucco visse in patria, mi sono tenuto alla relazione trasmessami dal suo Parroco, dal suo maestro di scuola e da' suoi parenti ed amici. Si può dire, che io non ho fatto altro che ordinare e trascrivere le memorie a questo uopo inviatemi. Pel tempo che visse tra noi ho procurato di raccogliere accuratamente le cose avvenute in presenza di mille testimoni oculari: cose tutte scritte e firmate da testimonii degni di fede.
È vero che ci sono dei fatti, i quali recano stupore a chi legge, ma questa è appunto la ragione per cui li scrivo con premura particolare, poiché, se fossero soltanto cose di poca importanza, non meriterebbero di essere nemmeno pubblicate. Quando poi osserverete questo giovanetto a manifestare nei suoi discorsi un grado di scienza ordinariamente superiore a questa età, dovete notare che la grande diligenza del Besucco per imparare, la felice memoria nel ritenere le cose udite e lette e il modo speciale con cui Iddio lo favori de' suoi lumi contribuirono potentemente ad arricchirlo di cognizioni certamente superiori alla sua età.
Una cosa ancora vi prego di notare riguardo a me stesso. Forse troppa compiacenza nello esporre le relazioni che passarono tra me e lui. Questo è vero e chiedo benevolo compatimento: vogliate qui ravvisare in me un padre che parla di un figlio teneramente amato; un padre, che dà campo ai paterni affetti, mentre parla a' suoi amati figli. Egli loro apre tutto il suo cuore per appagarli, ed anche istruirli nella pratica della virtù, di cui il Besucco si rese modello.
Leggete adunque, o giovani carissimi, e se nel leggere vi sentirete mossi a fuggire qualche vizio, o a praticare qualche virtù, rendetene gloria a Dio, solo Datore di veri beni. Il Signore ci benedica tutti e ci conservi nella sua santa grazia qui in terra, affinché
possiamo giungere un giorno a benedirlo eternamente in Cielo.
Se mai ti accadesse, o lettore, di camminare da Cuneo alla volta delle alte giogaie delle Alpi, dopo lungo, ripido e faticoso cammino tu giungeresti sull'alta vetta delle medesime, ove in una specie di altipiano ti si presenta alla vista una delle più amene e pittoresche vedute. A notte tu vedi la cresta più elevata delle Alpi, che è il colle della Maddalena, così detto per tradizione da que' popolani, che credono essere questa Santa venuta di Marsiglia ad abitare sopra queste quasi inabitabili montagne. La sommità di questo colle forma un largo piano ove giace un lago assai esteso da cui nasce il fiume Stura. A sera il tuo sguardo si perde in una lunga, larga e profonda vallata detta Valle delle basse Alpi, che già appartiene al territorio francese. A mattino il tuo occhio è deliziato da una moltitudine di colli uno più basso dell'altro, che quasi gradinata semicircolare vanno abbassandosi fino a Cuneo ed a Saluzzo. A giorno poi e precisamente ottanta metri dai confini di Francia, ma sempre sul medesimo piano, giace l'alpestre villaggio di Argentera, patria del pastorello Besucco Francesco, di cui intraprendo a scrivere la vita.
Egli nacque in umile edificio di questo paese da poveri, ma onesti e religiosi genitori il primo marzo 1850. Suo padre chiamavasi Matteo e sua madre Rosa. Attesa la loro povera condizione si indirizzarono al Parroco, che ha titolo di Arciprete, affinché volesse battezzarlo e guardarlo come figlioccio. In quel tempo governava già con zelo la parrocchia dell'Argentera l'attuale Arciprete di nome D. Pepino Francesco che ben volentieri si prestò al pietoso uffizio. Madrina fu la madre dello stesso Arciprete di nome Anna, donna di vita esemplare, e che non mai si rifiutava ad opere di carità. Per ordine espresso dei genitori gli fu imposto nel Battesimo il nome del padrino, cioè Francesco, A quale volle l'Arciprete aggiunger quello del Santo occorso nel giorno della sua nascita, s. Albino. Appena il nostro giovinetto giunse all'età in cui potè essere ammesso alla santa comunione, non lasciava mai in quel giorno, 1° di marzo, di accostarsi ai santi Sacramenti, e per quanto gli era possibile passava tutta la giornata in opere di cristiana pietà.
Conoscendo sua madre quanto importi il cominciar per tempo a dare buona educazione alla figliuolanza non risparmiava sollecitudine per insinuare sodi principii di pietà nel tenero cuore del caro figlioletto. I nomi di Gesù e di Maria furono le prime parole, che ella studiò di fargli imparare. Non di rado fissandolo in volto e portando il pensiero sulla vita futura di Francesco, tutta tremante pei gravi pericoli, cui sogliono andare esposti i giovanetti, commossa esclamava: Caro Franceschino, io ti amo assai, ma assai più del corpo amo l'anima tua. Vorrei prima vederti morto, che vederti offendere Dio! Oh! potessi io essere consolata da te col vederti sempre in grazia di Dio! Queste e simili espressioni erano il condimento quotidiano che animava lo spirito di questo fanciullino, il quale contro ogni aspettazione cresceva robusto in età e nello stesso tempo in grazia appresso di tutti. Allevato con questi sentimenti non è a dire di quanta consolazione Francesco riuscisse a tutta la famiglia. Tanto i genitori di Francesco quanto i suoi fratelli godono di poter attestare come il loro fratellino si compiacesse, appena cominciò parlare, di nominare sovente i Ss. nomi di Gesù e di Maria, che furono i primi nomi ben pronunciati da quella innocente lingua. Fin dalla più tenera età manifestò gran gusto nell'imparare orazioni e canzoncine spirituali, che compiacevasi canterellare in compagnia della sua famiglia. Era poi una delizia il vedere con quanta gioia tutte le feste prima del vespro si unisse cogli altri fedeli a cantar le lodi a Maria e a Gesù. Pareva allora nella pienezza delle sue consolazioni. L'amore alla preghiera sembrò nato con lui. Dall'età di soli tre anni, secondo le attestazioni dei genitori dei fratelli e delle sorelle, non diede mai occasione di esserne invitato, ed egli stesso ne domandava l'insegnamento. La mattina e la sera all'ora consueta s'inginocchiava e recitava da sé quelle brevi preghiere, che già aveva imparato, né alzavasi finché non ne avesse imparato alcun che di più.
Il giovanetto Besucco portava grande affetto alla sua madrina, la quale sia pei piccoli regali che gli faceva, sia pei segni speciali di benevolenza che gli usava, teneva come una seconda madre. Correva egli solamente il quarto anno di sua età, quando Anna Pepino cadde gravemente inferma. Il suo affezionato figlioccio dimandava spesso di poterla visitare, pregava per lei, e le faceva mille carezze. Sembra che egli di lontano abbia avuto segni straordinari della morte di lei, che spirava l'anima sua il 9 maggio 1853.
Non ostante così tenera età da quel giorno cominciò a recitare mattina e sera un Pater per la defunta madrina, uso che ritenne sempre. Egli lo assicurò più volte dicendo: Mi ricordo e prego tutti i giorni per la mia madrina, sebbene io abbia molta speranza che ella goda già la gloria del Paradiso. Appunto in riconoscenza della pietà, che Francesco dimostrava alla cara sua madre, l'Arciprete lo amò con predilezione e lo tenne d'occhio per quanto gli fu possibile.
Qualora Francesco avesse veduto quelli di sua famiglia a far preghiere, tosto mettevasi in atteggiamento divoto, alzando gli occhi e le innocenti sue manine al Cielo quasi presago di quei grandi favori, che in seno versato gli avrebbe il misericordioso Iddio.
La mattina, contro la consuetudine dei ragazzi, non voleva assaggiare cosa alcuna se prima non avesse recitate le sue orazioni. Venendo fìn dall'età di tre anni condotto alla chiesa, non mai successe il caso, in cui disturbasse i vicini, che anzi osservandone perfino i movimenti divoti procurava d'imitarli. Cosicché accadeva sovente, che coloro i quali l'osservavano con queste sorprendenti disposizioni dicessero: Sembra incredibile tanta compostezza in un fanciullo di quella età.
Egli prestavasi volentieri a tutti gli uffizi di chiesa di qualunque genere, a segno che pareva nato fatto per compiacer tutti, anche con grande suo incomodo. Infatti molte volte d'inverno accadde che per la quantità della neve caduta non potesse intervenir persona di sorta all'unica Messa del Parroco per servirla. Soltanto l'intrepido Francesco affrontando coraggioso ogni pericolo facevasi strada colle mani e coi piedi in mezzo alla neve, e giungeva solo alla chiesa. Al primo vederlo l'avresti creduto un animale, che camminasse o meglio si avvoltolasse in mezzo alla neve, la cui altezza superava di molto quella di Francesco. Matteo Valorso, testimonio oculare, depone, che circa la metà del mese di gennaio 1863, chiamato dal parroco a servirgli Messa, al momento di accendere le candele all'altare, con sua sorpresa vide entrare uno in chiesa di cui a stento ravvisava le sembianze umane. Ma quale non fu la sua meraviglia, quando scoprì in quel coraggioso il nostro giovinetto, che contento della felice riuscita dei suoi sforzi esclamò: finalmente ci sono. Servì difatti la Messa, dopo la quale sorridendo disse al Parroco: «Questa ne vale due, ed io l'ho ascoltata con doppia attenzione, e ne sono tanto contento. Seguiterò a venirvi a qualunque costo». E chi non avrebbe amato sì grazioso giovinetto?
Con queste disposizioni cresceva il fanciullino in età ed in grazia presso Dio e gli uomini. All'età d'anni cinque sapeva già perfettamente le orazioni della mattina e della sera, che recitava tutti i giorni insieme colla famiglia, il quale uso ritenne finché dimorò nella casa paterna. Mentre mostravasi ansioso di pregare, mostravasi eziandio assai premuroso nell'imparare preghiere o giaculatorie. Bastava che Francesco udisse alcuno a recitare una preghiera, ancora a lui ignota, che non gli si toglieva dai panni se non dopo che l'aveva imparata; quindi tutto allegro, come avesse scoperto un tesoro, la insegnava a quei di sua casa. Ed allora giubilava molto osservando la nuova sua preghiera entrata in consuetudine nella famiglia, o recitata da' suoi compagni. Le due seguenti erano per così dire il suo Mattutino e la sua Compieta.
Appena svegliato, fatto il segno della s. Croce, balzava dal letto recitando forte, od anche cantando la seguente orazione: «Anima mia, alzati su: guarda al Ciel, ama Gesù: ama chi ti ama, lascia il mondo che t'inganna: pensa che hai da morir, tuo corpo ha da marcir: e perché sii esaudito, di' a Maria tre volte l'Ave Maria».
Siccome nei primi anni non poteva comprendere il significato di questa orazione, cosi importunava ora il padre, ora la madre, o qualche altro, che gliela spiegassero. Quando poi era giunto a comprenderla diceva: Adesso la recito con maggior divozione. Col tempo questa preghiera divenne la regola di sua condotta.
La sera poi incamminandosi al riposo, come la mattina recitava con espressione assai viva la seguente: «A coricarmi io mi vo, non so se mi leverò: quattro cose dimanderò: Confessione, Comunione, Olio Santo, Benedizione Papale. Nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo».
Compiacevasi in modo particolare di ragionare delle cose di religione, degli esempi di virtù da altri praticati, che egli subito cercava di imitare. Se talvolta era alquanto malinconico, e volevasi rallegrare, bastava parlargli di cose spirituali, o del profitto, che poteva ricavare nel frequentare la scuola.
La sua obbedienza agli ordini dei genitori, dice il Parroco, era così pronta che sovente ne preveniva i desiderii in modo, che non ebbero mai ripulsa dal medesimo, e nemmeno ravvisarono la più piccola indolenza nell'eseguire i loro comandi. Le sue sorelle ancora affermano essere non rare volte accaduto, che per inavvertenza, o perché occupate in altri lavori, avendo esse alquanto differita l'esecuzione degli ordini dei genitori, ne furono sempre rimproverate dal loro fratellino. Atteggiandosi in tali circostanze in atto supplichevole, «e che? - esclamava - è già una mezz'ora che nostra madre vi comandò quella cosa, e voi aspettate ad eseguirla? Non è bene dar motivo di disgusto a chi tanto ci ama».
Era poi tutto dolcezza ed amore verso i fratelli e le sorelle, non mai offendendosi quantunque fosse dai medesimi rimproverato. Con loro compiacevasi d'ordinario trattenersi a divertimento, perché egli giudicava non potere dai medesimi imparare altro che bene. Confidava loro ogni pensiero, e perfino li pregava ad invigilare sopra de' suoi difetti. «Qui mi rincresce - dice il Parroco - di non poter descrivere la buona armonia, che regnava in questa famiglia composta in allora di otto persone le quali potevano dirsi esemplari in tutta la loro condotta, sia per la ritiratezza in casa, sia per la loro frequenza e divozione alle sacre funzioni».
Cinque anni fa essendo partito pel servizio militare il suo maggior fratello Giovanni, il nostro Francesco non cessava di dargli santi avvertimenti per sua norma, affinché si mantenesse buono come era in casa. «Procura - conchiudeva - di essere vero divoto di Maria SS. Essa certamente ti aiuterà. Io dal mio canto non mancherò di pregare per te. Fra poco ti scriveremo delle lettere». Tutto ciò diceva in età appena di anni nove. Quindi rivolto ai genitori, che in quei figlio perdevano il braccio più forte pei lavori di campagna, «voi piangete - loro diceva - ma Iddio ci consolerà in altro modo col conservarci la sanità, ed aiutarci nei nostri lavori. Io poi farò tutto il possibile per aiutarvi». Che gran lavoratore di campagna! Eppure fu così; con grande stupore di tutti attendeva in modo straordinario ai lavori che gli erano comandati, volendo anzi intraprenderne molti altri, che i parenti credevano incompatibili colle sue forze. In mezzo ai lavori di campagna manteneva sempre inalterata la sua giovialità, non ostante la stanchezza, inseparabile dal suo ardore nei medesimi. Se qualche volta suo padre per celia dicevagli: Francesco sembri assai stanco dal lavoro, egli ridendo rispondeva: «Ah! mi sembra che questi lavori non siano fatti per me. Mio padrino mi dice sempre che studii; chi sa che egli non mi aiuti». Né passava mai giorno senza parlare in famiglia del suo desiderio di frequentare le scuole. Andava a scuola nell'invernale stagione, ma non dispensavasi mai dai servigi domestici, come pur troppo si usa dai ragazzi, per attendere ai divertimenti nelle ore libere dallo studio. Il tenore della sua vita pel tempo in cui frequentò la scuola in Argentera fu il seguente.
Sebbene i genitori di Francesco avessero molto bisogno del suo servizio, tuttavia persuasi che la scientifica istruzione è un mezzo efficacissimo per imparare la religione, lo avviarono per tempo a scuola. Ecco pertanto qual fu la sua condotta scolastica. Alzavasi alla mattina di buon'ora recitando l'indicata orazione: Anima mia, alzati, su, ecc., fermandosi ben sovente a meditarne il significato. Appena levato o solo o colla famiglia recitava le lunghe sue orazioni, quindi attendeva allo studio fino al tempo della scuola, dopo la quale con sollecitudine ritiravasi nella casa paterna per attendere ad alcuni lavori di famiglia. A tanta diligenza corrispondeva il profitto che otteneva in classe, e sebbene non dimostrasse grande ingegno, tuttavia supplendovi colla diligenza nei doveri, e coll'esatta occupazione del tempo nel fare i temi e nello studiare le lezioni vi fece notabilissimo progresso.
Il maestro aveva in generale proibito a' suoi allievi di andare girovagando nelle stalle durante la invernale stagione. In ciò Besucco fu oggetto di ammirazione a tutti. Non solo osservò scrupolosamente la ritiratezza, ma col suo esempio trasse molti compagni ad imitarlo con grande vantaggio della scienza e della moralità, e con viva soddisfazione di Valorso Antonio, maestro, dei genitori e degli allievi.
Raramente dopo il pranzo usciva di casa a divertimento, e se n'era quasi intieramente dimenticato alcuni mesi prima che venisse all'Oratorio.
Esilarato alcuni istanti il suo giovanile temperamento ritornava allo studio finché suonasse la scuola, nella quale per testimonianza del citato suo maestro dimostrò mai sempre tutta la possibile diligenza ed attenzione a quanto insegnavasi, e rispetto inalterabile. Esso procurava di aiutare il maestro nell'insegnare a leggere ai fanciulli principianti, e lo faceva con disinvoltura e con edificazione. In tutto il tempo che frequentò la scuola comunale fu sempre riguardato dai compagni quale esempio di morigeratezza e diligenza. Essi avevano concepito tanta stima pel nostro Francesco che guardavansi fino di lasciar sfuggir parole meno dicevoli alla sua presenza. Erano certi che le avrebbe disapprovate e fattene loro severe dimostranze, come accadde non poche volte. Che se alcuno più giovane di lui lo richiedeva di istruzione fuori della scuola, era sua passione il prestarsi di buon cuore, animandolo ancora a richiederlo ben sovente. Ma nello stesso tempo non mancava mai di pascolarne lo spirito con avvisi salutari ed animarlo alla divozione.
Dalla relazione fatta dallo zelante suo maestro raccolgo ancora alcuni fatti che qui letteralmente trascrivo. «Ogni qual volta fossero sorte risse fra i suoi condiscepoli si lanciava tosto in mezzo di loro per acquetarli. "Amici come siamo - loro diceva - non conviene percuoterci, tanto meno per queste inezie che non hanno alcun nome: vogliamoci bene, sappiamo compatirci gli uni gli altri come comanda Iddio". Queste ed altre simili parole bastavano d'ordinario a mettere la pace tra i compagni litiganti. Se osservava le sue parole non essere capaci di pacificarli, abbandonavali all'istante.
Quando udiva darsi il segno della scuola o delle sacre funzioni egli invitava i suoi compagni a desistere dai divertimenti. Giuocando un giorno alle bocce udì il suono della campana che li chiamava al catechismo. Francesco disse tosto: "Compagni, andiamo al catechismo, fìniremo la partita dopo la funzione parrocchiale". Ciò detto disparve dai loro occhi. Terminata la funzione si restituì ai compagni, ai quali dolcemente rimproverò la perdita di questa pratica di pietà e d'istruzione; intanto per renderseli vie più amici comprò loro delle ciliegie. A questi segni di generosità e di cortesia quei compagni promisero che in avvenire non avrebbero mai più trascurate le cose di religione per attendere ai divertimenti.
Se a caso avesse udito taluno a pronunziar parole indecenti mostravasi tosto in volto mortificato; quindi lo abbandonava o facevagli severo rimprovero. Spesse volte fu udito dire: "Cari compagni, non dite tali parole! con queste voi offendete Dio e date scandalo ad altri". Attestano anche i medesimi compagni che Francesco li invitava ben movente a far qualche visita al SS. Sacramento ed a Maria SS. e che mi prestava volenteroso ogni qual volta poteva compiacere i medesimi in ciò che riguardava la scuola.
Altre volte sentendo suonare l'Ave Maria: "Orsù, amici, - diceva - recitiamo l'Angelus e poi seguiteremo il nostro divertimento".
Il medesimo invito ripeteva ai compagni nei giorni di vacanza per farli assistere alla santa Messa.
Nella mia qualità di maestro comunale d'Argentera debbo, per maggior gloria di Dio, dichiarare che il pio giovanetto Besucco, nei cinque anni in cui frequentò la mia scuola, non fu mai secondo ad alcuno nella diligenza nel recarsi alla scuola. Se mai avesse osservato compagni negligenti, sapeva così ben avvertirneli che quasi da volere a non volere divenivano più diligenti. Nella scuola poi il suo contegno non poteva essere migliore, sia nell'osservare il silenzio, sia nella | p. 30 | costante attenzione a quanto insegnavasi. Prestavasi inoltre con gran piacere a far leggere i più piccoli e ciò faceva con sì bel garbo e con tanta amorevolezza che era da loro assaissimo amato e rispettato».
(Fin qui il maestro).
Ritornato appena dalla scuola correva ad abbracciare i suoi genitori, esibendosi pronto ai loro cenni fino all'ora di prender cibo. Nella frugale mensa non trovava mai alcun motivo di lamento o per la qualità o per la quantità dei cibi. In tutte le sue azioni non dimostrava volontà. alcuna e scorgendo altri in famiglia non soddisfatti nei proprii desideri loro diceva: «Quando sarete padroni farete poi a modo vostro, ma per ora dobbiamo uniformarci alla volontà dei nostri cari genitori. Siamo poveri e non possiamo vivere e comparire ricchi. A me non importa niente vedere i miei compagni ben vestiti, mentre lo non posso avere bella vestimenta. La più bella veste che possiam desiderare è la grazia di Dio». Egli aveva pe' suoi genitori rispetto sommo; li amava col più tenero amor figliale, loro ubbidiva ciecamente, né cessava mai dal magnificare quanto essi facevano per lui. Pel che era da loro tanto amato, che sembrava troppo molesto il tempo in cui non l'avevano in loro compagnia. Se qualche volta i fratelli e le sorelle o per divertimento o per altro motivo gli dicevano: Tu, Francesco, hai ben ragione di essere contento, perché sei il Beniamino di tutti. Sì, è vero - rispondeva - ma io procurerò sempre di essere buono e meritarmi il loro e il vostro amore. La qual cosa era tanto vera, che ricevendo qualche piccolo regaluzzo, o guadagnando qualche moneta per servizi ad altri prestati, giunto a casa, o rimetteva il guadagno nelle mani dei genitori, oppure ne faceva parte ai fratelli od alle sorelle dicendo: Vedete, quanto vi amo! Vegliando la sera nella propria stalla, da cui usciva rarissimamente, per non associarsi con altri compagni, impiegava il tempo divertendosi coi famigliari, studiava le sue lezioni, oppure compieva qualche altro suo dovere scolastico. Di poi ad un'ora determinata invitava tutti a recitare la terza parte del Rosario colle solite orazioni, prolungandole pel vivo desiderio di trattenersi con Dio recitando molti Pater noster. Né mai dimenticava di raccomandare speciale preghiera per ottenere da Dio sanità a suo padre ed a' suoi fratelli che nell'inverno dimoravano fuori del paese a fine di guadagnare col lavoro delle loro mani di che sostentare la famiglia.
Chi sa, diceva sovente piangendo, quanto freddo soffrirà nostro padre per noi! oh quanto sarà mai stanco, e noi stiam qui tranquilli mangiando il frutto de' suoi sudori! Ah! preghiamo almeno per lui.
Di suo padre assente discorreva ogni giorno, e, per dir così, lo accompagnava ovunque col pensiero ne' suoi viaggi.
Soleva eziandio nelle veglie applicarsi alla lettura di libri divoti, che procurava farsi provvedere dal padrino e dal maestro, che ben volentieri gliene somministravano. Più volte nel giorno o lungo la sera, vedendo la stalla piena di gente, loro diceva: Oh! ascoltate il bello esempio che ho trovato in questo libro; e lo leggeva ad alta e sonora voce, a segno che pareva un predicatore. Che se gli cadeva tra le mani la vita di qualche pio giovanetto, oh! allora questo era il suo caro libro, che diventava il soggetto de' suoi discorsi e della sua imitazione. «Fosse vero che potessi anch'io diventar tanto buono, quanto costui! sì che sarei fortunato, non è vero, mia cara madre?». «Due anni fa - dice il Parroco - lesse la vita di s. Luigi Gonzaga, e da quel tempo ne divenne imitatore, specialmente nell'occultare le buone azioni che faceva. Ma alcuni mesi dopo, essendogli stata regalata la vita di Savio Domenico e di Michele Magone, specialmente leggendo la vita di quest'ultimo diceva con gioia: "Ho trovato il vero ritratto delle mie divagazioni; ma almeno Iddio mi concedesse di potermi emendare de' miei difetti, ed imitare la buona condotta ed il santo fine del mio caro Magone", così lo chiamava. E qui gli nacque - continua il Parroco - curiosità straordinaria di farsi spiegare il modo, con cui doveva imitare quel giovanetto, e mi richiese se non sarebbe stato possibile di farlo entrare nello stesso stabilimento, in cui parevagli, che avrebbe tanto profittato nella virtù. È questo il frutto principale che il nostro Francesco ricavò dalla lettura dei libri buoni. Dio volesse che tutti i miei fanciulli parrocchiani attendessero a queste buone letture. Sarebbero al certo di grande consolazione ai loro genitori».
Siccome la mattina Francesco invitava l'anima sua innocente a sollevarsi al cielo, così la sera la intratteneva nelle tenebre del sepolcro con qualche pio e devoto pensiero. Interrogato più volte che facesse posto a letto, rispondeva: Mi figuro di mettermi nel sepolcro, ed allora il primo pensiero che mi viene in mente è questo: Che sarà di te, se cadrai nel sepolcro dell'inferno? Spaventato da questo riflesso, mi metto a pregare ben di cuore Gesù, Maria, s. Giuseppe ed il mio Angelo Custode, e non finisco più di pregare, finché non sia addormentato. Oh! quanti bei proponimenti faccio mai la sera posto a letto per timore di dannarmi. Se mi sveglio la notte seguito a pregare, e mi rincresce molto se il sonno nuovamente mi sorprende.
Sebbene il nostro Besucco sia stato fin da fanciullo prediletto dal Signore, tuttavia dobbiam dire che la vigilanza dei genitori, la sua buona indole, la cura amorevole che di lui si prese il proprio Parroco giovarono potentemente al felice risultato della morale sua educazione. Fanciullino ancora era già da' suoi genitori condotto alla chiesa; gli prendevano le mani, lo aiutavano a far bene il segno della Croce, gli additavano il modo ed il luogo, in cui doveva inginocchiarsi, e l'assistevano colla massima amorevolezza. Appena ne fu capace era dai medesimi condotto a confessarsi. Ed egli mosso dall'esempio, dai consigli, dagli incoraggiamenti dei parenti si affezionò per tempo a questo Sacramento in modo che ben lungi dal provare l'ordinaria apprensione, o specie di ripugnanza, che i ragazzi sogliono manifestare nel presentarsi a persona autorevole, egli ne provava invece tutto il piacere. Ma la fortuna di questo giovanetto è in gran parte dovuta al proprio Parroco D. Francesco Pepino. Questo esemplare sacerdote occupava con zelo le sue forze, e le sue sostanze a bene de' suoi parrocchiani. Persuaso che non si possono avere buoni parrocchiani, se la gioventù non è bene educata, niente risparmiava, che potesse tornare a favore dei fanciulli. Faceva loro il catechismo in qualsiasi stagione o tempo dell'anno; li ammaestrava intorno al modo ed alle cerimonie stabilite per servire la s. Messa; faceva anche la scuola, e non di rado andava di loro in cerca alle proprie case, sui lavori, e negli stessi luoghi dei pascoli. Quando gli avveniva di ravvisare qualche fanciullo che palesasse attitudine allo studio, alla pietà, ne formava specialissimo oggetto delle sue sollecitudini. Per la qual cosa appena si accorse delle benedizioni che il Signore spandeva copiose sopra del nostro caro Besucco, nol perdé più di vista, e volle egli stesso dargli le prime cognizioni del catechismo, e a suo tempo prepararlo alla prima confessione. Con maniere amorevoli e proprie di un tenero padre si guadagnò il cuore di lui per modo, che il giovanetto provava le sue delizie ogni qualvolta poteva conversare coll'amato suo padrino, o udire da lui qualche parola di conforto o di pietà.
Lo scelse per suo stabile confessore, e continuò a confessarsi da lui in tutto il tempo che visse in Argentera. Il Parroco lo consigliò a cangiar qualche volta confessore, e gliene porse ben anche occasione ma egli lo pregava di volerlo sempre confessare egli stesso. Con lei, diceva, caro Padrino, ho tutta la confidenza. Ella conosce il mio cuore. | p. 33 | Io le manifesto sempre ogni segreto. lo l'amo molto, perché Ella molto ama l'anima mia.
Io credo, che la più grande fortuna per un giovanetto sia la scelta di un confessore stabile, cui apra il suo cuore, confessore che si prenda cura dell'anima di lui, e che coll'amorevolezza, e colla carità lo incoraggi alla frequenza di questo Sacramento.
Non solamente il nostro Francesco dipendeva dal suo Parroco nelle cose di confessione, ma eziandio in tutto ciò che avrebbe potuto contribuire al suo bene spirituale e temporale. Un semplice consiglio od anche un solo desiderio esternato dal suo Padrino era per lui un comando, che con gioia premurosamente eseguiva. È poi sommamente amena ed edificante la maniera, che egli teneva nella frequenza di questo Sacramento. Alcuni giorni prima parlava della sua prossima confessione, protestando coi fratelli e colle sorelle di volerne quella volta ricavare profitto. Ad essi tanto più nei primi anni raccomandavasi, affinché gli insegnassero a confessarsi bene, interrogavali, come essi facevano a conoscere le mancanze commesse, e a ricordarsi dei peccati in sì lungo spazio di tempo, che era circa un mese. Faceva poi grandi meraviglie che dopo la confessione si potesse di nuovo offendere Iddio, al quale si è promessa fedeltà. Quanto mai è buono, diceva, Dio a perdonarci i nostri peccati non ostante la nostra infedeltà ad osservare i fatti proponimenti; ma quanto è più grande l'ingratitudine, che continuamente usiamo ai tanti benefizi, che ci fa! Ah! dovremmo tremare al solo riflettere alle nostre infedeltà. lo per me sono disposto a fare e a soffrire ogni cosa prima di offenderlo nuovamente. La sera precedente alla confessione interrogava suo padre, se la mattina vegnente non aveva qualche lavoro pressante a fare. Richiesta la ragione gli diceva, che aveva piacere di andarsi a confessare.
Al che di buon animo accondiscendeva sempre il genitore e Francesco passava quasi tutta quella notte nel pregare o nell'esaminarsi per meglio disporsi, quantunque la sua vita fosse una continua preparazione. La mattina poi senza più parlare con alcuno recavasi in chiesa, ove col massimo raccoglimento preparavasi alla grande azione. Lasciava per altro sempre che si confessassero quelle persone che dubitava aver poco tempo per fermarsi in chiesa. Questa sua condiscendenza verso gli altri, specialmente nel rigore dell'inverno, mi obbligò non poche volte, dice Il Parroco, a chiamarlo io stesso al confessionale, vedendolo già tutto intirizzito dal freddo. Fu talvolta richiesto del suo lungo attendere prima di confessarsi. Io posso aspettare, rispondeva, perché i miei genitori non mi rimproverano del tempo passato in chiesa; ma forse gli altri potrebbero annoiarsi, o ricevere qualche rimbrotto in casa, tanto più le donne che hanno ragazzi. I fratelli e le sorelle alle volte per facezia gli dicevano: Tu vai sovente a confessarti per ischivar la fatica. - Quando voi altri andrete a confessarvi, rispondeva egli, io vi supplirò di buon grado in tutto ciò che posso. Oh! sì andate pur sovente, che io ne sono ben contento! E qui qual maestro di spirito non rare volte loro diceva: Quella pigrizia che alle volte si sente, quella incertezza per la confessione, quel differirla da un giorno all'altro sono altrettante tentazioni del demonio. Sapendo esso quanto potente ed efficace rimedio sia la frequente confessione per correggerci dei nostri difetti, fa ogni sforzo per tenercene lontani. Oh! quando trattasi di fare il bene abbiam sempre paura del mondo; alla fine dei conti non è il mondo che ci dovrà giudicare dopo la morte: è Dio che ci dovrà giudicare, a lui solo e non ad altri dovremo dar conto delle nostre opere, e non al mondo: da lui solo dovremo aspettarci eterna ricompensa. Quando sono confessato, diceva altre volte ai famigliari, provo tanta contentezza che desidererei fino di tosto morire per liberarmi dal pericolo di offender di nuovo Iddio. Il giorno in cui si accostava ai Ss. Sacramenti privavasi quasi sempre d'ogni divertimento. Interrogato dal Parroco perché ciò facesse, rispondeva: Quest'oggi non debbo contentare il mio corpo, perché il mio Gesù fece goder tante e sì dolci consolazioni all'anima mia. Quello che mi rincresce si è di non esser capace di ringraziare il mio Gesù Sacramentato dei benefizi continui che mi fa. Passava intanto quella giornata in un santo raccoglimento e per quanto gli era possibile in chiesa.
Da sicure informazioni mi risulta che il buon Francesco per meglio disporsi a ricevere degnamente i Ss. Sacramenti soleva dire: Questa confessione può essere l'ultima di mia vita, ed io voglio farla come se realmente fosse l'ultima.
Non è fuor di luogo il notare come i genitori di Francesco gli lasciassero piena libertà di andar tutti i giorni a udire la s. Messa; anzi parendo talvolta dubbioso, se dovesse andare o no ad ascoltarla per timore di trascurare qualche suo dovere, lo mandavano eglino stessi. Della qual cosa molto contento soleva dire a' suoi genitori: Oh! siate certi, che il tempo impiegato nell'udir la s. Messa si compenserà abbondantemente nella giornata, perché Iddio è buon rimuneratore, ed io lavorerò più volentieri. Che se avvenivagli qualche mattina di non potervi assistere, soleva recitare in compenso questa popolare preghiera, che è molto divulgata in quel paese: l'avea imparata in età di quattro anni. «La messa suona, s. Marco l'intuona, gli Angeli la cantano, e Gesù Bambino porge l'acqua e il vino. Fatemi, o Gesù, un po' parte della Messa del corrente mattino».
Il padre di Francesco soleva per facezia interrogarlo come avrebbe fatto a passare quella giornata senza messa, ed egli colla massima semplicità rispondevagli: Iddio mi aiuterà lo stesso, perché ho detta la mia orazione, e poi pregherò un poco di più questa sera.
Credeva assai facilmente ai detti altrui, così che per divertimento i suoi compagni talvolta gliene facevano credere delle grosse. Ma quando si accorgeva di essere burlato si mostrava tutto contento. Non mai si vide dar segni di vanagloria per la stima, in cui era tenuto dai genitori, conoscenti e dal Parroco. Buon per me, diceva alcuna volta, che non mi conoscono, altrimenti non mi vorrebbero tanto bene. La sua attività nello studio, che lo rendeva superiore a' suoi compagni, ben lungi dal farglieli disprezzare, faceva loro usare ogni possibile indulgenza nella recita delle lezioni. Se veniva alcuna fiata rimproverato di qualche ragazzata sia che fosse o non fosse colpevole, tutto contrito rispondeva: Non la farò più, e mi farò più buono. Voi mi rimproverate, ma so che mi compatite. E qui correva ad abbracciare ed accarezzare i suoi genitori il più sovente colle lagrime agli occhi. Essi non ebbero mai occasione di castigare questo loro figlio. Nella stagione estiva attendeva in compagnia della famiglia ai lavori di campagna, nei quali godeva poter sollevare alcun poco i fratelli e le sorelle, per quanto il comportavano le sue forze.
Nel tempo del riposo non volendo neppure stare ozioso iniziava alcuni discorsi di religione, oppure interpellava suo padre su qualche dubbio, od oscurità in materia spirituale.
Nella preghiera con piacere si tratteneva andando e venendo dalla campagna. Ben sovente accadde a me, e ad altri, dice il Parroco, d'incontrarlo per via tanto assorto nella preghiera che neppure accorgevasi di averci vicini. Se fuor di casa incontravasi in qualche pericolo od occasione di essere scandalizzato per le imprecazioni o bestemmie udite, o pei cattivi discorsi che non poteva non udire, tosto faceva il segno della santa Croce, oppure diceva: Dio sia benedetto, benedetto il suo santo Nome. Se gli riusciva incominciava egli stesso discorsi diversi. Avvertito qualche volta dai suoi parenti a guardarsi dal seguir le massime di alcuni perversi compagni, loro rispondeva: Vorrei che piuttosto mi seccasse la lingua in bocca a preferenza di servirmene a disgustare il mio Dio.
Quando andava alla pastura delle pecore portava sempre seco qualche buon libro divoto, o scientifico, che procurava di leggere in presenza di altri compagni quando essi avevano piacere di ascoltarlo, altrimenti leggeva da sé, o si occupava nella preghiera osservando a puntino il comando del Salvatore, di pregare senza intermissione.
Il padre di Francesco per provvedere alla famiglia il necessario sostentamento prese la custodia del gregge comunale, al quale ufficio di quando in quando destinava eziandio il figliuolo specialmente nei giorni festivi, affinché gli altri fratelli potessero almeno in qualche festa intervenire alle funzioni parrocchiali. L'ubbidiente Francesco accettava di buon grado quell'incarico dicendo: Se non posso in questo giorno intervenire alle sacre funzioni, procurerò di santificare la festa in qualche altro modo. Tu intanto, diceva al fratello, ricordati di me in chiesa. Giunta poi l'ora delle sacre funzioni, egli soleva condurre il gregge in luogo sicuro, quindi formata una croce su qualunque oggetto, davanti a quella s'inginocchiava per farvi preghiera o lettura. Talvolta andava a nascondersi in un antro della montagna, dove prostrato innanzi a qualche sacra immagine, che sempre conservava in un libro divoto, recitava le medesime preghiere, come se fosse realmente presente alle funzioni di chiesa: poscia faceva la Via Crucis. La sera cantava da solo il vespro, recitava la terza parte del rosario, ed era per lui grande festa, quando poteva trovar compagni, che lo aiutassero a lodare Iddio. In questi atteggiamenti fu dai medesimi compagni sorpreso ben sovente in preghiera e meditazione così fervorosa, che il suo sembiante pareva quello di un angelo. Se gli avveniva di trovar compagni indulgenti pregavali a dar d'occhio alle sue pecore dicendo aver egli qualche cosa a fare, e così se ne allontanava per un certo tempo. Ma conscii i compagni della sua consuetudine per lo più vi si prestavano volentieri.
Più tardi egli ricordava con gran piacere i pascoli del Roburento e del Dreco, che sono le montagne, sopra cui Francesco soleva condurre il gregge al pascolo.
Quando mi trovava, soleva dire, nelle solitudini del Roburento io provava eziandio colà le mie delizie. Io volgeva gli occhi in que' profondi dirupi, che conducevano il mio sguardo in una specie d'oscura voragine; e questo mi ricordava gli oscuri abissi e le eterne oscurità dell'inferno. Qualche uccello dal basso delle valli volava talvolta fin sopra al mio capo; e questo mi faceva venire in pensiero, che noi dobbiamo dalla terra sollevare gli affetti del cuore in alto verso Dio. Rimirando il sole a spuntar sul mattino diceva in cuor mio: Ecco la nostra venuta nel mondo. Il tramonto poi della sera mi annunziava la brevità e la fine della vita che viene senza che noi ci badiamo. Quando poi mi metteva a rimirare le alte cime della Maddalena e di altri monti bianchi di neve, facevami venir in mente l'innocenza della vita, che ci solleva fino a Dio e ci merita le sue grazie, le sue benedizioni, il gran premio del paradiso. Dopo queste ed altre considerazioni mi volgeva verso al seno di qualche monte e mi metteva a cantar lodi alla Madonna. Quello era per me uno de' più cari momenti, imperciocché io cantava e l'eco degli antri della montagna ripeteva la mia voce, ed io godeva come se gli angeli del paradiso mi aiutassero a cantar le glorie della grande Madre di Dio.
Questi erano i pensieri che occupavano il cuore del pio pastorello, quando conduceva le pecore sopra le montagne d'onde non poteva recarsi a prendere parte alle sacre funzioni di chiesa.
Ma alla sera appena giunto a casa, si ristorava alquanto, di poi correva tosto alla chiesa per compensare (sono sue parole) la mancanza di divozione di quel giorno. Oh! quante scuse domandato avrà in quelle visite a Gesù Sacramentato!
Non mancava mai di farsi il segno della s. Croce e recitare qualche preghiera ogni volta che passava avanti a qualche chiesa, e molto più se vi era il SS. Sacramento.
Che se custodiva solamente il gregge paterno, come in primavera ed in autunno, allora di consenso coi genitori conduceva le sue pecore a casa, o le consegnava ad altri compagni per accorrere alle funzioni parrocchiali della mattina e della sera. Oh! perché non tutti imitano sì santa industria del nostro Francesco per non mancare né ai doveri di religione, né agli affari di casa. Pur troppo si osserva che molti si dispensano per futili motivi di frequentare le funzioni parrocchiali nei giorni festivi. L'esempio del buon giovanetto aggiunge efficacia a le raccomandazioni dei sacerdoti, che predicano ed inculcano la santificazione delle feste.
Nelle conversazioni e ricreazioni coi compagni egli era gioviale quanto altri mai. Sceglieva d'ordinario quei divertimenti, che addestrano il corpo alla fatica, solendo dire ai compagni ed ai genitori: Dovendo poi partire pel militare servizio mi addestro per tempo e potrò certamente riuscire un buon bersagliere. Fuggiva gli alterchi, e per evitarli tollerava talvolta insulti ed anche maltrattamenti. Non di rado per non venire a contesa abbandonava l'indiscreta compagnia | p. 38 | e ritornavasi frettoloso a casa. Tale prudenza usò mai sempre nel fuggire qualunque discorso, che potesse ridondare in discredito di alcuno, cogliendo invece le frequenti occasioni di lodare le altrui virtù. Se veniva corretto di qualche sua fanciullaggine non mai offendevasi, né tampoco rispondeva bruscamente, ma chinando il capo ne dimostrava il suo pentimento, soleva dire: Questa correzione è segno dell'amore che mi portano. Se nel tempo delle ricreazioni udiva il segno della scuola, della messa, delle sacre funzioni, o la voce dei genitori che il richiamavano a casa, non frapponeva indugio, dicendo: Quei richiami sono altrettante voci di Dio, che richiedono da me pronta ubbidienza.
Fin da giovanetto, come si disse più sopra, cominciò Francesco a dimostrare alla santa casa di Dio straordinario rispetto e venerazione. Appena giunto sul limitare della medesima comparivagli sulla faccia quella gravità di portamento che si conviene al luogo santo. Per desiderio di giugnere il primo in sacrestia a servire la s. Messa, inconsideratamente gli avvenne talvolta di correre per la chiesa, ma una semplice occhiata del parroco o di altra persona bastava a fargli comprendere l'inconsiderato suo procedere: pel che imponevasi tosto qualche penitenza, o con fare una visita al SS. Sacramento, o stando per tempo notabile in chiesa da solo a pregare in positura incomoda, o colle braccia in forma di croce, o colle mani sotto le ginocchia. Quante gare, dice il parroco, mi occorse di vedere nella sagrestia tra il nostro Francesco ed altri giovanetti per essere trascelti al servizio dell'altare! Non di rado succedeva che io stesso per mettere alla prova la sua virtù, e per evitare la taccia di parzialità, per essere mio figlioccio, preferiva altri a lui quantunque venuti insieme in chiesa. Rimaneva, è vero, alquanto confuso, ed anche lacrimante, ma ben lungi dal mostrarsi offeso lo rimirava star con eguale divozione alla s. Messa. Ebbene io mi rifarò di questa mortificazione, diceva ai compagni, dimani verrò io il primo, e lo era quasi sempre. Queste furono forse le uniche contese co' suoi compagni. D'allora in poi animati essi dall'esempio di Francesco seguono molti a dimostrare pel servizio della s. Messa quello zelo che loro infuse. D'ordinario egli stava colle mani giunte, e cogli occhi fissi nel sacro ciborio, o nel sacerdote celebrante, oppure leggendo qualche libro divoto. Inteneriva al solo vederlo porgere le ampolline. Le sue labbra erano in continuo movimento di preghiera mentre le sue mani servivano all'altare. Tu il vedevi con ciglio dimesso, con sembiante raccolto, passo grave attendere al suo ufficio di ministro, come se fosse già un chierico perfettamente addottrinato nelle cerimonie della Chiesa. Non contento Francesco di prestare a Gesù Sacramentato tutto quell'onore, che da sé poteva, procurava ancora colle sue belle maniere di farlo onorare da' suoi compagni. Andava perciò tutte le feste in sacrestia a richiedere libri di divozione appositamente provvisti per dispensarli egli stesso a' suoi compagni, affinché udissero con divozione la s. Messa, e non si divagassero al tempo dei vespro.
Ma, mio caro, che hai che tanto piangi? il richiese non rare volte i1 Parroco. Ho ben motivo di piangere, rispondeva, perché alcuni non vogliono accettare il libro, mentre so che non l'hanno, ed io li vedo guardare qua e là senza pregare. Solamente allora consolavasi quando venivano a lui richiesti i libri. Prestavasi volentieri a tutti gli uffici di chiesa. Provvedeva il fuoco per la benedizione, l'acqua ed il vino per la s. Messa, prima di cui aveva la sorprendente avvertenza d'invigilare, se niente vi mancasse pel decoro delle funzioni. Egli insomma poteva dirsi trapiantato nella casa del Signore.
Era suo costume non solo d'intervenire ogni giorno per le funzioni parrocchiali, ma bensì tutti i giorni faceva la visita al SS. Sacramento. Andava poi a prostrarsi innanzi all'Altare consacrato a Maria SS. trattenendosi non di rado delle lunghe ore. Non solamente il Parroco, ma molti eziandio de' suoi compatriotti, attestano di averlo veduto in queste visite in atteggiamento tanto divoto da sembrare estatico. Recitava tutti i giorni il Ricordatevi, o piissima Vergine Maria, ecc., con un'Ave Maria e l'invocazione Sancta Maria Auxilium Christianorum, ora pro nobis. Di questa orazione facevasi maestro a' suoi compagni, perché tutti l'imparassero, e la recitassero sovente. Nelle feste poi, e sovente ancora nei giorni feriali, oltre la consueta visita amava recitare le orazioni della sera in chiesa, e tutte le altre sue predilette preghiere, che per dimenticanza o per impotenza avesse tralasciate nel decorso di quella settimana con ammirazione di quanti osservavano tanta virtù in un giovanetto di sì tenera età.
Qui pare a proposito di accennare, come Francesco fosse molto divoto verso il crocifisso miracoloso, che da tempo immemorabile si venera nella Confraternita dei Disciplinanti d'Argentera, di Sambucco, Pietra Porzio, Ponte Bernardo, e Bersezio. A questo crocifisso si fa ogni stagione dell'anno grande concorso di gente per ottenere la fer- tilità della campagna in occasione di siccità, o di piogge troppo prolungate. È rarissimo il caso, in cui venendo processionalmente ad intercedere favori non siano stati esauditi. Non poteva ancora il pio ragazzo pronunziare distintamente queste due parole: Benedetto Cristo (nome che si dà al crocifisso miracoloso), che richiedeva già dai genitori un Pater al bep Crist. Nacque con lui questa divozione. Oltre a quelle frequenti visite recitò nella stessa confraternita per tre anni (1861-62-63) nelle sere estive il Rosario. Per soddisfare a questo pio desiderio del Rosario e per udire la santa messa tutti i giorni talora dimenticava il desinare o la cena, dicendo voler prima pensare all'anima che al corpo. Questa sua mortificazione per attendere alle opere di pietà era divenuta cosi abituale, che gli stessi parenti usavano molta attenzione per non darci causa. Terminato il Rosario Francesco non usciva cogli altri di chiesa, ma fermavasi ancora in essa notabile tempo a fine di appagare l'ardente suo desiderio di onorare Iddio e la sua SS. Madre. Credevasi a ciò tenuto, perché vedevasi da Dio in modo particolare favorito, come più volte lo attestò al suo Parroco, assicurando ancora, che sempre sentiva d'essere realmente alla presenza di Dio.
Il pensiero della presenza di Dio gli diventò così famigliare negli ultimi anni di sua vita, che potevasi dire in continua unione col medesimo. Ora che Francesco non è più fra noi, scrive il Parroco, ci pare tuttavia di vederlo al suo luogo attorno ai sacri altari, sentirlo dirigere le pubbliche preghiere, tanto ci eravamo abituati a contemplarlo in ogni occasione di qualche esercizio di cristiana pietà. Nell'anno 1860 richiesto a voler coadiuvare all'Opera pia della divozione a Maria SS. nel mese di maggio, egli vi si prestò volenteroso. Tutte le sere del mese recitava pubblicamente la terza parte del Rosario, oltre le ordinarie e particolari preghiere che a voce chiara da lui recitavansi e che i fedeli accompagnavano. Grande era la frequenza e tutti ammiravano la straordinaria divozione che spiccava nel nostro Francesco. Se il Parroco abbisognava di particolari aiuti nel disimpegno del suo dovere, o per animare qualche infermo alla confessione o prepararlo a ricevere il Viatico, raccomandava ogni cosa alle preghiere di Francesco ed era sicuro del favorevole risultato. Avvenne difatto un caso particolare di un certo, conosciuto da tutti come trascurato nelle cose dell'anima, che nell'ultima sua malattia non voleva riconciliarsi con Dio. Ma con grande ammirazione si arrese ben presto, dopo che il Parroco lo aveva raccomandato alle preghiere di Francesco.
Mancando il solito catechista ai fanciulli nei giorni festivi, per quattro anni Francesco ne fece le veci. Tanto impegno e tanta sollecitudine dimostrava nell'insegnarlo, che i medesimi ragazzi lo desideravano, professandogli grande rispetto. Per questo già da tre anni era dal Parroco trascelto a fare il Catechismo in numerosa classe nella quaresima. Soddisfatta la sua classe, ben lungi dall'andarsi a sollazzare coi compagni, egli invitavali ad andar seco ad ascoltare la spiegazione che del Catechismo facevasi alla classe dei più adulti. In questa istruzione e in tutte le prediche egli pendeva propriamente dal labbro del sacerdote. Non di rado avvenne che terminata la predica prendeva il Parroco in disparte, richiedendolo in qual modo potesse corrispondere alle prediche udite.
Giunto a casa aveva per costume di raccontare ai genitori e a tutta la famiglia quanto aveva udito in chiesa. Tutti erano grandemente maravigliati nel mirare un giovanetto di sì fresca età a ricordarsi di tante cose.
In questa come in tutte le altre sue pratiche religiose seguiva un altro suo compagno e cugino dell'Argentera morto nel 1861 di nome Valorso Stefano. Costui era tanto amante delle pratiche di divozione, che la sua perdita fu sentita in tutto il paese. Radunai allora, dice il Parroco, varii giovanetti e li interpellai, se vi era alcuno, che si sentisse di sottentrare nella diligenza e nella pratica dei religiosi esercizi di chiesa al compianto pio giovinetto. Guardaronsi un istante gli uni gli altri e tosto gli sguardi di tutti si voltarono verso di Francesco. Con volto rosso per verecondia, ma con animo risoluto egli si avanza verso di me dicendo: Eccomi pronto a sottentrare al mio cugino nelle pratiche religiose che mi verranno da lei indicate. Per quanto potrò prometto e voglio non solo emulare la diligenza per gli uffizi di chiesa praticati dal defunto mio cugino; ma se Iddio me ne darà la grazia, procurerò di sorpassarlo. lo porto le sue vestimenta, che mi furono regalate, e spero di vestirmi aziandio di tutte le virtù di lui.
Francesco cominciò la sua pia carriera coll'invitare i suoi compagni a fare una novena di preghiere all'altare di Maria SS. per l'anima del. predetto Valorso, assistendo in ciascun giorno alla s. Messa. Chi mai avrebbe detto, che una seconda novena si sarebbe presto fatta a questo stesso altare in suffragio dell'anima di lui, che fu primo a darne l'esempio? Feci menzione di questo fatto per far conoscere la molta arrendevolezza del nostro Francesco per tutto ciò che potesse tornare ad onor di Dio, ed a vantaggio dell'anima dei trapassati.
Nell'anno 1857 si fece ascrivere alla Pia Opera della Santa Infanzia. Godeva egli molto di essersi fatto ascrivere, ma una spina gli feriva il cuore, cioè la mancanza del soldo che ciascuno deve mensilmente pagare. Se ne accorse il Parroco, che tosto lo liberò da ogni angustia coi somministrargli quanto occorreva per quel bisogno, e ciò faceva volentieri per così premiarlo della lodevole sua condotta. Amava leggerne gli annali; e godeva assai nel mirare la pia sollecitudine e le industrie di tanti ragazzi nel coadiuvare tale opera. Non di rado Francesco piangeva per dolore di non poter recare ai poveri bambini infedeli quel soccorso che avrebbe desiderato. Ora per compensare la scarsità de' suoi mezzi naturali pel bene di quest'opera offeriva a Dio fervorose preghiere, e procurava che altri si ascrivessero ad essa, raccontando specialmente ai compagni gli esempi di tanti bambini stati salvati.
Nell'anno 1858 calpestando ogni umano rispetto aggiunse alle sue divozioni quella di fare tutte le feste la Via Crucis dopo la Messa parrocchiale. Tale uso ritenne finché partì per l'Oratorio. Ma l'ammirabile divozione con cui compieva questa pratica religiosa lo rendette non rare volte oggetto di disprezzo ad alcuni compagni. Trovarono. essi un amaro rimprovero alla loro poco cristiana condotta nella divozione di Francesco, perciò tacciandolo d'impostore, di bacchettone, lo esposero ad una specie di persecuzione, a fine di raffreddarlo nell'esercizio delle sue belle pratiche di pietà. Ma animato dai genitori, e confortato dal confessore non badò più ad alcuno e disprezzando le dicerie, le derisioni dei maligni fuggiva perfino il loro incontro, e proseguì sempre intrepido a praticare la Via Crucis con grande edificazione e vantaggio dei numerosi fedeli, che vi assistevano. Da quel tempo soleva dir sovente alle sorelle, che egli non badava più ad alcuna diceria del mondo e che anch'esse non si lasciassero mai intimidire nel fare il bene. Rispondendogli esse che alcuni gli davano il titolo di fratino, bigotto, ecc. E sapete, diceva, perché sono così deriso dal mondo? Perché io mi sono deciso a non più appartenere al mondo. Noi siamo al mondo per piacere e servire unicamente a Dio e non per servire e piacere al mondo. Procuriamo adunque di guadagnarci il Paradiso. Questo è appunto il fine, per cui Iddio ci lascia nel mondo.
Con questi santi pensieri in mente e sulle labbra, quando udiva alcuno a disapprovare il bene che faceva, per tutta risposta volgendogli le spalle ritiravasi nella casa paterna; mettendo in questo modo in pratica ciò che diceva ogni mattina nel levarsi: Lascia il mondo che t'inganna. Per questo il mondo maligno non lo amava, perché Francesco era distaccato dal mondo.
Nei famigliari discorsi, in cui il suo Parroco compiacevasi di trattenersi con esso, usciva spesse volte ad interpellarlo, se avrebbe ancora ritardato molto quel giorno da lui cotanto desiderato, nel quale potesse anch'egli accostarsi alla s. Comunione. Forse presto, rispondeva il Parroco, se studierai bene il catechismo, e se mi darai sempre buone prove del profitto che fai nella virtù. Tardarono pochi mesi che il giovinetto casto qual altro Giuseppe in premio della sua virtù meritò di essere ammesso alle nozze dell'Agnello immacolato, senza badare tanto alla tenera età di anni otto e mesi sei.
Trovandosi alla custodia delle pecore con altri due ragazzi poco di lui più giovani in una campagna vicina al paese nella primavera del 1858, questi fecero alcuni atti immodesti alla presenza del nostro Francesco. Offeso da quell'indegno procedere li rimproverò acremente dicendo:
«Se non volete farvi del bene col buon esempio, almeno non datevi scandalo. Fareste voi tali cose alla presenza del nostro Arciprete, o de' nostri genitori? Se non osate farle in presenza degli uomini come si oserà poi alla presenza di Dio?». Ma quando vide che tornavano inutili i suoi detti tutto sdegnato si allontanò dalla perversa compagnia. Ma che? uno di quei scellerati vedendolo a fuggire gli corse dietro per indurlo al male. Il povero Francesco scorgendosi inseguito si fermò ed affrontò il seduttore con calci, pugni e schiaffi. Neppure con questi mezzi potendo liberarsi dal pericolo si servì di un mezzo piuttosto da ammirare che da imitare. Giunto presso ad un mucchio di pietre si pose a gridare: O che ti allontani o che ti rompo il capo. Ciò detto, come furioso si pose con tutte le sue forze a gettar sassi contro al nemico dell'anima sua. Il compagno dopo aver riportate non leggere contusioni nella faccia, nelle spalle e sopra la testa se ne fuggì. Allora Francesco spaventato dal pericolo, ma contento della vittoria riportata, si recò frettolosamente a casa per mettersi in sicuro e per ringraziare Iddio che dal pericolo l'aveva liberato.
Chi racconta questo fatto, dice il Parroco, l'osservò dal principio al fine da un luogo lungi appena 50 metri, ed appunto fu osservato per vedere fino a qual punto sarebbe giunta la virtù di Francesco.
Il giorno dopo avendolo il Parroco interrogato sul caso sopra narrato rispose tutto commosso: La grazia di Dio mi ha liberato da quella cattiva occasione, né mai più andrò con simili compagni. Come per premio del coraggio dimostrato in quel pericoloso incontro il Parroco lo assicurò che lo avrebbe ammesso quanto prima a fare la SS. Comunione. Molto contento di quella promessa, cominciò fin da quel giorno a prepararsi e colla fuga di ogni più piccolo difetto, che egli avesse conosciuto, e colla pratica di quelle virtù che erano compatibili col suo stato. Nella sua semplicità richiedeva sovente il Parroco ed i suoi parenti, che lo aiutassero a tanta azione, e diceva: Quando io mi accosterò alla SS. Comunione, mi figurerò di ricevere Gesù Sacramentato dalle mani di Maria SS. alla quale ora sento maggior propensione a raccomandarmi.
Con grande premura raccomandossi alla vigilanza di un suo compagno molto dato alla divozione, affinché vegliasse su di lui attentamente, perché non commettesse alcuna irriverenza. La sua preparazione non poteva al certo essere maggiore, poiché dalle deposizioni dei parenti, del Maestro, e dello stesso Parroco consta, che il nostro Francesco in tutto il tempo, che visse in famiglia, non mai commise alcuna cosa che si possa giudicare colpa veniale deliberata. La bella stola dell'innocenza fu la prima e la più essenziale preparazione, che egli portò nella sua prima Comunione.
Appena comunicato pareva estatico: cangiò di colore in faccia, il suo volto dimostrava la pienezza della gioia del suo cuore, e gli atti di amore verso Gesù in Sacramento fatti in tale occasione saranno stati proporzionati alla diligenza usata nel prepararsi a riceverlo.
Da quel tempo accostavasi ogni mese al sacramento della Penitenza: alla Comunione poi si accostava quando dal confessore gli era permesso. Negli ultimi anni egli stesso fecesi guida ai più giovani per aiutarli a prepararvisi, ed a fare il ringraziamento. Dopo la Comunione col massimo raccoglimento ascoltava la s. Messa, non essendo neppur sollecito quella mattina di servirla per esser più raccolto. Durante la Messa tutto assorto nel contemplare, come egli diceva, l'infinita degnazione di Gesù, non leggeva nemmeno il solito libro di divozione, ma impiegava quel prezioso tempo, nascosto il capo tra le mani, in continui atti d'amore in Dio. Prima di uscire di chiesa andava cogli altri compagni all'altare di Maria SS. a ringraziarla dell'assistenza, che loro aveva usato, e recitando con voce chiara e commossa il Ricordatevi, ed altre non poche orazioni. Egli è a questo fuoco, che il nostro Francesco tanto s'infiammò d'amor di Dio che nulla più desiderava in questo mondo se non far la santa divina volontà. Io resto fuor di me, diceva, al considerare come al giorno della comunione mi senta così vivo desiderio di pregare. Parmi di parlare personalmente coi mio stesso Gesù; e ben poteva dirgli: Loquere, Domine, quia audit servus tuus.
Il suo cuore era vuoto delle cose del mondo, e Iddio lo riempiva delle sue grazie. Il giorno della Comunione era da lui passato unicamente in casa ed in chiesa, ove invitava anche altri amici a recarvisi la sera per terminar bene quella solenne giornata.
Negli ultimi anni veniva animato ad accostarsi alla santa Comunione ogni domenica, ed occorrendo qualche solennità eziandio nel decorso della settimana, ma non ardiva accostarvisi senza prima essersi confessato. Era così grande l'umiltà sua, che non credevasi mai abbastanza purificato: per altro al cenno del confessore deponeva ogni perplessità, ed in tutto gli professava cieca ubbidienza e pari docilità.
Queste sue rare virtù erano difese, per così dire, da un continuo spirito di mortificazione. Fin da giovinetto soleva digiunare severamente una buona parte della Queresima. Ai famigliari, che gli mostravano indiscreti quei digiuni per la sua tenera età, soleva rispondere: «In Paradiso non si va senza mortificazione; perciò e vecchi e giovani, se vogliono andare in Paradiso, bisogna che ci vadano per la via della mortificazione. Questa mortificazione è poi necessaria ai giovanetti, sia per dare soddisfazione a Dio pei tanti disgusti che gli cagionano coi frequenti loro difetti, e sia per addestrarsi a quella vita mortificata, necessaria a tutti per salvarsi. Voi spesso mi dite che io sono molto difettoso: per questo voglio anche digiunare». Queste e simili sapienti osservazioni faceva Francesco, come ne fanno ampia testimonianza i suoi genitori, fratelli e sorelle.
Guidato dal medesimo spirito di mortificazione sapeva custodire i suoi occhi dagli sguardi pericolosi, e le orecchie dai discorsi sconvenienti ad ogni cristiano, la lingua dalle parole inconsiderate. Se alcuna volta per inavvertenza sfuggivangli parole meno esatte, da se medesimo imponevasi qualche penitenza, condannando la sua lingua a segnare sul pavimento molte croci. Non rare volte ne furono testimoni oculari i suoi parenti, che lo sorprendevano in quel volontario esercizio di mortificazione. Essi un giorno gli dimandarono, se quella era penitenza impostagli dal confessore. No, ingenuamente rispondeva, ma vedendo la mia lingua troppo veloce ad espressioni sconvenevoli, voglio strascinarla volontariamente nel fango, perché la medesima non istrascini me nel fuoco eterno. Faccio anche questa penitenza, affinché Dio mi conceda la grazia di andare in quel luogo, in cui ha detto mio Padrino di mandarmi, perché possa studiare.
Quasicché tutte queste sante industrie, non fossero sufficenti a salvarlo dalla terribile corruzione, che si osserva nelle conversazioni, il pio giovanetto negli ultimi anni di sua vita in famiglia rarissimamente accomunavasi ai compagni, cercando solo di trattenersi con quelli dai quali sapeva certo non correre alcun pericolo per l'anima sua.
Cresceva in lui ognora più il vivo desiderio di venire all'Oratorio di S. Francesco di Sales, ma una difficoltà gli si opponeva. Per essere accolti come studenti in questa Casa fa d'uopo, che i giovanetti abbiano fatto almeno quel corso di scuole elementari, che è necessario per entrare nella prima classe Ginnasiale. Ma le scuole del villaggio si estendevano solamente alla prima e a qualche materia della seconda elementare. Come superare adunque questa difficoltà? La superarono la buona condotta di Besucco e la carità dei suo Parroco. Questi non esitò di aggiugnere alle parrocchiali occupazioni anche il peso della scuola quotidiana e per Besucco e per altri giovanetti di buona speranza. Il buon Francesco esultò a quell'invito dell'amato Padrino e col consenso dei genitori cominciò a frequentare quella scuola con nuovo vigore, e con nuova diligenza, onde corrispondere al favore che gli era fatto. Con quanto profitto ciò abbia fatto il comprovò l'essere stato di poi accettato in prima classe Ginnasiale. Quante volte colle lacrime agli occhi prorompeva in queste espressioni di ringraziamento al suo Parroco: Come mai potrò io corrispondere a tanta carità che mi è usata! - Erasi perciò fatta una legge di recarsi ogni giorno impreteribilmente prima della scuola innanzi all'altare di Maria SS., e là prostrato colla confidenza d'un figlio raccomandava alla Sede della sapienza se stesso e chi lo istruiva. Quali colloquii facesse allora il nostro Francesco, dice il suo Parroco, nol so; il certo si è, che molte volte uscendo di chiesa si osservò cogli occhi bagnati di lacrime, effetto indubitato della commozione provata. Interrogato a spiegare il motivo di quella sensazione, rispondeva: Vengo adesso da pregare Maria SS. per Lei, caro Padrino, affinché le ottenga da Dio quella ricompensa, che io sono incapace di darle.
In tutto il tempo, in cui frequentò la mia scuola, asserisce il medesimo, neppure una volta mi diede motivo di rimproverarlo della sua negligenza, perché faceva ogni suo possibile per corrispondere alle cure di chi lo instruiva.
In questo tempo il Parroco mi scrisse raccomandando un suo parrocchiano di condotta esemplare, povero di beni di fortuna, ma molto ricco di virtù. Questo giovanetto, diceva egli, da più anni è la mia delizia ed il mio aiuto per le cose parrocchiali. Servire la Messa, prendere parte alle funzioni di chiesa, fare il Catechismo ai più piccoli, pregare con gran fervore, con esemplarità frequentare i santi Sacramenti sono in breve ciò che fa costantemente. Io me ne privo volentieri, perché spero di farne un ministro del Signore.
Nel desiderio di cooperare all'educazione di così caro giovinetto l'accettai di buon grado in questa Casa. Egli mi era eziandio stato raccomandato dal signor Eysautier luogo-tenente delle guardie reali, e me lo aveva raccomandato come un modello per istudio e per condotta morale. A questa notizia non poté più rispondermi l'innocente giovanetto, dice il Parroco, fuorché colle lagrime, che esprimevano tutta la sua gioia e la sua riconoscenza. Ma qui sorse ancora una grave difficoltà ad eseguire il concepito disegno, voglio dire la povertà dei genitori, i quali lottavano tra la buona disposizione del loro figlio, e la loro insufficenza dei mezzi umani. In questo doloroso stato d'incertezza il Parroco lo animò a fare frequenti visite a Gesù Sacramentato, ed a Maria Santissima chiedendo istantemente qual fosse la loro volontà a suo riguardo. Ma raccomandati, gli disse, che ti manifestino la tua vocazione in modo chiaro per non fallire in affare di tanta importanza. - Dio esaudì le sue innocenti preghiere. Una mattina, dopo essersi accostato alla santa Comunione, venendo dopo Messa alla solita scuola parve più contento dell'usato. Ebbene, dissegli il Parroco, che buone nuove mi porti questa mattina, o Francesco ? Hai tu avuto qualche risposta alle tue dimande ? - Sì, che l'ho avuta questa volta, ed ecco in qual modo. Dopo la Comunione ho fatto le più vive promesse di voler servire Iddio per sempre, e con tutto il mio cuore, che gli offersi più volte. Pregai anco Maria SS. affinché mi aiutasse in questo bisogno. Quindi mi parve proprio di udire queste parole, le quali mi fecero provare una contentezza immensa: Fa' cuore, Francesco, che il tuo desiderio sarà soddisfatto. Era sì grande la sua persuasione d'aver udito questa risposta, che la confermò molte volte anche in presenza di tutta la famiglia, e senza alcuna variazione. D'allora in poi soleva dire: lo sono certo di andare ove ella, caro padrino, intende inviarmi, perché questa è volontà di Dio. Che se qualche volta ancora i parenti mettevano in dubbio il loro consenso: Deh! esclamava, per carità non interrompete il mio destino, altrimenti io sarò un giovane disgraziato. Quindi raccomandavasi ora alla madre, al fratello, alle sorelle, ora al Parroco, e ad altre persone, affinché procurassero colle loro osservazioni d'ottenere il consenso del padre, il quale per altro desiderava internamente di appagare le giuste brame dei figlio. Si vedeva in questo suo procedere ben chiara la volontà del Signore, che chiamava Francesco nella sua vigna.
Sul finire del mese di maggio 1863 per manifesta disposizione della divina Provvidenza, essendo scomparse tutte le insorte difficoltà, fu stabilito dai genitori di inviare Francesco all'Oratorio. Egli da quel momento manifestando ai genitori la sua contentezza diceva: Io sono il figlio della fortuna: oh quanto sono mai felice: siate certi, che vi voglio consolare colla mia condotta. Raddoppiando il fervore nella pietà e nello studio, scrive il Parroco, fece tanto profitto nel mese di giugno e luglio, quanto fatto ne avrebbe appena in un anno. Di che accorgendosi egli medesimo, diceva: Ella mi dice, signor Arciprete, che è contento di me, anche io ora non so spiegare, come in sì breve tempo possa imparare la mia lezione, e questo è segno evidente, che in ciò io faccio la volontà di Dio. - Ma qual ricompensa, soggiungeva l'Arciprete, mi darai poi tu per quanto faccio per te? Sappi che io voglio essere pagato abbondantemente. - Sì, certamente, prometto di pregare sovente Iddio e Maria SS. affinché le ottengano tutte quelle grazie che desidera; stia pur certo che non mai mi dimenticherò di lei, né di quelli che fra poco mi saranno altrettanti padri. - La riconoscenza era una delle prerogative di questo grazioso fanciullo.
Eravamo all'ultimo giorno di luglio, vigilia della partenza del nostro caro Francesco per l'Oratorio. La mattina accostossi per l'ultima volta in Argentera ai Ss. Sacramenti. «Colle lagrime agli occhi il vidi per l'ultima volta - dice il Parroco - a rimirare il confessionale e gli altari, chi sa con quale presentimento. Insolita gioia in quel volto sfavillò dopo la comunione. Il fervore ed il lungo tempo impiegato nel ringraziamento compensarono al certo abbondantemente le molte comunioni che ancor credevasi fare in questa chiesa. Tutto quel giorno fu festivo pel nostro Francesco, né io son capace per la presente commozione a descrivere la scena tenerissima succeduta nella mia camera. Qui alla presenza di suo padre, il mio caro figlioccio in ginocchione struggevasi in atti di ringraziamento pei benefizi da lui amplificati, assicurandomi dell'eterna sua gratitudine ed arrendevolezza a tutti gli avvisi dati.
In casa poi non pareva più di questo mondo, ogni momento andava esclamando: Sono fortunato, son felice. Oh! quanto debbo mai ringraziare Iddio d'avermi tanto favorito. Diede anche l'addio a tutti i suoi parenti, i quali rimasero stupefatti al vedere il loro nipotino e cugino provare nel suo cuore tanta contentezza. Ma tu, gli dicevano, sarai poi annoiato e malinconico per essere lontano da' tuoi parenti, e chi sa, forse patirai il clima troppo caldo di Torino nell'estate. - No, non abbiate paura di me; quanto ai genitori, fratelli e sorelle purché sappiano buone nuove di me saranno contenti, ed io farò in modo colle mie lettere di consolarli. lo non temo di patire, e d'esser malinconico, perché son certo di trovare in quel luogo tutto ciò che potrà rendermi contento. Immaginatevi quanto grande dovrà essere la mia gioia quando sarò sicuro di rimanere nell'Oratorio, se il solo desiderio e la speranza di andarvi mi rende già fuor di me stesso per la consolazione. Solamente vi raccomando di pregare per me, affinché possa sempre fare la volontà di Dio.
Incontrandomi per via in quel giorno tutto intenerito mi disse: «Mi rincresce tanto di abbandonarla, ma la consolerò con darle buone notizie di me. Per la contentezza non poté più chiuder occhio in quella notte, che passò in continua orazione ed unione con Dio».
La mattina di buon'ora diede l'ultimo addio alla cara sua madre, ai fratelli ed alle sorelle piangenti mentre egli solo con aria serena e tranquilla, sebben commosso, incoraggiava tutti alla perfetta rassegnazione alla volontà di Dio. Solamente allora diede in dirottissimo pianto, quando raccomandossi alle loro orazioni per esser costante nel corrispondere alla voce di Dio, che lo chiamava a sé. Il suo padrino lo salutò con queste ultime parole: Ohi sì, vanne amabilissimo Francesco, che quel Dio, il quale in una maniera meravigliosa ti toglie ora ai nostri terreni sguardi, il fa per chiamarti in quell'Oratorio medesimo, in cui potrai santificare l'anima tua, emulando le virtù, che già condussero al bel Paradiso i fortunati giovani Savio Domenico e Michele Magone, alla cui vita e morte preziosa attingesti negli ultimi mesi di tua dimora fra noi quell'ardente desiderio, che ti condusse nel provvidenziale Oratorio di S. Francesco di Sales.
Con un piccolo corredo il padre accompagnò Francesco alla volta di Torino e partivano il primo agosto 1863. A misura che si allontanavano da Argentera il buon genitore andava interpellando il figlio, se non gli rincresceva di abbandonare la patria, la famiglia, e principalmente la madre. Francesco gli rispose sempre con dire: Io sono persuaso di fare la volontà di Dio andando a Torino, e quanto più mi allontano da casa, tanto più cresce la mia contentezza.
- Cessate quelle momentanee risposte seguitava a pregare, e assicurò il padre, che il viaggio da Argentera a Torino fu per Francesco quasi una continua preghiera.
Il due agosto giunsero a Cuneo circa le ore 4 del mattino. Passando avanti al palazzo vescovile Francesco dimandò: Di chi è questa bella casa?
- È del Vescovo, gli rispose.
- Francesco allora fe' segno al padre di volersi fermare un momento. Fermatosi il figliuolo, il padre si avanzò alcuni passi. Rivoltosi poi indietro lo vide ginocchioni presso alla porta del Vescovo. Che fai tu ora? gli disse. Prego Iddio per Monsignore, affinché eziandio mi aiuti a farmi accettare nell'Oratorio di Torino e che a suo tempo si degni poi di annoverarmi fra i suoi chierici, e così esser utile per me e per gli altri.
Giunto a Torino il padre gli faceva notare le meraviglie di questa Capitale. Il padre stesso dopo aver osservate le vie simmetriche, le piazze riquadrate e spaziose, i portici alti e maestosi, le gallerie magnificamente adornate di oggetti vari, preziosi e stranieri, dopo di aver ammirata l'altezza e la eleganza degli edifizi credeva di trovarsi nell'altro mondo. Che ne dici, Francesco? dicevagli pieno di meraviglia. Non ti sembra proprio di essere in Paradiso? Al che Francesco sorridendo rispose: Tutte queste cose a me poco importano, ché di nulla sarà contento il mio cuore, finché non sarò ricevuto in quel benedetto Oratorio, al quale fui inviato.
Finalmente entrò nel luogo tanto desiderato e pieno di gioia esclamò: Questa volta ci sono. Quindi fece una breve preghiera per ringraziare Iddio e la Beata Vergine del buon viaggio, che avea fatto, e dei desideri appagati.
Suo padre nel licenziarsi da lui era commosso fino alle lacrime, ma Francesco lo confortò dicendo: Non datevi alcuna pena per me; il Signore non mancherà di aiutarci: io pregherò ogni giorno per tutta la nostra famiglia. Vie più commosso il padre gli disse ancora: Ti occorre qualche cosa? Sì, caro padre, ringraziate mio padrino della cura che si prese di me: assicuratelo, che non dimenticherò giammai i suoi benefizi, e coll'assiduità nello studio, e colla buona mia condotta mi dimostrerò tale da renderlo soddisfatto. Dite a quei di casa che io son pienamente felice, e che ho trovato il mio paradiso.
Tutto quello che ho fin qui esposto intorno al giovanetto Besucco forma per così dire la prima parte della sua vita; e in ciò mi sono tenuto alle notizie inviatemi da chi lo conobbe, lo trattò e visse con lui in patria. Quanto sarò per dire riguardo al nuovo genere di vita nell'Oratorio formerà la seconda parte. Ma qui racconterò tutte cose udite, vedute co' proprii occhi, oppure riferite da centinaia di giovanetti che gli furono compagni per tutto il tempo che visse ancor mortale tra noi. Mi sono poi in modo particolare servito di una lunga e minuta relazione fatta dal sac. Rufino professore e direttore delle scuole di questa casa, che ebbe tempo e occasione di conoscere e di raccogliere i continui tratti di virtù dal nostro Besucco praticati.
Da lungo tempo adunque Francesco ardentemente desiderava di trovarsi in quest'Oratorio, ma quando ci fu di fatto ne rimase sbalordito. Oltre settecento giovanetti gli divenivano in un momento amici e compagni nella ricreazione, a mensa, in dormitorio, in chiesa, nella scuola e nello studio. A lui sembrava impossibile che tanti giovanetti potessero vivere insieme in una sola casa senza mettere ogni cosa in disordine. Tutti voleva interrogare, d'ogni cosa voleva chiedere la ragione, la spiegazione. Ogni avviso dato dai superiori, ogni iscrizione sopra le mura erano per lui soggetto di letture e di meditazione e di profondo riflesso.
Egli aveva già passato alcuni giorni nell'Oratorio, ed io non l'aveva ancor veduto, né altro sapeva di lui se non quel tanto, che l'Arciprete Pepino per lettera mi aveva comunicato. Un giorno io facevo ricreazione in mezzo ai giovani di questa casa, quando vidi uno vestito quasi a foggia di montanaro, di mediocre corporatura, di aspetto rozzo, col volto lenticchioso. Egli stava cogli occhi spalancati rimirando i suoi compagni a trastullarsi. Come il suo sguardo s'incontrò col mio fece un rispettoso sorriso portandosi verso di me.
- Chi sei tu? - gli dissi sorridendo.
- Io sono Besucco Francesco dell'Argentera.
- Quanto anni hai?
- Ho presto quattordici anni.
- Sei venuto tra noi per istudiare, o per imparare un mestiere? lo desidero tanto di studiare.
- Che scuola hai già fatto?
- Ho fatto le scuole elementari del mio paese.
- Con quale intenzione tu vorresti continuare gli studi e non intraprendere un mestiere?
- Ah! il mio vivo, il mio gran desiderio si è poter abbracciare lo stato ecclesiastico.
- Chi ti ha mai dato questo consiglio ?
- Ho sempre avuto questo nel cuore ed ho sempre pregato il Signore, che mi aiutasse per appagare questa mia volontà.
- Hai già dimandato consiglio a qualcheduno?
- Sì, ne ho già parlato più volte con mio padrino; sì, con mio padrino...
- Ciò detto apparve tutto commosso, che cominciavano spuntar sugli occhi le lagrime.
- Chi è tuo padrino?
- Mio padrino è il mio prevosto l'Arciprete dell'Argentera, che mi vuole tanto bene. Egli mi ha insegnato il catechismo, mi ha fatto scuola, mi ha vestito, mi ha mantenuto. Egli è tanto buono, mi ha fatto tanti benefizi, e dopo d'avermi fatto scuola quasi due anni mi ha raccomandato a lei, affinché mi ricevesse nell'Oratorio. Quanto mai è buono mio padrino! quanto mai egli mi vuol bene!
Ciò detto si pose di nuovo a piangere. Questa sensibilità ai benefizi ricevuti, questo affetto al suo benefattore fecemi concepire una buona idea dell'indole e della bontà di cuore del giovanetto. Allora richiamai eziandio alla memoria le belle raccomandazioni, che di lui eranmi state fatte dal suo Parroco e dal luogo-tenente Eysautier; e dissi tosto tra me: Questo giovanetto mediante coltura farà eccellente riuscita nella sua morale educazione. Imperciocché è provato dall'esperienza che la gratitudine nei fanciulli è per lo più presagio di un felice avvenire: al contrario coloro che dimenticano con facilità i favori ricevuti e le sollecitudini a loro vantaggio prodigate rimangono insensibili agli avvisi, ai consigli, alla religione, e sono perciò di educazione difficile, di riuscita incerta. Dissi pertanto a Francesco: Sono molto contento che tu porti grande affetto a tuo padrino, ma non voglio che ti affanni. Amalo nel Signore, prega per lui, e se vuoi fargli cosa veramente grata, procura di tenere tale condotta che io possa mandargli buone notizie, oppure possa essere egli soddisfatto del tuo profitto e della tua condotta venendo a Torino. Intanto va' co' tuoi compagni a fare ricreazione. - Asciugandosi le lagrime mi salutò con affettuoso sorriso, quindi andò a prendere parte ai trastulli co' suoi compagni.
Nella sua umiltà Francesco giudicava tutti i suoi compagni più virtuosi di lui, e gli sembrava di essere uno scapestrato in confronto della condotta degli altri. Laonde pochi giorni dopo me lo vidi nuovamente venire incontro con aspetto turbato.
- Che hai, gli dissi, mio caro Besucco ?
- Io mi trovo qui in mezzo a tanti compagni tutti buoni, io vorrei farmi molto buono al par di loro, ma non so come fare, ed ho bisogno ch'ella mi aiuti.
- Ti aiuterò con tutti i mezzi a me possibili. Se vuoi farti buono pratica tre sole cose e tutto andrà bene.
- Quali sono queste tre cose ?
- Eccole: Allegria, Studio, Pietà. t questo il grande programma, il quale praticando, tu potrai vivere felice, e fare molto bene all'anima tua.
- Allegria... Allegria... lo sono fin troppo allegro. Se lo stare allegro basta per farmi buono io andrò a trastullarmi da mattina a sera. Farò bene?
- Non da mattina a sera, ma solamente nelle ore in cui è permessa la ricreazione.
Egli prese il suggerimento in senso troppo letterale; e nella persuasione di far veramente cosa grata a Dio trastullandosi, mostravasi ognora impaziente del tempo libero per approfittarne. Ma che? Non essendo pratico di certi esercizi ricreativi ne avveniva, che spesso urtava o cadeva qua o là. Voleva camminar sulle stampelle, ed eccolo rotolar per terra; voleva montar sulle parallele, ed eccolo cader capitombolo. Giocava le bocce? o che le gettava nelle gambe altrui, o che metteva in disordine ogni divertimento. Per la qual cosa potevasi dire che i capitomboli, i rovescioni, gli strarnazzoni erano l'ordinaria conclusione dei suoi trastulli. Un giorno mi si avvicinò tutto zoppicante ed impensierito.
- Che hai, Besucco? gli dissi.
- Ho la vita tutta pesta, mi rispose.
- Che ti è accaduto ?
- Son poco pratico dei trastulli di questa casa, perciò cado urtando ora col capo ora colle braccia o colle gambe. Ieri correndo ho battuto colla mia faccia in quella di un compagno, e ci siam fatto insanguinare il naso ambidue.
- Poverino! ùsati qualche riguardo, e sii un po' più moderato.
- Ma ella mi dice che questa ricreazione piace al Signore, ed io vorrei abituarmi a far bene tutti i giuochi che hanno luogo tra i miei compagni.
- Non intenderla così, mio caro; i giochi ed i trastulli devono impararsi poco alla volta di mano in mano che ne sarai capace, sempre per altro in modo che possano servire di ricreazione, ma non mai di oppressione al corpo.
Da queste parole egli comprese, come la ricreazione debba esser moderata, e diretta a sollevare lo spirito, altrimenti sia di nocumento alla medesima sanità corporale. Quindi continuò bensì a prendere volentieri parte alla ricreazione, ma con grande riserbatezza; anzi quando il tempo libero era alquanto prolungato soleva interromperlo per intrattenersi con qualche compagno più studioso, per informarsi delle regole e della disciplina della casa, farsi spiegare qualche difficoltà scolastica ed anche per recarsi a compiere qualche esercizio di cristiana pietà. Di più egli imparò un segreto per far del bene a sé ed a' suoi compagni nelle stesse ricreazioni, e ciò col dare buoni consigli, o avvisando con modi cortesi coloro cui si fosse presentata occasione, siccome soleva già fare in sua patria in una sfera tuttavia assai più ristretta. Il nostro Besucco temperando così la sua ricreazione con detti morali o scientifici, divenne in breve un modello nello studio e nella pietà.
Un giorno il Besucco in mia camera lesse sopra un cartello queste parole: Ogni momento di tempo è un tesoro.
- Non capisco
- mi chiese con ansietà
- che cosa vogliano significare queste parole. Come noi possiamo in ogni momento di tempo guadagnare un tesoro?
- È proprio così. In ogni momento di tempo noi possiamo acquistarci qualche cognizione scientifica o religiosa, possiamo praticare qualche virtù, fare un atto di amor di Dio, le quali cose avanti al Signore sono altrettanti tesori, che ci gioveranno pel tempo e per l'eternità.
Non proferì più alcuna parola, ma scrisse sopra un pezzetto di carta quel detto, di poi soggiunse: Ho capito. Comprese egli quanto fosse prezioso il tempo, e richiamando alla memoria quanto gli aveva raccomandato il suo Arciprete, disse: Mio padrino me lo aveva già detto anch'egli che il tempo è molto prezioso e che noi dobbiamo occuparlo bene cominciando dalla gioventù.
D'allora in poi si occupava con assai maggior applicazione intorno ai suoi doveri.
Io posso dire a gloria di Dio, che in tutto il tempo che passò in questa casa non si ebbe mai motivo di avvisarlo od incoraggiarlo all'adempimento de' suoi doveri.
Vi è l'uso in questa casa che ogni sabato si dànno e si leggono i voti della condotta che ciascun giovane tenne nella settimana nello studio e nella scuola. I voti di Besucco furon sempre uguali cioè optime. Dato il segno dello studio egli vi si recava immediatamente senza più fermarsi un istante. Quivi poi era bello il vederlo continuamente raccolto, studiare, scrivere colla avidità di chi fa cosa di suo maggior gusto. Per qualsiasi motivo non si moveva mai di posto, né comunque fosse lungo il tempo di studio alcuno lo vedeva togliere il guardo da' suoi libri o dai quaderni.
Uno de' suoi grandi timori era che gli avvenisse contro sua volontà di trasgredire le regole; perciò specialmente nei primi giorni chiedeva sovente se si potesse fare questa o quell'altra cosa. Chiese per esempio una volta con santa semplicità se nello studio fosse lecito lo scrivere, temendo che quivi non si dovesse far altro che studiare. Altra volta se in tempo di studio era permesso mettere in ordine i libri. All'esatta occupazione del tempo egli aggiunse la invocazione dell'aiuto del Signore. Alcuna volta lo vedevano i compagni durante lo studio farsi il segno della santa Croce, alzare gli occhi verso il cielo e pregare Richiesta la cagione, rispondeva: Spesse volte incontro difficoltà nello imparare, perciò mi raccomando al Signore affinché mi dia il suo aiuto.
Aveva letto nella vita di Magone Michele, che prima de' suoi studi sempre diceva: Maria, sedes sapientiae, ora pro me. O Maria, Sede della sapienza, pregate per me. Egli volle fare altrettanto. Scrisse queste parole sopra i libri, sopra i quaderni e sopra parecchie liste di carta, di cui valevasi per segnacoli. Scrisse eziandio biglietti ai suoi compagni, ma o in principio del foglio, o sopra in pezzetti di carta a parte notava sempre il prezioso saluto alla sua celeste Madre, siccome egli soleva chiamarla. In un biglietto indirizzato a un compagno leggo quanto segue: Tu mi hai chiesto come io abbia potuto sostenermi in seconda grammatica, mentre che il mio corso regolare dovrebbe essere appena la prima. Io ti rispondo schiettamente che questa è una special benedizione del Signore, che mi dà sanità e forza. Mi sono per altro servito di tre segreti che ho trovato e praticato con grande mio vantaggio e sono:
«1° Di non mai perdere bricciolo di tempo in tutte le cose stabilite per la scuola o per lo studio.
2° Nei giorni di vacanza ed in altri in cui siavi ricreazione prolungata, dopo mezz'ora vado a studiare, oppure mi metto a discorrere di cose di scuola con alcuni compagni più avanzati di me nello studio.
3° Ogni mattina prima d'uscir di chiesa dico un Pater ed un'Ave a S. Giuseppe. Questo fu per me il mezzo efficace che mi portò avanti nella scienza e da che ho cominciato a recitare questo Pater, ho sempre avuto maggior facilità sia per imparare le lezioni, sia per superare le difficoltà che spesso incontro nelle materie scolastiche. Prova anche tu a fare altrettanto, conchiudeva la lettera, e ne sarai certamente contento».
Non deve pertanto recar meraviglia se con tanta diligenza abbia fatto così rapido progresso nella scuola.
Quando venne tra noi si perdeva quasi di speranza di poter reggere nella prima ginnasiale, ma dopo soli due mesi riportava dei voti assai soddisfacenti nella sua classe. Nella scuola pendeva immobile dal labbro del maestro, che non ebbe mai occasione di avvisarlo per disattenzione.
Quello che dissi intorno alla diligenza di Besucco in materia di studio, si deve estendere a tutti gli altri doveri anche più minuti: egli era esemplare in tutto. Era stato incaricato di scopare il dormitorio. In questo uffizio si faceva ammirare per l'esattezza con cui lo disimpegnava senza dimostrare minimamente di sentirne peso.
Allora che per motivo di malattia non potè più levarsi di letto, chiese scusa all'assistente perché non poteva compiere il solito suo dovere, e ringraziò con vivo affetto un compagno che lo supplì in quell'umile servizio.
Besucco venne all'Oratorio con uno scopo prefisso; perciò nella sua condotta aveva sempre di mira il punto cui tendeva, cioè di dedicarsi tutto a Dio nello stato ecclesiastico. A questo fine cercava di progredire nella scienza e nella virtù. Discorreva un giorno con un compagno intorno ai propri studi ed intorno al fine per cui ciascuno era venuto in questa casa. Besucco espresse il proprio pensiero, poi conchiuse: Insomma il mio scopo è di farmi prete; coll'aiuto del Signore farò ogni sforzo per poterlo conseguire.
Dicasi pure quanto si vuole intorno ai vari sistemi di educazione, ma io non trovo alcuna base sicura, se non nella frequenza della confessione e 1 della comunione; e credo di non dir troppo asserendo che omessi questi due elementi la moralità resta bandita. Il Besucco, come abbiamo detto, fu coltivato ed avviato per tempo alla frequenza di ambidue questi Sacramenti. Giunto qui all'Oratorio crebbe di buona volontà e di fervore nel praticarli.
Sul principio della novena della Natività di Maria SS. si presentò al suo direttore dicendogli: lo vorrei passar bene questa novena e fra le altre cose desidero di fare la mia confessione generale. Il direttore come ebbe inteso i motivi che a ciò lo determinavano rispose di non ravvisare alcun bisogno di far simile confessione, ed aggiunse: Tu puoi vivere tranquillo, tanto più che l'hai già fatta altre volte dal tuo Arciprete.
- Sì, ripigliò, io l'ho già fatta all'occasione della mia prima comunione, ed anche quando ci furono gli esercizi spirituali al mio paese, ma siccome io voglio mettere l'anima mia nelle sue mani, così desidero di manifestarle tutta la mia coscienza, affinché meglio mi conosca, e possa con più sicurezza darmi quei consigli che possono meglio giovare a salvarmi l'anima. Il direttore acconsentì: lo lodò della scelta, che voleva fare d'un confessore stabile; lo esortò a voler bene al confessore, pregare per lui, e manifestargli sempre qualunque cosa inquietasse la sua coscienza. Quindi lo aiutò a fare la desiderata confessione generale. Egli compiè quell'atto coi più commoventi segni di dolore sul passato e di proponimento per l'avvenire, sebbene, come ognuno può giudicare, consti dalla sua vita non aver mai commessa azione, che si possa appellare peccato mortale. Fatta la scelta del confessore, nol cangiò più per tutto il tempo che il Signore lo conservò tra noi. Egli aveva con esso piena confidenza, lo consultava anche fuori di confessione, pregava per lui, e godeva grandemente ogni volta che poteva da lui avere qualche buon consiglio per sua regola di vita.
Scrisse una volta una lettera ad un suo amico che gli aveva manifestato il desiderio di venire anch'egli in quest'Oratorio. In essa gli raccomandava di pregare il Signore per questa grazia, e poi gli suggerì alcune pratiche di pietà, come la Via Crucis; ma più di tutto lo esortò a confessarsi ogni otto giorni ed a comunicarsi più volte la settimana.
Mentre lodo grandemente il Besucco intorno a questo fatto, raccomando coi più vivi affetti del cuore a tutti, ma in ispecial modo alla gioventù di voler fare per tempo la scelta d'un confessore stabile, né mai cangiarlo, se non in caso di necessità. Si eviti il difetto di alcuni, che cangiano confessore quasi ogni volta che vanno a confessarsi; oppure dovendo confessare cose di maggior rilievo vanno da un altro, ritornando poscia dal confessore primitivo. Facendo così costoro non fanno alcun peccato, ma non avranno mai una guida sicura che conosca a dovere lo stato di loro coscienza. A costoro accadrebbe quello che ad un ammalato, il quale in ogni visita volesse un medico nuovo. Questo medico difficilmente potrebbe conoscere il male dell'ammalato, quindi sarebbe incerto nel prescrivere gli opportuni rimedi.
Che se per avventura questo libretto fosse letto da chi è dalla divina Provvidenza destinato all'educazione della gioventù, io gli raccomanderei caldamente tre cose nel Signore. Primieramente inculcare con zelo la frequente confessione, come sostegno della instabile giovanile età, procurando tutti i mezzi che possono agevolare l'assiduità a questo Sacramento. Insistano secondariamente sulla grande utilità della scelta d'un confessore stabile da non cangiarsi senza necessità, ma vi sia copia di confessori, affinché ognuno possa scegliere colui, che sembri più adattato al bene dell'anima propria. Notino sempre per altro, che chi cangia confessore non fa alcun male, e che è meglio cangiarlo mille volte piuttosto che tacere alcun peccato in confessione.
Nè manchino mai di ricordare spessissimo il grande segreto della confessione. Dicano esplicitamente che il confessore è stretto da un segreto naturale, Ecclesiastico, Divino e Civile per cui non può per nessun motivo, a costo di qualunque male fosse anche la morte, manifestare ad alcuno cose udite in confessione o servirsene per sé; che anzi può nemmeno pensare alle cose udite in questo Sacramento; che il confessore non fa alcuna maraviglia, né diminuisce l'affezione per cose comunque gravi udite in confessione, al contrario acquista credito al penitente. Siccome il medico quando scopre tutta la gravezza del male dell'ammalato gode in cuor suo perché può applicarvi l'opportuno rimedio; così fa il confessore che è medico dell'anima nostra, e a nome di Dio coll'assoluzione guarisce tutte le piaghe dell'anima. Io sono persuaso che se queste cose saranno raccomandate e a dovere spiegate, si otterranno grandi risultati morali fra i giovanetti, e si conoscerà coi fatti qual maraviglioso elemento di moralità abbia la cattolica religione nel sacramento della Penitenza.
Il secondo sostegno della gioventù è la santa Comunione. Fortunati quei giovanetti che cominciano per tempo ad accostarsi con frequenza e colle debite disposizioni a questo Sacramento. Il Besucco era stato da' suoi parenti e dal suo Prevosto animato ed ammaestrato intorno al modo di comunicarsi sovente e con frutto. Mentre era ancora in patria soleva già accostarsi ogni settimana; di poi in tutti i giorni festivi, ed anche qualche volta lungo la settimana. Venuto nell'Oratorio continuò per qualche tempo a comunicarsi colla stessa frequenza, di poi eziandio più volte la settimana, e in alcune novene anche tutti i giorni.
Sebbene l'anima sua candida e la esemplarissima sua condotta lo rendessero degno della frequente Comunione, tuttavia a lui sembrava di non esserne degno. Le apprensioni crebbero da che una persona venuta in questa casa disse al Besucco, che era meglio accostarsi più di rado per accostarsi con più lunga preparazione e con maggior fervore.
Un giorno egli si presentò ad un suo superiore, e gli espose tutte le sue inquietudini. Questi studiò di appagarlo dicendo:
- Non dai tu con grande frequenza il pane materiale al corpo?
- Sì, certamente.
- Se tanto frequentemente diamo il pane materiale al corpo che soltanto deve vivere qualche tempo in questo mondo, perché non dovremo dare sovente anche ogni giorno il pane spirituale all'anima, che è la santa Comunione? (S. Agostino).
- Ma mi sembra di non essere abbastanza buono per comunicarmi tanto sovente.
- Appunto per farti più buono è bene accostarti spesso alla santa Comunione. Gesù non invitò i santi a cibarsi del suo corpo, ma i deboli, gli stanchi, cioè quelli che abborriscono il peccato, ma che per la loro fragilità sono in gran pericolo di ricadere. Venite a me tutti, egli dice, voi che siete travagliati ed oppressi, ed io vi ristorerò.
- Mi sembra che se si andasse più di rado si farebbe la Comunione con maggior divozione.
- Non saprei dirlo; quello che è certo, si è che l'uso insegna a far bene le cose, e chi fa sovente una cosa impara il vero modo di farla: così colui che va con frequenza alla Comunione impara il modo di farla bene.
- Ma chi mangia più di rado mangia con maggior appetito.
- Chi mangia molto di rado e passa più giorni senza cibo egli o cade per debolezza, o muore di fame, oppure il primo momento che mangia corre pericolo di fare una rovinosa indigestione.
- Se è così, per l'avvenire procurerò di fare la santa Comunione con molta frequenza, perché conosco veramente che è un mezzo potente per farmi buono.
- Va' colla frequenza che ti sarà prescritta dal tuo confessore.
- Egli mi dice di andare tutte le volte che niente m'inquieta la coscienza.
- Bene, segui pure questo consiglio. Intanto voglio farti osservare che nostro Signore
Gesù Cristo c'invita a mangiare il suo Corpo e a bere il suo Sangue tutte le volte che ci troviamo in bisogno spirituale, e noi viviamo in continuo bisogno in questo mondo. Egli giunse fino a dire: Se non mangerete il mio Corpo e non beverete il mio Sangue non avrete con voi la vita. Per questo motivo al tempo degli Apostoli i Cristiani erano perseveranti nella preghiera e nel cibarsi del pane Eucaristico. Nei primi secoli tutti quelli che andavano ad ascoltare la santa Messa facevano la santa Comunione. E chi ascoltava la Messa ogni giorno, eziandio ogni giorno si comunicava. Finalmente la Chiesa Cattolica rappresentata nel Concilio Tridentino raccomanda | p. 61 | ai Cristiani di assistere quanto loro è possibile al SS. Sacrificio della Messa, e fra le altre ha queste belle espressioni: Il Sacrosanto Concilio desidera sommamente che in tutte le Messe i Fedeli che le ascoltano facciano la Comunione non solo spiritualmente, ma eziandio sacramentalmente, affinché in loro sia più copioso il frutto che proviene da questo Augustissimo Sacrificio (Sess. 22, C. 6).
Dimostrava il suo grande amore verso il SS. Sacramento non solo colla frequente Comunione, ma in tutte le occasioni che gli si presentavano. Già si è detto come al suo paese si prestava col massimo piacere ad accompagnare il Viatico. Uditone appena il segno dimandava tosto il permesso a' suoi genitori, che assai di buon grado lo appagavano; indi volava alla chiesa a fine di prestare quei servigi che erano compatibili colla sua età. Suonare il campanello, portare i lumi accesi, portare e tenere aperto l'ombrello, recitare il Confiteor, il Miserere, il Te Deum, erano per lui care delizie. Eziandio in patria si occupava volentieri ad aiutare i compagni più giovani di lui o meno istruiti a prepararsi per comunicarsi degnamente, e a fare dopo il dovuto ringraziamento.
Giunto qui nell'Oratorio continuò nel suo fervore, e fra le altre cose prese la commendevolissima abitudine di fare ogni giorno una breve visita al SS. Sacramento. Si vedeva spesso intorno a qualche prete o chierico, affinché radunati alcuni giovani li conducesse in chiesa a recitare preghiere particolari davanti a Gesù Sacramentato. Era poi cosa veramente edificante l'industria con cui egli studiava di condurre seco in chiesa qualche compagno. Un giorno ne invitò uno dicendogli: Vieni meco e andremo a dire un Pater a Gesù Sacramentato, che è là tutto solo nel tabernacolo. Il compagno, che era tutto affaccendato nei trastulli, rispose che non ci voleva andare. Il Besucco andò solo ugualmente. Ma il compagno preso dal rincrescimento di essersi rifiutato dall'amorevole invito del virtuoso amico, il giorno seguente gli si avvicinò e gli disse: Ieri tu mi hai invitato ad andare in chiesa e non ho voluto andarvi, oggi invito te affinché tu mi venga a tener compagnia a far quello che non ho fatto ieri. Il Besucco ridendo rispose: Non darti pena di ieri, io ho fatto la parte tua e la parte mia: dissi tre Pater per me, di poi ne ho detto tre per te a Gesù Sacramentato. Tuttavia ci vado molto volentieri e adesso e in qualunque altra occasione tu desideri avermi per compagno.
Mi è più d'una volta accaduto di dovermi recare dopo cena in chiesa per qualche mio dovere, mentre appunto i giovanetti della casa facevano la più allegra ed animata ricreazione nel cortile. Non avendo tra mano il lume inceppai in cosa che sembravami sacco di frumento con rischio prossimo di cadere stramazzoni. Ma quale non fu la mia sorpresa quando mi accorsi aver urtato nel divoto Besucco, che in un nascondiglio dietro, ma vicino all'altare in mezzo alle tenebre della notte pregava l'amato Gesù a favorirlo de' celesti lumi per conoscere la verità, farsi ognor più buono, farsi santo? Serviva eziandio molto volentieri la santa Messa. Preparare l'altare, accendere i lumi, apprestare le ampolline, aiutare il sacerdote a vestirsi erano cose di massimo suo gusto. Qualora per altro qualcheduno avesse desiderato di servirla egli si mostrava contento e la udiva con grande raccoglimento. Quelli che lo hanno osservato ad assistere alla santa Messa od alla benedizione della sera vanno d'accordo nell'asserire, che era impossibile il mirarlo senza sentirsi commossi ed edificati pel fervore che dimostrava nel pregare, e per la compostezza della persona.
Era poi ansiosissimo di leggere libri, cantare canzoncine che riguardassero il SS. Sacramento. Fra le molte giaculatorie, che egli recitava lungo il giorno, la più familiare era questa: Sia lodato e ringraziato ogni momento il Santissimo e Divinissimo Sacramento. Con questa bella giaculatoria, diceva, io guadagno cento giorni d'indulgenza ogni volta che la dico; e di più appena che la dico mi sfuggono tutti i cattivi pensieri che mi corrono per la mente. Questa giaculatoria per me è un martello con cui sono sicuro di rompere le coma al demonio, quando viene a tentarmi.
È cosa assai difficile il far prender gusto alla preghiera ai giovanetti. La volubile età loro fa sembrare nauseante ed anche enorme peso qualunque cosa richieda seria attenzione di mente. Ed è una grande ventura per chi da giovanetto è ammaestrato nella preghiera e ci prende gusto. Per esso è sempre aperta la sorgente delle divine benedizioni.
Il Besucco fu nel bel numero di costoro. L'assistenza prestatagli dai genitori fin dai più teneri anni, la cura che se ne prese il suo maestro e specialmente il suo Parroco produssero il desiderato frutto nel nostro giovanetto. Egli non era abituato a meditare, ma faceva molte preghiere vocali. Proferiva le parole chiare e distinte e le articolava in modo, che sembrava parlasse col Signore e colla santa Vergine o con qualche Santo, cui indirizzava le sue orazioni. Al mattino appena dato il segno della levata si vestiva prontamente, e aggiustato quanto di dovere, discendeva tosto in chiesa, o s'inginocchiava accanto al letto per pregare fino a tanto che il campanello indicasse di recarsi altrove. In chiesa poi oltre la sua specchiata puntualità andava a prendere posto presso a quei compagni ed in quei siti dove non fosse in alcun modo distratto, e gli dava gran pena il vedere qualcheduno ciarlare o tenere un contegno dissipato. Un giorno appena uscito andò subito in cerca di uno che aveva commesso tal mancamento. Come lo ebbe trovato gli ricordò quanto aveva fatto; poi fattogli vedere quanto si fosse diportato male gli inculcò di stare nel luogo santo con maggior raccoglimento.
Nutriva poi un affetto speciale per Maria Santissima. Nella novena della sua Natività dimostrava un fervore particolare verso di essa. Il direttore soleva dare ogni sera qualche fioretto da praticarsi in onore di Lei. Besucco non solo ne faceva egli gran conto, ma si adoperava affinché fosse eziandio da altri praticato. Per non dimenticarsene li scriveva sopra un quaderno. In questo modo, egli diceva, in fine dell'anno avrò una bella raccolta di ossequi da presentare a Maria. Lungo il giorno li andava ripetendo e ricordando a' suoi compagni. Volle sapere il luogo preciso dove Savio Domenico si poneva ginocchione a pregare dinanzi l'altare della Vergine Maria. Colà egli si raccoglieva a pregare con grande consolazione del suo cuore. Oh, se io potessi, diceva, stare da mattino a sera a pregare in quel sito, quanto volentieri il farei! Imperciocché mi sembra di avere lo stesso Savio a pregare con me, e mi pare che egli risponda alle mie preghiere, e che il suo fervore si infonda nel mio cuore. Per lo più era l'ultimo ad uscire di chiesa, perché soleva sempre fermarsi un po' di tempo davanti alla statua di Maria Santissima. Per questo motivo spesso gli accadeva di perdere la colazione con molto stupore di quelli, che vedevano un giovanetto sui quattordici anni sano e robusto dimenticare il cibo corporale pel cibo spirituale della preghiera.
Non di rado specialmente nei giorni di vacanza d'accordo con alcuni compagni andava in chiesa per recitare le sette allegrezze, i sette dolori di Maria, le litanie o la corona spirituale a Gesù Sacramentato. Ma il piacere di leggere per tutti quelle preghiere non voleva mai cederlo ad altri. Nei giorni di Venerdì se gli era possibile, faceva od almeno leggeva la Via Crucis, che era la sua pratica di pietà prediletta. La Via Crucis, soleva dire, è per me una scintilla di fuoco, che mi anima a pregare, mi spinge a sopportare qualunque cosa per amor di Dio.
Egli era così amante della preghiera, ed erasi cotanto ad essa abituato, che appena rimasto solo o disoccupato qualche momento simetteva subito a recitare qualche preghiera.
Nel medesimo tempo di ricreazione non di rado si metteva a pregare, e come trasportato da moti involontari talvolta scambiava i nomi dei trastulli in giaculatorie. Un giorno vedendo il suo superiore gli corse incontro per salutarlo col suo nome e gli disse: O Santa Maria. Altra volta volendo chiamare un compagno con cui si trastullava disse ad alta voce: O Pater noster. Queste cose mentre da una parte erano cagione di riso fra i compagni, dall'altra dimostravano quanto il suo cuore si dilettasse dalla preghiera, e quanto egli fosse padrone di raccogliere il suo spirito per elevarlo al Signore. La qual cosa, secondo i maestri di spirito, segna un grado di elevata perfezione che raramente si osserva nelle persone di virtù consumata.
La sera terminate in comune le preghiere, recavasi in dormitorio, dove ponendosi ginocchione sopra l'incomodo dorso del suo baule fermavasi un quarto d'ora od anche mezz'ora a pregare. Ma avvisato che tal cosa recava disturbo ai compagni, che già erano in riposo, egli abbreviò il tempo e procurava di essere a letto contemporaneamente agli altri. Tuttavia appena coricato egli giungeva le sue mani dinanzi al petto e pregava finché fosse preso dal sonno. Se gli accadeva di svegliarsi lungo la notte si metteva subito a pregare per le anime del purgatorio, e sentiva gran dispiacere quando sorpreso dal sonno doveva interrompere la preghiera. Mi rincresce tanto, diceva ad un amico, di non poter reggere un po' di tempo in letto senza dormire. Sono proprio miserabile, quanto bene farei alle anime del purgatorio se potessi pregare come lo desidero!
Insomma se noi esaminiamo lo spirito di preghiera di questo giovanetto possiamo dire avere egli letteralmente eseguito il precetto del Salvatore, che comandò di pregare senza interruzione, imperciocché i giorni e le notti da lui erano passate in continua preghiera.
Parlare di penitenza ai giovanetti generalmente è recar loro spavento. Ma quando l'amor di Dio prende possesso di un cuore, niuna cosa del mondo, nissun patimento lo affligge, anzi ogni pena della vita gli riesce di consolazione. Dai teneri cuori nasce già il nobile pensiero che si soffre per un grande oggetto, e che ai patimenti della vita è riservata una gloriosi ricompensa nella beata eternità.
Ognuno ha già potuto vedere quanto fosse grande il desiderio di patire del nostro Besucco, siccome dimostrò fin dalla sua prima età. Qui nell'Oratorio raddoppiò il suo ardore.
Si presentò un giorno al suo superiore e gli disse queste parole: lo sono molto angustiato, il Signore dice nel Vangelo, che non si può andare in Paradiso se non coll'innocenza o colla penitenza. Coll'innocenza io non posso più andare, perché l'ho perduta; dunque bisogna, ch'io ci vada colla penitenza.
Il superiore rispose che considerasse come penitenza la diligenza nello studio, l'attenzione nella scuola, l'ubbidire ai superiori, il sopportare gli incomodi della vita quali sono caldo, freddo, vento, fame, sete. Ma, ripigliò l'altro, queste cose si soffrono per necessità. - Appunto quello che si soffre per necessità, se tu aggiungi di soffrire per amor di Dio diventerà vera penitenza, piacerà al Signore, e sarà di merito all'anima tua.
Egli per allora si acquetò, ma dimandava sempre di voler digiunare, di lasciare o tutta o in parte la colazione del mattino, di potersi mettere degli oggetti che gli recassero dolore o sotto gli abiti o nel letto, le quali cose gli furono sempre negate. Alla vigilia di Tutti i Santi dimandò come speciale favore di poter digiunare a pane ed acqua, il quale digiuno gli fu cangiato nella sola astinenza dalla colezione. Il che gli tornò di molto piacere, perché,diceva, così potrò almeno in qualche cosa imitare i Santi del Paradiso, che battendo la via dei patimenti giunsero a salvare le anime loro.
Non occorre parlare della custodia dei sensi esterni e specialmente degli occhi. Chi l'ha osservato per molto tempo nella compostezza della persona, nel contegno coi compagni, nella modestia in casa e fuori di casa non esita di asserire che egli si possa proporre qual compiuto modello di mortificazione e di esemplarità esterna alla gioventù.
Essendo proibito di far penitenza corporale egli ottenne di poterne fare di altro genere, cioè esercitare i lavori più umili nella casa. Il fare commissioni ai compagni, portare loro acqua, nettare le scarpe, servire anche a tavola quando gli era permesso, scopare in refettorio, nel dormitorio, trasportare la spazzatura, portare fagotti, bauli, purché il potesse, erano cose, che egli faceva con gioia e colla massima sua soddisfazione. Esempi degni d'essere imitati da certi giovanetti, che per trovarsi fuori di casa hanno talvolta rossore di fare una commissione o di prestar servizio in cose compatibili coi loro stato. Anzi talvolta ci sono giovanetti, che hanno fino vergogna di accompagnarsi coi propri genitori per l'umile loro foggia di vestire. Quasi che il trovarsi fuori di casa cambi la loro condizione, facendo dimenticare i doveri di pietà, di rispetto e di ubbidienza verso i genitori e di carità verso tutti.
Ma queste piccole mortificazioni contentarono soltanto per poco tempo il nostro Besucco. Egli desiderava di mortificarsi di più. Fu udito qualche volta lagnarsi dicendo, che a casa sua faceva maggiori penitenze e che la sua sanità non ne aveva mai sofferto. Il superiore rispondeva sempre, che la vera penitenza non consiste nel fare quello che piace a noi, ma nel fare quello che piace al Signore, e che serve a promuovere la sua gloria. Sii ubbidiente, aggiungeva il superiore, e diligente nei tuoi doveri, usa molta bontà e carità verso i compagni, sopporta i loro difetti, dà loro buoni avvisi e consigli e farai cosa che al Signore piacerà più d'ogni altro sacrifizio.
Prendendo egli letteralmente ciò che gli si era detto di sopportare con pazienza il freddo delle stagioni, egli lasciò inoltrare la stagione invernale senza vestirsi come conveniva. Un giorno lo vidi tutto pallido nella faccia, e chiedendogli se era male in salute: - No - disse - sto benissimo. - Intanto prendendolo per mano mi accorsi che aveva una sola giubbetta da estate, mentre eravamo già alla novella del SS. Natale.
- Non hai abiti da inverno? - gli dissi.
- Sì che li ho, ma in camera.
- Perché non te li metti ?
- Eh... pel motivo ch'Ella sa: sopportare il freddo nell'inverno per amor del Signore.
- Va' immediatamente a metterli: fa' in modo di essere ben riparato dalle intemperie della stagione, e qualora ti mancasse qualche cosa fanne dimanda, e sarai senza altro provveduto.
Malgrado questa raccomandazione non si poté impedire un disordine, da cui forse ebbe origine quella malattia, che lo condusse alla tomba, siccome più sotto racconteremo.
Vi sono parecchi detti e fatti, i quali non hanno diretta relazione con quanto ho finora esposto, che perciò vengono qui separatamente registrati. Comincio dalle conversazioni. Ne' suoi discorsi era assai riservato, ma gioviale e faceto. Raccontava assai volentieri le sue vicende di pastorello, quando conduceva le pecore e le capre al pascolo. Parlava dei cespugli, degli erbaggi, dei seni, degli antri, delle voragini della montagna del Roburento e del Drego come di altrettante maraviglie del mondo.
Aveva poi alcuni proverbi, che per lui erano verità incontrastabili. Quando voleva eccitare qualcheduno a non affezionarsi alle cose del mondo e pensare vie più alle celesti, soleva dire: Chi guarda a terra - Come la capra - È ben difficile - Che il ciel se gli apra.
Un giorno un compagno entrato in questioni di religione lasciava sfuggire non leggeri spropositi. Il nostro Besucco e perché più giovane e perché non abbastanza istruito taceva, ma con animo assai inquieto e risentito. Poscia fattosi animo, con viso allegro:
- Ascoltate - prese a dire a tutti i presenti. - Tempo fa ho letto nel dizionario la spiegazione della parola mestiere, e fra le altre cose ho notato questa frase: Chi fa l'altrui mestiere Fa la zuppa nel paniere. Mio padre asseriva lo stesso con altre parole dicendo: Chi fa quel che non sa - Guasta quel che fa. - Compresero tutti il significato delle espressioni; tacque l'indiscreto parlatore; e gli altri ammirarono l'accortezza e la prudenza del nostro giovinetto.
Egli era sempre contento delle disposizioni dei superiori; né mai lamentavasi dell'orario della casa, degli apprestamenti di tavola, degli ordini scolastici e simili. Trovava sempre ogni cosa di suo gusto. Interrogato come mai potesse essere sempre contento di tutto, rispose: Io sono di carne e di ossa come gli altri, ma desidero di fare tutto per la gloria di Dio, perciò quello che non piacerà a me, tornerà certamente di gradimento a Dio: quindi ho sempre eguale motivo di essere contento.
Avvenne un giorno che alcuni compagni da poco tempo venuti nella casa non potevano abituarsi al nuovo genere di vita. Egli li confortava dicendo: - Se ci toccherà di andar militare, potremo noi farci un orario a nostro modo? Potremo andarci a coricare, o levarci di letto quando a noi piacerà? oppure andare liberamente al passeggio?
- No certamente - risposero, - ma un po' di libertà...
- Noi siamo sicuramente liberi se facciamo la volontà di Dio, e solamente diventiamo veri schiavi quando cadiamo nel peccato, poiché restiamo allora schiavi del maggior nostro nemico che è il demonio.
- Ma a casa mia mangiava e dormiva meglio - diceva uno.
- Posta la verità di quanto asserisci, cioè che a casa tua mangiassi meglio e dormissi di più, ti dirò, che nutrivi teco due grandi nemici, quali sono l'ozio e la gola. Debbo eziandio notarti, che noi non siamo | p. 68 | nati per dormire e per mangiare come fanno le capre e le pecore, ma dobbiamo lavorare per la gloria di Dio, e fuggir l'ozio che è il padre di tutti i vizi. Del rimanente non hai udito ciò che ha detto il nostro superiore ?
- Non mi ricordo più.
- Ieri fra le altre cose il superiore ci ha detto, che esso tiene volentieri i giovani, ma vuole che nessuno stia per forza. Chiunque non sia contento, egli conchiudeva, lo dica, e procurerò d'appagarlo; chi non vuol restare in questa casa, egli è pienamente libero, ma se rimane non dissemini il malcontento, ci stia volentieri.
- Io andrei altrove, ma bisogna pagare ed i miei parenti non possono.
- Tanto maggior motivo per te di dimostrarti contento: se tu non paghi dovresti mostrarti soddisfatto più di ogni altro: Perché a caval donato non si guarda in bocca. Dunque, o cari compagni, persuadiamoci, noi siamo in una casa di provvidenza; chi paga poco, chi paga niente, e dove potremo avere altrettanto a questo prezzo ?
- È vero quanto dici, ma se si potesse avere una buona tavola...
- Giacché tu muori per avere una buona tavola, io ti suggerirò un mezzo con cui tu la puoi avere: va' in pensione coi tuoi superiori.
- Ma io non ho danari da pagare pensione.
- Dunque datti pace e contentati di quel tanto che ci dànno per nostro alimento; tanto più che tutti gli altri nostri compagni si mostrano contenti.
- Che se poi volete, o cari amici, che vi parli schietto, dirò che, giovani robusti come siamo noi, non dobbiamo badare alla delicatezza della vita; come cristiani dobbiamo anche fare un poco di penitenza se vogliamo andare in paradiso, dobbiamo mortificare a tempo debito questa golaccia. Credetelo, questo è per noi un mezzo facilissimo per meritarci la benedizione del Signore, e farci dei meriti in Paradiso.
Con questi ed altri simili modi di parlare, mentre confortava i suoi compagni, ne diveniva anche il modello nelle regole di civiltà e di carità cristiana.
Nel discorrere, soleva sempre scrivere sopra i quaderni, sopra i libri proverbi o sentenze morali che avesse udito.
Nelle lettere, poi, era assai facondo, ed io credo di far cosa grata coll'inserirne alcune, il cui originale mi fu graziosamente comunicato da coloro cui erano state dirette.
Queste lettere sono un segno manifesto della bontà di cuore e nel tempo stesso della pietà sincera del nostro Besucco. È cosa assi rara anche in persone attempate lo scrivere lettere senza umano rispetto e condite di religiosi e morali pensieri, come veramente dovrebbe fare ogni cristiano: ma è poi rarissima cosa che ciò si pratichi fra i giovanetti. Io desidererei che ognuno di voi, o giovani amatissimi, evitasse quel genere di lettere che nulla hanno di sacro, a segno che potrebbero inviarsi ai medesimi pagani. Non sia così; serviamoci pure di questo mezzo meraviglioso per comunicare i nostri pensieri, i nostri progetti a quelli che sono da noi lontani; ma sappiamo sempre distinguere le corrispondenze, quando sono coi cristiani o coi pagani; né mai sia dimenticato qualche morale pensiero. Per questo motivo io inserisco alcune lettere del giovinetto Besucco che, per semplicità e per tenerezza d'affetto, giudico vi torneranno gradite.
La prima di queste è indirizzata a suo padrino Arciprete dell'Argentera colla data del 27 settembre 1863. In essa gli dà ragguaglio della felicità, che egli gode nell'Oratorio, e lo ringrazia di averlo qua inviato.
La lettera è del tenor seguente:
«Carissimo signor Padrino,
Le partecipo, carissimo signor padrino, che i miei compagni da quattro giorni sono andati a casa per passare una ventina di giorni in vacanza. Io sono molto contento che essi li passino allegramente ma io godo assai più di loro, perché stando qui ho tempo di scriverle questa lettera, che spero tornerà anche a lei di gradimento. Le dico prima di tutto che non posso trovare espressioni valevoli a ringraziarla dei benefizi che mi ha fatto. Oltre i favori che mi prodigò, specialmente col farmi scuola in sua casa, mi ha eziandio insegnate tante belle cose spirituali e temporali, che mi sono di potente aiuto. Ma il maggiore di questi favori fu quello di mandarmi in questa casa dove nulla più mi manca né per l'anima, né pel corpo. Io ringrazio ognor più il Signore, che mi abbia concesso così segnalato favore a preferenza di tanti altri giovani. Io preghi di cuore per me affinché mi conceda la grazia dl corrispondere a tanti segni di celeste bontà. Ora io sono pienamente felice in questo luogo, nulla ho più a desiderare, ogni mia brama è appagata. Ringrazio lei e tutti gli altri benefattori di tutti gli oggetti che mi hanno mandati. La scorsa settimana sperava di avere la consolazione di vederla qui in Torino, affinché potesse parlare coi miei superiori della mia condotta: pazienza, il Signore vuole differirmi questa consolazione.
Dalla lettera di lei ho conosciuto, che i miei di casa piangevano al sentir leggere la mia lettera. Dica loro che hanno motivo di rallegrarsi e non di piangere perché io sono pienamente felice. La ringrazio dei preziosi avvertimenti, che mi dà, e l'assicuro che finora ho fatto quanto ho potuto per metterli in pratica. Ringrazi per me la mia sorella di quella comunione che ha fatto espressamente per me. Credo che questo mi abbia molto aiutato nei miei studi. Imperocché mi sembra quasi impossibile che in tempo così breve io abbia potuto passare nella seconda ginnasiale. La prego di salutare i miei parenti e dir loro, che preghino per me, ma non si diano alcun fastidio, perché io godo buona sanità, sono provveduto di tutto, in una parola sono felice. Mi scusi se ho ritardato a scriverle; nei giorni scorsi avea molto da fare per prepararmi agli esami, i quali mi riuscirono bene più di quanto mi aspettava. Io desidero ardentemente di mostrarle la mia gratitudine; ma non potendo in altro modo, procurerò di darle qualche compenso pregando il Signore a concederle sanità e giorni felici.
Mi dia la sua santa benedizione e mi consideri sempre
Suo affezionatissimo figlioccio
BESUCCO FRANCESCO».
Il padre di Francesco, di professione arrotino, passa la bella stagione lavorando la campagna e coltivando i bestiami in Argentera, ma in autunno parte e va in vari paesi per guadagnar pane per sé e per la famiglia esercitando il suo mestiere. Francesco il 26 ottobre scrivevagli una lettera in cui, notando la sua contentezza di trovarsi a Torino, esprime i suoi teneri figliali affetti nel modo seguente:
« Carissimo Padre,
Si avvicina il tempo in cui voi, carissimo padre, dovete partire per far campagna e provvedere quanto è necessario per la famiglia. Io non posso come vorrei accompagnarvi nei vostri viaggi, ma sarò sempre con voi col mio pensiero e colla preghiera. Vi assicuro che ogni giorno io prego il Signore, perché vi dia sanità e la sua santa grazia.
Mio padrino fu qui all'Oratorio, e ne ho avuto il più gran piacere. Fra le altre cose mi dice che voi avete paura che io patisca di fame; no, state tranquillo, che ho pane in grande abbondanza; e se mettessi | p. 71 | a parte il pane che eccede il mio bisogno, in fine di ciascuna settimana voi potreste fare una grossa panata, come diciamo noi. Vi basti sapere che mangiamo quattro volte al giorno e sempre finché vogliamo; a pranzo ci è minestra e pietanza, a cena minestra. Una volta si dava il vino tutti i giorni, ma dacché è venuto così caro l'abbiamo soltanto nei giorni festivi. Non datevi pertanto alcun fastidio per me: io ho niente più a desiderare, quanto desiderava mi è stato concesso.
Vi partecipo due cose con piacere, e sono che i miei superiori si mostrano contenti di me ed io lo sono ancor più di loro. L'altra cosa è la visita dell'Arcivescovo di Sassari. Esso venne a fare una visita al Direttore; visitò la casa, si trattenne molto coi giovani, ed io ebbi il piacere di baciargli la mano e di ricevere la sua santa benedizione.
Caro padre, salutate tutti quelli di nostra famiglia e specialmente la mia cara madre. Date delle mie notizie al mio padrino e ringraziatelo sempre di quanto ha fatto per me. Fate buona campagna, e se avrete dimora fissa in qualche paese, fatemelo sapere e vi manderò tomo mie notizie. Pregate anche per me, che di tutto cuore sarò sempre
Vostro affez.mo figliuolo
FRANCESCO».
Da che era stato visitato dal suo padrino, desiderava ardentemente di ricevere da lui qualche lettera. Ne fu appagato con uno scritto, in cui quel zelante Arciprete gli dava parecchi consigli per suo bene spirituale e temporale. Francesco risponde esprimendo la sua contentezza; lo ringrazia, e gli promette di mettere in pratica i suoi avvisi.
La lettera del 23 novembre 1863 è del tenore seguente:
«Carissimo signor Padrino,
Il giorno 14 di questo mese ho ricevuto la sua lettera. Ella può immaginarsi quale grande consolazione io abbia provato. Io passai in gran festa tutto il giorno in cui ho ricevuto la sua lettera. La lessi e rilessi più volte, e più la leggo più grande è il coraggio che mi sento di studiare e di farmi migliore. Adesso conosco quale grande benefizio mi abbia fatto mandandomi in questo Oratorio. Non posso sfogare la riconoscenza del mio cuore, se non andando in chiesa a pregare per i miei benefattori e specialmente per lei; e per non perdere il tempo di studio io vado a pregare in tempo di ricreazione. Debbo per altro fermarmi poco, perché sebbene io provi maggior contentezza nello studio e nel pregare, che non nel divertimento, tuttavia io debbo fare con gli altri la ricreazione, perché così è comandato dai Superiori, come cosa utile e necessaria allo studio e alla sanità.
Adesso tutte le scuole sono cominciate e dal mattino alla sera tra scuola, studio, scuola di canto fermo, di musica, pratiche religiose e divertimenti non mi rimane più un momento di tempo per pensare alla mia esistenza.
Io sono con gran piacere sovente visitato dal luogo-tenente Eysautier; alcuni giorni or sono mi portò un fracco così bello che se ella me lo vedesse in dosso mi crederebbe un cavaliere.
Ella mi raccomandò di cercarmi un buon compagno, ed io l'ho subito trovato. Esso è migliore di me nello studio ed anche assai più virtuoso. Appena ci siamo conosciuti abbiamo fatto grande amicizia. Tra noi due non si parla di altro che di studio e di pietà. Egli ama eziandio la ricreazione, ma dopo aver saltellato un poco ci mettiamo subito a passeggiare discorrendo di cose scolastiche. Il Signore mi aiuta sensibilmente; nei lavori dei posti vado sempre più avanti: di novanta che sono in mia classe, ne ho ancora una quindicina prima di me.
Mi consolo molto nel sapere che i miei compagni si ricordano di me; dica loro che li amo assai e che si occupino con diligenza nello studio e nella pietà. La ringrazio della bella lettera che mi ha scritto, e procurerò di mettere in pratica gli avvisi in essa contenuti. Io desidero ardentemente di farmi buono, perché so che Iddio tiene preparato un gran premio per me e per quelli che lo amano e lo servono in questa vita.
Mi perdoni se ho ritardato a scrivere e se non ho messo in pratica gli avvisi datimi da lei, mio caro benefattore. La prego di salutare tutti quelli di mia casa, e non potendo porgere saluti a mio padre lo faccio col cuore pregando Iddio per lui. Sia in ogni cosa fatta la volontà di Dio non mai la mia, mentre mi affermo nei cuori amabilissimi di Gesù e di Maria
Nella lettera inviata al suo Arciprete, e colla medesima data, Francesco ne chiudeva eziandio un'altra indirizzata ad un suo amico e virtuoso cugino di nome Antonio Beltrandi dell'Argentera.
L'ordine, la dicitura, i pensieri della medesima sembrano degni di essere anche qui pubblicati a modello delle lettere, che si possono scrivere vicendevolmente tra due buoni giovanetti. Eccone il tenore:
«Carissimo compagno Antonio,
Che bella notizia mi ha dato il mio padrino a tuo riguardo! Egli mi scrive, che tu devi eziandio intraprendere gli studi come ho fatto io. Ti dirò che questo è un ottimo pensiero e sarai ben fortunato se lo manderai ad effetto. E poiché questo benefico nostro Arciprete si dispone a farti scuola, procura di compensarlo colla diligenza nell'adempimento de' tuoi doveri. Occupati nello studio, ma accanto allo studio metti subito la preghiera e la divozione: questo è l'unico mezzo per riuscire in questa impresa ed essere poi contento. Io godo già al pensiero che l'anno venturo mi sarai compagno in questa casa.
I ricordi che io posso darti si riducono ad uno solo: ubbidienza e sommissione ai tuoi parenti ed al signor Arciprete. Ti raccomando poi il buon esempio verso i tuoi compagni.
Un favore per altro debbo dimandarti ed è che in questo inverno tu faccia la Via Crucis dopo le sacre funzioni come io faceva, quando era in patria. Procura di promuovere quest'opera di pietà, e ne sarai benedetto dal Signore. Il tempo è prezioso, procura di occuparlo bene; se ti rimane qualche ora libera, raduna alcuni ragazzi e loro fa ripetere quella lezione della dottrina cristiana, che si è insegnata nella domenica antecedente. È questo un mezzo efficacissimo per meritare la benedizione del Signore. Quando il mio padrino mi scriverà, digli che mi dia delle tue notizie, e così sarò sempre più rassicurato della tua buona volontà. Presentemente io mi trovo molto occupato. O mio caro, che grande afflizione io provo nel pensare al tempo che ho speso invano, e che avrei potuto spendere nello studio e in altre opere buone!
Credo che prenderai questa mia lettera in buona parte, e se mai qualche cosa ti dispiacesse, te ne dimando perdono. Fa' tutto quello che puoi affinché possiamo l'anno venturo essere compagni qui in Torino, se così piacerà al Signore.
Addio, caro Antonio, prega per me.
Tuo affezionatissimo amico
BESUCCO FRANCESCO»
Dalle lettere fin qui esposte apparisce la grande pietà, che nel cuore nutriva Francesco: ogni suo detto, ogni suo scritto è un complesso di teneri affetti e di santi pensieri. Sembra tuttavia, che, di mano in mano che si avvicinava al fine della sua vita, egli divenisse ognor più infiammato d'amor di Dio. Anzi da certe espressioni sembra che egli ne avesse presentimento. Il suo stesso padrino quando ricevette quest'ultima lettera esclamò: Mio figlioccio mi vuole abbandonare; Iddio lo vuole con sé.
Io la riferisco qui per intero come vero modello di chi vuole augurare cristianamente un buon capo d'anno. Essa porta la data del 28 dicembre 1863.
«Carissimo signor Padrino,
Ogni giovane ben educato commetterebbe certamente un atto d'ingratitudine altamente da biasimarsi, se in questi giorni non iscrivesse a' suoi genitori e benefattori augurando loro felicità e benedizioni. Ma quali sentimenti non dovrò io mai manifestare verso di lei, mio caro ed insigne benefattore? Fin dal giorno che io nacqui ella cominciò a beneficarmi e a prendersi cura dell'anima mia. Le prime cognizioni della scienza, della pietà, del timor di Dio, le debbo a lei. Se ho fatto qualche corso di scuola, se ho potuto fuggire tanti pericoli dell'anima mia, è tutta opera dei suoi consigli, delle sue cure e sollecitudini.
Come mai pertanto la potrò degnamente ricompensare? Non potendolo in altra guisa procurerò almeno di darle segni della mia costante gratitudine col conservare nella mente impressa la ricordanza dei benefizi ricevuti, ed in questi pochi giorni mi adoprerò con tutte le forze ad augurarle copiose benedizioni dal Cielo con buon fine dell'anno presente e buon principio dell'anno nuovo.
Egli è antico il proverbio, che dice: Un buon principio è la metà dell'opera; pertanto anche io desidererei cominciare bene quest'anno e di in cominciarlo colla volontà del Signore e continuarlo secondo la sua santa volontà.
Al presente i miei studi vanno bene; la condotta nello studio, nel dormitorio, nella pietà fu sempre optime. Ho avuto notizie di mio padre e di mio fratello i quali godono buona salute. Dia questa notizia a quelli di mia casa e ne avranno certamente piacere. Dica loro che non istiano inquieti per niente; io sto bene e nulla mi manca.
La prego eziandio di salutare il mio buon maestro signor Antonio Valorso, e gli dica che gli chiedo perdono delle disobbedienze e dei dispiaceri che tante volte gli ho dato, mentre frequentava la sua scuola.
Finalmente rinnovo l'assicurazione che non passerò mai giorno senza pregar Dio che conservi lei in sanità ed in lunga vita. Caro signor padrino, mi perdoni anche ella di tutti i disturbi, che le ho dato; continui ad aiutarmi coi suoi consigli. Io non desidero altro che di farmi buono, e di correggermi dei tanti miei difetti. Sia per sempre fatta là volontà di Dio e non mai la mia.
Con gran rispetto ed affezione mi professo
Suo BESUCCO FRANCESCO».
Nella lettera indirizzata al suo padrino racchiudevasi un biglietto per sua madre, che è l'ultimo dei suoi scritti e si può considerare come il suo testamento ovvero le ultime parole scritte ai suoi genitori.
«Amatissima madre,
Siamo alla fine dell'anno, Iddio ci aiutò a passarlo bene. Anzi posso dire che quest'anno fu per me una continua serie di celesti favori. Mentre vi auguro buon fine per questi pochi giorni che ci rimangono, prego il Signore che voglia concedervi un buon principio dell'anno novello continuato e ricolmo di ogni sorta di beni spirituali e temporali. La beatissima Vergine Maria vi ottenga dal divin suo figliuolo lunga vita e giorni felici.
Quest'oggi ho ricevuto una lettera di mio padre, da cui conosco che tanto esso quanto mio fratello godono buona salute, e questo mi recò grande consolazione. Vi mando qui la nota di alcuni oggetti che ancora svii occorrono.
Mia cara madre, vi ho dati tanti fastidi quando ero a casa, e ve ne do ancora presentemente; ma procurerò di compensarvi colla mia buona condotta e colle mie preghiere. Vi prego di fare in modo che mia sorella Maria possa studiare, perché colla scienza può assai meglio istruirsi nella religione.
Addio, cara madre, addio, offriamo al Signore le nostre azioni ed i nostri cuori, ed a lui raccomandiamo in particolar modo la salvezza delle anime nostre. Sia sempre fatta la volontà del Signore.
Augurate ogni bene da parte mia a tutti quelli di nostra casa, pregate per me, che di cuore vi sono
Affez.mo figliuolo
FRANCESCO».
Da queste ultime lettere chiaro apparisce che il cuore di Besucco non sembrava più di questo mondo, ma di chi cammina coi piedi sulla terra, e che abbia già l'anima sua con Dio, di cui voleva continuamente parlare e scrivere.
Col fervore nelle cose di pietà cresceva eziandio l'ardore di allontanarsi dal mondo. Se potessi, diceva talvolta, vorrei separare l'anima dal corpo per meglio gustare, che cosa voglia dire amar Dio. Se non ne fossi proibito, diceva eziandio, io vorrei cessare da ogni alimento per godere a lungo il grande piacere, che si prova nel patire pel Signore. Che grande consolazione hanno mai provato i martiri nel morire per la fede!
Insomma egli e colle parole e coi fatti manifestava quanto già diceva san Paolo: «Desidero di essere disfatto per essere col mio Signore glorificato». Dio vedeva il grande amore che regnava verso di Lui in quel piccolo cuore, e affinché la malizia del mondo non cangiasse il suo intelletto volle chiamarlo a sé, e permise che un eccessivo affetto alle penitenze ne desse in certo modo occasione.
Egli aveva letto nella vita di Savio Domenico, come esso un anno aveva imprudentemente lasciato assai inoltrare la stagione senza coprirsi convenientemente nel letto. Besucco lo volle imitare e giudicato che l'ordine datogli di coprirsi fosse limitato soltanto agli abiti del giorno pensò di essere libero di mortificarsi nel letto di notte. Senza dire nulla egli prendeva le coperte di lana insieme cogli altri compagni, ma invece di coprirsi le piegava e le metteva sotto al capezzale.
La cosa andò avanti fino ai primi giorni di gennaio, finché un mattino rimase talmente intirizzito che non poté levarsi cogli altri. Riferito ai superiori, come Besucco fosse a letto per incomodo di sanità, fu inviato l'infermiere della casa per visitarlo e riconoscerne i bisogni. Come costui gli fu vicino, lo richiese che cosa avesse.
- Niente niente - egli rispose.
- Se non hai niente, perché dunque sei a letto?
- Così, così... un po' incomodato.
Intanto l'infermiere si avvicina per aggiustargli le coperte, e si accorge che ha una sola copertina da estate sopra il suo letto.
- E le tue coperte, Besucco, dove sono?
- Son qua sotto al capezzale.
- Perché mai fare tal cosa?
- Oh niente... quando Gesù pendeva in croce non era meglio coperto di me.
Si conobbe tosto, che il male del Besucco non era leggiero, laonde fu immediatamente portato nell'infermeria.
Fu subito fatto chiamare il medico, che da prima ravvisò non grave la sua malattia reputandola soltanto un semplice raffreddore.
Ma il di seguente si accorse, che invece di dileguarsi minacciava una congestione catarrale allo stomaco, che perciò la malattia prendeva una pericolosa intensità. Furono quindi praticati i rimedi ordinari dei purganti, dell'emetico, alcuni salassi, e bibite di vario genere, ma non si poté ottenere alcun favorevole risultato.
Interrogato un giorno, perché avesse fatto quella sbadataggine, cioè, non si fosse coperto in letto, rispose: - Mi rincresce che tal cosa abbia recato dispiacere ai miei superiori, spero per altro che il Signore riceverà questa piccola penitenza in soddisfazione dei miei peccati.
- Ma e le conseguenze della tua imprudenza?
Vita di Francesco Besucco
- Le conseguenze io le lascio tutte nelle mani del Signore; qualunque cosa sia per avvenire di questo mio corpo non ci bado, purché ogni cosa torni a maggior gloria di Dio, e a vantaggio dell'anima mia.
La sua malattia fu di soli otto giorni che per lui furono altrettanti esercizi ed ai compagni esempi di pazienza e di cristiana rassegnazione. Il male gli opprimeva il respiro, gli cagionava acuto e continuo mal di capo; fu sottoposto a molte e dolorose operazioni chirurgiche; gli furono amministrati parecchi rimedi energici. Ma tutte queste prescrizioni, tutte queste cure non valsero ad alleviare il suo male, e servirono soltanto a far risplendere l'ammirabile sua pazienza. Egli non diede mai alcun segno di risentimento o di lamento. Talvolta gli si diceva: - Questo rimedio dispiace, non è vero? - Egli rispondeva tosto: - Se fosse una dolce bibita questa mia boccaccia sarebbe più soddisfatta, ma è giusto che essa faccia un poco di penitenza delle ghiottonerie passate. - Altra volta gli si diceva: - Besucco, tu soffri molto, non è vero? - È vero che soffro alquanto, ma che cosa è mai questo in confronto di quello che dovrei patire per i miei peccati? Debbo per altro assicurarvi che sono così contento, che non mi sarei giammai immaginato che si provasse tanto piacere nel patire per amor del Signore.
Chiunque poi gli avesse prestato qualche servizio lo ringraziava di tutto cuore dicendo subito: - Il Signore vi ricompensi della carità che mi usate. - Non sapendo poi come esprimere la sua gratitudine all'infermiere gli disse più volte queste parole: - Il Signore vi paghi in inizi vece, e se andrò in Paradiso lo pregherò con tutto il cuore per voi affinchè vi aiuti e vi benedica. - Un giorno l'infermiere lo interrogò se non aveva paura di morire. - Caro infermiere, - rispose - se il Signore mi volesse prendere con Lui in Paradiso io sarei contentissimo di ubbidire alla sua chiamata, ma temo assai di non essere preparato. Ciò non ostante spero tutto nella infinita sua misericordia, e raccomandandomi di cuore a Maria SS., a S. Luigi Gonzaga, a Savio Domenico, colla loro protezione spero di fare una buona morte.
Eravamo soltanto al quarto giorno della malattia, quando il medico cominciò a temere della vita del nostro Francesco. Per cominciare a parlargli di quest'ultimo momento gli dissi:
- Mio caro Besucco, ti piacerebbe di andare in Paradiso?
- S'immagini se non mi piacerebbe di andare in Paradiso! Ma bisogna guadagnarmelo.
- Supponi che si tratti di scegliere tra guarire o andare in Paradiso: che sceglieresti?
- Son due cose distinte, vivere pel Signore o morire per andare col Signore. La prima mi piace, ma assai più la seconda. Ma chi mi assicura il Paradiso dopo tanti peccati che ho fatti?
- Facendoti tale proposta io suppongo che tu sii sicuro di andare in Paradiso, del resto se trattasi di andare altrove io non voglio che per ora tu ci abbandoni.
- Come mai potrò meritarmi il Paradiso?
- Ti meriterai il Paradiso pei meriti della passione e della morte di nostro Signore Gesù Cristo.
- Ci andrò dunque in Paradiso?
- Ma sicuro e certamente, ben inteso quando al Signore piacerà.
Allora egli diede uno sguardo a quelli che erano presenti, di poi fregandosi le mani disse con gioia: - Il contratto è fatto: il Paradiso e non altro; al Paradiso e non altrove. Non mi si parli più di altro, che del Paradiso.
- Io - gli dissi allora - sono contento, che tu manifesti questo vivo desiderio pel Paradiso, ma voglio che sii pronto a fare la santa volontà del Signore...
Egli interruppe il mio discorso dicendo: - Sì sì, la santa volontà del Signore sia fatta in ogni cosa, in Cielo ed in terra.
Nel quinto giorno della malattia chiese egli stesso di ricevere i Ss. Sacramenti. Voleva fare la confessione generale: cosa che gli fu negata non avendone alcun bisogno, tanto più che l'aveva fatta alcuni mesi prima. Tuttavia egli si preparò a quell'ultima confessione con un fervore tutto singolare e mostravasi molto commosso. Dopo la confessione apparve assai allegro, e andava dicendo a chi l'assisteva: - Pel passato ho promesso mille volte di non più offendere il Signore; ma non ho mantenuta la parola. Oggi ho rinnovata questa promessa, e spero di essere fedele fino alla morte.
Egli fu nella sera di quel giorno che gli si domandò se aveva qualche cosa da raccomandare a qualcheduno.
Oh sì - dicevami, - dica a tutti che preghino per me affinché a breve il mio purgatorio.
- Che vuoi ch'io dica a' tuoi compagni da parte tua?
- Dica loro che fuggano lo scandalo, che procurino di far sempre delle buone confessioni.
- E ai chierici ?
- Dica ai chierici, che diano buono esempio ai giovani, e che si adoprino sempre per dar loro dei buoni avvisi, e dei buoni consigli ogni qual volta sarà occasione.
- E a' tuoi superiori ?
- Dica a' miei superiori che io li ringrazio tutti della carità che Mi hanno usata; che continuino a lavorare per guadagnare molte anime; e quando io sarò in Paradiso pregherò per loro il Signore.
- E a me che cosa dici?
A queste parole egli si mostrò commosso e dando uno sguardo fisso: - A Lei chiedo - ripigliò - che mi aiuti a salvarmi l'anima. Da molto tempo prego il Signore che mi faccia morire nelle sue mani, mi raccomando che compia l'opera di carità, e mi assista fino agli ultimi momenti della mia vita.
Io lo assicurai di non abbandonarlo, sia che egli guarisse, sia che egli stesse ammalato, ed assai più ancora qualora si fosse trovato in punto di morte. Dopo prese un'aria molto allegra, né ad altro più badò che a prepararsi a ricevere il SS. Viatico.
Eravamo al sesto giorno della sua malattia (otto gennaio) quando egli stesso dimandò di fare la SS. Comunione. Quanto volentieri andrei a farla co' miei compagni in chiesa, diceva, sono otto giorni dacché non ho più ricevuto il mio caro Gesù. Mentre si preparava a riceverlo dimandò a chi lo assisteva che cosa volesse dire Viatico.
- Viatico - gli fu risposto - vuol dire provvigione e compagno di viaggio.
- Oh che bella provvigione ho io avendo con me il pane degli Angioli nel cammino che io sono per intraprendere!
- Non solo avrai questo pane celeste - gli fu soggiunto - ma avrai il medesimo Gesù per aiuto e per compagno nel grande viaggio, che ti prepari a fare per la tua eternità.
- Se Gesù è mio amico e compagno non ho più nulla a temere; anzi ho tutto a sperare nella sua grande misericordia. Gesù, Giuseppe e Maria, vi dono il mio cuore e l'anima mia.
Dopo fece la sua preparazione, né fu mestieri che altri l'aiutasse, imperciocché aveva le sue solite preghiere che con ordine recitava l'una dopo l'altra. Ricevette l'Ostia santa con quei segni di pietà, che piuttosto si possono immaginare che descrivere.
Fatta la Comunione si pose a pregare per far il ringraziamento. Richiesto se aveva bisogno di qualche cosa, nulla più rispondeva, che: Preghiamo. Dopo un considerevole ringraziamento chiamò gli astanti a sé e loro si raccomandò di non parlargli più di altro che del Paradiso.
In questo tempo fu visitato dall'Economo della casa, la qual cosa gli tornò di gran piacere.
- O D. Savio, - si pose a dire ridendo - questa volta ci vado al Paradiso.
- Fatti coraggio, e mettiamo nelle mani del Signore e la vita e la morte; speriamo di andare al Paradiso, ma quando a Dio piacerà.
- Al Paradiso, D. Savio; mi perdoni i dispiaceri che le ho cagionati, preghi per me, e quando sarò al Paradiso io pregherò anche il Signore per lei.
Qualche tempo dopo vedendolo tranquillo il richiesi se aveva qualche commissione da lasciarmi pel suo Arciprete. A questa parola si mostrò turbato. - Il mio Arciprete - rispose - mi ha fatto molto bene; egli ha fatto quanto ha potuto per salvarmi; gli faccia sapere che io non ho mai dimenticato i suoi avvisi. Io non avrò più la consolazione di vederlo in questo mondo, ma spero di andare in Paradiso e di pregare la SS. Vergine affinché lo aiuti a conservare buoni tutti i miei compagni, e così un giorno io lo possa vedere con tutti i suoi parrocchiani in Paradiso. Ciò dicendo la commozione gli interruppe il discorso.
Dopo alquanto di riposo gli domandai se non desiderava di vedere i suoi parenti. - lo non li posso più vedere - rispondeva - perché essi sono molto distanti, sono poveri e non possono fare la spesa del viaggio. Mio padre poi è lontano da casa lavorando nel suo mestiere. Faccia loro sapere, che io muoio rassegnato, allegro e contento. Preghino essi per me, io spero di andarmene in Paradiso, di là li attendo tutti... A mia madre... - e sospese il discorso.
Qualche ora dopo gli dissi: - Avresti forse qualche commissione per tua madre?
- Dica a mia madre che la sua preghiera fu ascoltata da Dio. Ella mi disse più volte: Caro Franceschino, io desidero che tu viva lungo tempo in questo mondo, ma desidero che tu muoia mille volte piuttosto di vederti divenuto nemico di Dio col peccato. Io spero che i miei peccati saranno stati perdonati, e spero di essere amico di Dio e di poter presto andarlo a godere in eterno. O mio Dio, benedite mia madre, datele coraggio a sopportare con rassegnazione la notizia di mia morte; fate che io la possa vedere con tutta la famiglia in Paradiso a godere la vostra gloria.
Egli voleva ancora parlare, ma io l'ho obbligato a tacere per riposare alquanto. La sera del giorno otto aggravandosi ognora il suo male fu deciso di amministrargli l'Olio Santo. Richiesto se desiderava di ricevere questo Sacramento:
- Sì, - rispose - io lo desidero con tutto il cuore.
- Non hai forse alcuna cosa che ti faccia pena sulla coscienza?
- Ah! sì, ho una cosa che mi fa molta pena e mi rimorde assai la coscienza!
- Qual'è mai questa cosa? Desideri di dirla in confessione o altrimenti ?
- Ho una cosa cui ho sempre pensato in mia vita; ma non mi sarei immaginato che dovesse cagionar tanto rincrescimento al punto di morte.
- Qual'è mai dunque la cosa che ti cagiona questa pena e tanto rincrescimento?
- Io provo il più amaro rincrescimento perché in vita mia non ho amato abbastanza il Signore come Egli si merita.
- Datti pace a questo riguardo, poiché in questo mondo non potremo giammai amare il Signore come si merita. Qui bisogna che facciamo quanto possiamo; ma il luogo dove lo ameremo come dobbiamo è l'altra vita, è il Paradiso. Là lo vedremo come Egli è in se stesso, là conosceremo e gusteremo la sua bontà, la sua gloria, il suo amore. Tu fortunato che fra breve avrai questa ineffabile ventura! Ora preparati a ricevere l'Olio Santo che è quel Sacramento che scancella le reliquie dei peccati e ci dà anche la sanità corporale se è bene per la salute dell'anima.
- Per la salute del corpo - egli ripigliò - non se ne parli più; in quanto ai peccati io ne domando perdono, e spero che mi saranno interamente perdonati; anzi confido che potrò ottenere anche la remissione della pena che dovrei sopportare pei medesimi nel purgatorio.
Preparata ogni cosa per l'ultimo Sacramento che l'uomo riceve in questa vita mortale, volle egli stesso recitare il Confiteor colle altre preghiere che riguardano questo Sacramento, facendo speciale giaculatoria all'unzione di ciascun senso.
Il sac. D. Alasonatti, prefetto della casa, glielo amministrava. Quando fu all'unzione degli occhi il pio infermo prese a dire così: O mio Dio, perdonatemi tutti gli sguardi cattivi, e tutte le cose lette, che non doveva leggere. Alle orecchie: O mio Dio, perdonatemi tutto quello che ho sentito con queste orecchie, e che era contrario alla vostra santa legge. Fate che chiudendosi esse per sempre al mondo si aprano di poi per udire la voce che mi chiamerà a godere la vostra gloria.
All'unzione delle narici: Perdonate, o Signore, tutte le soddisfazioni che ho dato all'odorato.
Alla bocca: O mio Dio, perdonatemi le golosità e tutte le parole che in qualsiasi modo vi abbiano recato qualche disgusto. Fate che questa mia lingua possa cantare al più presto le vostre lodi in eterno.
A questo punto il Prefetto rimase vivamente commosso ed esclamò: Che bei pensieri, che meraviglia in un ragazzo di così giovanile età! Continuando di poi l'amministrazione di quel Sacramento, ungendo le mani diceva: Per questa santa unzione e per la sua piissima misericordia ti perdoni Iddio ogni mancanza commessa coi tatto. L'infermo continuò: O mio grande Iddio, col velo della vostra misericordia e pei meriti delle piaghe delle vostre mani coprite e scancellate tutti i peccati che ho commesso colle opere in tutto il corso di mia vita.
Ai piedi: Perdonate, o Signore, i peccati che ho commessi con questi piedi sia quando sono andato dove non avrei dovuto, sia non andando dove mi chiamavano i miei doveri. La vostra misericordia mi perdoni tutti i peccati che ho commesso in pensieri, parole, opere ed omissioni.
Gli fu più volte detto che bastava dire quelle giaculatorie col cuore, né il Signore dimandare tanti gravi sforzi quali doveva fare pregando ad alta voce: allora egli taceva un istante, ma dopo continuava sullo stesso tono di voce come prima. Infine apparve così stanco, ed i polsi erano così sfiniti, che ci pensavamo che egli fosse per tramandare l'ultimo sospiro. Poco dopo si riebbe alquanto e in presenza di molti indirizzò queste parole al superiore: «Io ho pregato molto la Beata Vergine che mi facesse morire in un giorno a Lei dedicato, e spero che sarò esaudito. Che cosa potrei ancora dimandare al Signore?».
Per secondare la pia domanda gli fu risposto: - Dimanda ancora ai Signore, che ti faccia fare tutto il purgatorio in questo mondo, a segno che morendo l'anima tua voli subito al Paradiso. - Oh! sì, - tosto soggiunse - lo dimando di cuore, mi doni la sua benedizione; spero che il Signore mi farà patire in questo mondo, finché abbia fatto tutto il mio purgatorio, e così l'anima mia separandosi dal corpo voli tosto al Paradiso.
Pare proprio che il Signore l'abbia esaudito, imperciocché prese un po' di miglioramento e la sua vita venne ancora prolungata di circa ventiquattro ore.
Il nove gennaio, giorno di sabato, fu l'ultimo del caro nostro Besucco. Egli conservò il perfetto uso de' sensi e della ragione in tutta la giornata. Voleva continuamente pregare, ma ne fu proibito pel motivo che troppo si stancava. - Oh! almeno, - disse - qualcheduno preghi vicino a me, e così io ripeterò col cuore quello che egli dirà colle parole. - Per appagare questo suo ardente desiderio uopo era che vi fosse qualcheduno che recitasse preghiere o almeno giaculatorie accanto al suo letto. Tra gli altri che lo visitarono in quel giorno fu un suo compagno alquanto dissipato. - Besucco, - gli disse come stai ? - Caro amico, - rispose - mi trovo al fine di mia vita, prega per me in questi miei ultimi momenti. Ma pensa che tu eziandio dovrai trovarti in simile stato. Oh quanto sarai contento se farai opere buone! ma se non cangi vita ah quanto ti rincrescerà al punto della morte! Quel compagno si mise a piangere, e da quel punto cominciò si pensare più seriamente alle cose dell'anima, ed oggidì ancora tiene buona condotta.
Alle dieci di sera fu visitato dal signor Eysautier luogo-tenente delle guardie di S. M. in compagnia di sua moglie. Aveva esso preso parte per farlo venire all'Oratorio, e gli aveva fatto molti benefizi. Besucco se ne mostrò molto contento, e diede vivi segni di ringraziamento. Quel coraggioso militare al vedere l'allegria che traspariva in quel volto e i segni di divozione che egli manifestava e l'assistenza che aveva, rimase profondamente commosso e disse queste parole:
- Il morire in questo modo è un vero piacere, e vorrei anch'io potermi trovare in tale stato. - Indi volgendo il discorso all'infermo gli disse: - Caro Franceschino, quando sarai in Paradiso prega anche per me e per mia moglie. - Vie più commosso non poté più parlare, e dando all'infermo l'ultimo saluto se ne partì.
Circa alle dieci e mezzo pareva non potesse più avere che pochi minuti di vita; quando egli trasse fuori le mani tentando di levarle in alto. Io gli presi le mani e le raggiunsi insieme affinché di nuovo le appoggiasse sul letto. Egli le sciolse e le levò di nuovo in alto con aria ridente tenendo gli occhi fissi come chi rimira qualche oggetto di somma consolazione. Pensando che forse volesse il crocifisso glielo posi nelle mani: ma egli lo prese, lo baciò, e lo ripose sul letto, rialzando tosto con impeto di gioia in alto le mani. In quell'istante la faccia di lui appariva vegeta e rubiconda più che non era nello stato regolare di sua sanità. Sembrava che gli balenasse sul volto una bellezza, un tale splendore che fece scomparire tutti gli altri lumi dell'infermeria. La sua faccia dava una luce sì viva, che il sole in mezzodì sarebbe stato come oscure tenebre. Tutti gli astanti, che erano in numero di dieci, rimasero non solo spaventati ma sbalorditi, attoniti e in profondo silenzio tenevano tutti gli sguardi rivolti alla faccia di Besucco, che mandava un chiarore che avvicinandosi alla luce elettrica dovevano tutti abbassare lo sguardo. Ma crebbe in tutti la maraviglia quando l'infermo, elevando alquanto il capo e prolungando le mani quanto poteva come chi stringe la mano a persona amata, cominciò con voce giuliva e sonora a cantar così:
Lodate Maria,
O lingue fedeli, Risuoni ne' Cieli La vostra armonia.
Dopo faceva vari sforzi per sollevare più in alto la persona che di fatto si andava elevando, mentre egli stendendo le mani unite in forma divota, si pose di nuovo a cantare così:
O Gesù d'amor acceso Non vi avessi mai offeso, O mio caro e buon Gesù, Non vi voglio offender più.
Senza interrompere intonò la lode: Perdon, caro Gesù, Pietà, mio Dio, Prima di peccar più Morir vogl'io.
Noi eravamo tutt'ora in silenzio, e i nostri sguardi stavano rivolti all'infermo che sembrava divenuto un Angiolo cogli Angioli del Paradiso. Per rompere lo stupore il Direttore disse: - Io credo che in (questo momento il nostro Besucco riceva qualche grazia straordinaria dal Signore o dalla sua celeste Madre, di cui fu tanto divoto in vita. Forse Ella venne ad invitare l'anima di lui per condursela seco in Cielo.
Il sac. Alasonatti, prefetto, ebbe ad esclamare: - Niuno si spaventi. Questo giovane è in comunicazione con Dio. - Besucco continuò il suo canto, ma le sue parole erano tronche e mutilate, quasi di chi risponde ad amorevoli interrogazioni. Io ho potuto soltanto rac- cogliere queste: Re del Ciel... Tanto bel... Son pover peccator... A voi dono il mio cuor... Datemi il vostro amor... Mio caro e buon Signor... Indi si lasciò cadere regolarmente sul letto. Cessò la luce maravigliosa, il suo volto ritornò come prima; riapparvero gli altri lumi e l'infermo non dava più segno di vita. Ma accorgendosi che non si pregava più, né gli suggerivano più giaculatorie, tosto si voltò dicendomi: - Mi aiuti, preghiamo. Gesù, Giuseppe, Maria, assistetemi in questa mia agonia. Gesù, Giuseppe, Maria, spiri in pace con voi l'anima mia.
Io raccomandavagli di tacere, ma egli senza badare continuò: - Gesù nella mia mente, Gesù nella mia bocca, Gesù nel mio cuore; Gesù e Maria a voi do l'anima mia. - Erano le undici quando egli volle parlare, ma non potendo più disse solo questa parola: Il Crocifisso. Con questa parola egli chiamava la benedizione del Crocifisso con l'indulgenza plenaria in articolo di morte, cosa da lui molte volte richiesta e da me promessa.
Datagli quella ultima benedizione il Prefetto si pose a leggere il Proficiscere mentre gli altri pregavano ginocchioni. Alle undici e un quarto il Besucco fissandomi collo sguardo si sforza di fare un sorriso in forma di saluto, di poi alzò gli occhi al cielo indicando che egli se ne partiva. Pochi istanti dopo l'anima sua lasciava il corpo e se ne volava gloriosa, come fondatamente speriamo, a godere la gloria celeste in compagnia di quelli che coll'innocenza della vita hanno servito Iddio in questo mondo, ed ora lo godono e lo benedicono in eterno.
Non si può esprimere il dolore e il rincrescimento cagionato a tutta la casa dalla perdita di sì caro amico. Furono fatte in quel momento molte preghiere intorno al suo medesimo letto. Fattosi giorno se ne diffuse la notizia fra i suoi compagni, i quali per trovare un qualche conforto dell'afflizione e per pagare un tributo all'amico defunto si radunarono in chiesa a fine di pregare in suffragio dell'anima di lui, se mai ne avesse avuto ancora bisogno. Molti fecero la santa Comunione con questo medesimo scopo. Rosario, uffizio, preghiere in comune ed in privato, comunioni, messa, tutte insomma le pratiche di pietà che in quel giorno festivo ebbero luogo nella nostra chiesa furono indirizzate a Dio pel riposo eterno dell'anima del buon Francesco. In quel giorno apparve altra cosa singolare. Nella fisonomia divenne così avvenente e il suo volto così rubicondo, che in nessun modo pareva morto. Anzi quando era bene in sanità non apparve mai in lui sintomo di quella straordinaria bellezza. Gli stessi compagni ben lungi dall'avere il panico timore che generalmente si ha dei morti, andavano con ansietà a vederlo e tutti dicevano che egli sembrava veramente un Angiolo del Cielo. Questo è il motivo che nel ritratto preso dopo morte presenta fattezze molto più gentili e leggiadre che non aveva nel corso della vita. Quelli poi che vedevano oggetti che in qualche modo avessero appartenuto al Besucco andavano a gara per averli e conservarseli come cosa della più grata ricordanza. La voce comune che correva fra tutti era che egli fosse volato al Cielo. Egli non ha più bisogno delle nostre preghiere, dicevano alcuni; a quest'ora egli gode già la gloria del Paradiso. Anzi, soggiungeva un altro, certamente gode già la vista di Dio e lo prega per noi. Io credo, conchiudeva un terzo, che Besucco possieda già un trono di gloria in Cielo, e che invochi le divine benedizioni sopra i suoi compagni ed amici. Il giorno seguente, undici gennaio, gli fu cantata Messa da' suoi compagni, qui nella chiesa dell'Oratorio, tra cui molti fecero la santa Comunione sempre per maggior gloria di Dio e pel riposo eterno dell'anima di lui, se mai avesse ancora avuto bisogno di qualche suffragio. Terminata la funebre funzione fu dagli addolorati condiscepoli accompagnato alla parrocchia, quindi al campo santo.
Il sito che ora occupa è segnato col n. 147, nella fila quadrata a ponente.
Le virtù che in questo meraviglioso giovanetto risplendettero per lo spazio di circa 14 anni nel paese di Argentera divennero più luminose ancora quando egli mancò dai vivi, e quando si ebbero notizie della preziosa sua morte. Il sacerdote Pepino Francesco mi mandò una comvente relazione di cose che hanno del soprannaturale. Io le conserverò gelosamente per un tempo più opportuno, e mi limiterò a ricavare da quella alcuni tratti. «Saputasi la notizia della grave infermità del nostro Francesco - egli scrive - si fecero pubbliche preghiere pel cantandovi la Messa colla Benedizione del SS. Sacramento, ed orazione pro infirmo. Giunta poi la notizia della sua morte la sera del giorno tredici corse tosto di bocca in bocca ed in meno di un'ora Francesco era ovunque proclamato modello della gioventù cristiana. Non è a dire quanta afflizione recasse ai genitori e benefattori di questo caro giovanetto che contentò colla sua esemplare condotta sempre tutti, non offese mai nessuno. La sorella minore di Francesco, chiamata Maria, ne annunziò evidentemente la morte il giorno dieci gennaio, assicurando che circa la mezza notte dal nove venendo al dieci essendo in letto con sua madre sentì forte un rumore nella stanza superiore ove soleva dormire Francesco. Ella udì chiaramente gettare un pugno di sabbia sul pavimento, e per tema che la madre ad un tal rumore non venisse a sospettare della morte di Francesco la intertenne in discorsi ad alta voce disusati a quella figlia. Parecchi altri commossi alla santità di lui non esitarono raccomandarsegli per ottenere celesti favori con esito il più felice». Io non voglio discutere sopra i fatti che qui sono esposti: io intendo solo di fare la parte dello storico rimettendomi a qualsiasi osservazione che sia per fare il benevolo lettore. Ecco adunque alcuni altri brani della relazione mentovata: «Nel mese di febbraio un ragazzo di circa due anni trovavasi in grave pericolo della vita; reputando il caso disperato i parenti si raccomandarono al nostro Besucco, di cui ognuno andava glorificando le virtù. Promisero ancora che se quel fanciullo fosse guarito l'avrebbero animato alla pratica della santa Via Crucis ad imitazione di Francesco. Il fanciullo guarì in brevissimo tempo, ed ora gode perfetta salute. Giorni sono - continua il Parroco - raccomandai io stesso alle preghiere del caro giovinetto un padre di famiglia gravemente infermo, raccomandai pure nel medesimo tempo a Gesù Sacramentato, al cui onore e gloria si consacra il predetto padre di famiglia in qualità di cantore. Ometto i nomi di questi raccomandati unicamente per salvarli da qualche critica indiscreta. L'infermo prese tosto miglioramento e fra pochi giorni apparve perfettamente guarito.
La sorella maggiore di Francesco per nome Anna, maritata nel mese di marzo, trovandosi oppressa da grave incomodo che non lasciavala piú riposare né giorno né notte, in un momento di maggior inquietudine esclamò: Mio caro Franceschino, aiutami in questo grave bisogno, ottienmi un po' di riposo. Detto fatto. Da quella notte cominciò e continuò a riposare tranquillamente.
Animata la predetta Anna dal felice risultato della sua preghiera raccomandossi di nuovo a Francesco che la soccorresse in un momento in cui la sua vita versava in vero pericolo, e ne fu oltre ogni sua aspettazione favorita. Io poi che raccolgo i fatti altrui a maggior gloria di Dio non debbo omettere di notare che solito a raccomandarmi alle preghiere del mio figlioccio ancor vivente, con maggior fiducia feci a lui ricorso dopo la sua morte, e di questa mia fiducia ottenni in diverse circostanze felici risultati».
Qui metto termine alla vita di Francesco Besucco. Avrei ancora parecchie cose a riferire intorno a questo virtuoso giovanetto; ma siccome esse potrebbero dar motivo a qualche critica da parte di chi rifugge di riconoscere le maraviglie del Signore nei suoi servi, così mi riserbo di pubblicarle a tempo più opportuno, se la divina bontà mi concederà grazia e vita.
Intanto, o amato lettore, prima di terminare questo comunque siasi mio scritto vorrei che facessimo insieme una conclusione, che tornasse a mio e a tuo vantaggio. È certo che o più presto o più tardi la morte verrà per ambidue e forse l'abbiamo più vicina di quel che ci possiamo immaginare. È parimenti certo se non facciamo opere buone nel corso della vita, non potremo raccoglierne il frutto in punto di morte, né aspettarci da Dio alcuna ricompensa. Ora dandoci la divina Provvidenza qualche tempo a prepararci per quell'ultimo momento, occupiamolo ed occupiamolo in opere buone, e sta sicuro che ne raccoglieremo a suo tempo il frutto meritato. Non mancherà, è vero, chi si prenda giuoco di noi, perché non ci mostriamo spregiudicati in fatto di religione. Non badiamo a chi parla così. Egli inganna e tradisce se stesso e chi lo ascolta. Se vogliamo comparire sapienti innanzi a Dio, non dobbiamo temere di comparire stolti in faccia al mondo, perché Gesù Cristo ci assicura che la sapienza del mondo è stoltezza presso Dio. La sola pratica costante della religione può renderci felici nel tempo e nell'eternità. Chi non lavora d'estate non ha diritto di godere in tempo d'inverno, e chi non pratica la virtù nella vita, non può aspettarsene alcun premio dopo morte.
Animo, o cristiano lettore, animo a fare opere buone mentre siamo in tempo; i patimenti sono brevi, e ciò che si gode dura in eterno. Io invocherò le divine benedizioni sopra di te, e tu prega anche il Signore Iddio che usi misericordia all'anima mia, affinché dopo aver parlato della virtù, del modo di praticarla e della grande ricompensa che Dio alla medesima tien preparata nell'altra vita non mi accada la terribile disgrazia di trascurarla con danno irreparabile della mia salvezza.
Il Signore aiuti te, aiuti me a perseverare nell'osservanza de' suoi precetti nei giorni della vita, perché possiamo poi un giorno andare a godere in Cielo quel gran bene, quel sommo bene pei secoli dei secoli. Così sia.
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