I nostri amici di Scuola della Mondialità, che sono stati in missione quest'estate un mese nella Repubblica del Congo, ci raccontano come è stata l'esperienza! "Abbiamo capito e toccato con mano, che una persona vale non per tutto quello che concretamente fa, ma prima di tutto per ciò che è..."
del 04 settembre 2012
Un’accompagnatrice (super!): sr Dominga, quattro ragazze: Elisa, Chiara, Paola, Silvia ed un ragazzo: Giuseppe!
Ognuno proveniente da realtà diverse: Conegliano, Trieste, Padova, Venezia, Lendinara. Chi per la prima volta in continente Africano, chi con la voglia di ritornarci, tutti accumunanti dal desiderio di voler incontrare, di voler conoscere una Terra a noi tanto lontana, ricca di contraddizioni.
Dove?
Siamo stati per un mese, nella Repubblica Democratica del Congo (RDC). Potenzialmente potrebbero essere lo stato più ricco del mondo per le sue risorse minerarie e le terre fertili, ma nella realtà dei fatti, attualmente è l’ultimo Paese per fame, salute, istruzione, aggiungendo inoltre le svariate guerre che sembrano non conoscere la parola “fine” e il vulcano ancora attivo …
Più nello specifico siamo stati a Goma, a Nord del Lago Kivu, vicino al vulcano Nyiagongo, a circa tre ore e mezzo da Kigali (capitale del Rwanda, sede del nostro aeroporto, dove nel 1994 è accaduto il genocidio che ha visto circa 1 milione di morti in 100 giorni).
La città è fatta di case molto povere, di solito costruite con assi di legno e con un unico ambiente che diventa cucina, salotto, camera da letto per tutti i componenti della famiglia. Le strade non sono asfaltate ma sono piene di pietre vulcaniche e tanta tanta polvere nera.
Ma per essere ancora più precisi siamo stati al centro don Bosco di Ngangi!
Un’opera davvero molto grande e complessa sorta nel 1988 e che in questo mese ci ha visto attivi e collaboratori dei 170 animatori durante il periodo di grest (“Plaines des Jeux”) al mattino, con numeri variabilissimi, dai 1000 ai 3000 bambini. Il motivo principale che li spingeva non era tanto (non solo) il divertimento ma la speranza di ottenere qualcosa da mangiare. Purtroppo per quest’anno non ci sono stati progetti che abbiano potuto sovvenzionare la missione, perciò l’unica cosa che quest’ultima è riuscita a donare non è cibo ma acqua zuccherina offrendo un po’ di energia. A volte capitava, infatti, che qualche bambino svenisse dalla fame e dalla stanchezza. I bambini, tutti vestiti di stracci e molto sporchi, e a volte capitava di vederne di piagati o malnutriti. Lì era difficile rimanere puliti anche perché con il vulcano attivo c’è sempre moltissima polvere.
I pomeriggi invece ci vedevano coinvolti in attività ricreative-laboratoriali e sportive con i bambini dell’orfanotrofio, con i ragazzi di strada, o le ragazze madri vittime di violenza sessuale, con i ragazzi dell’internato o con i bambini e ragazzi ex-soldato . . .
Oggettivamente Goma, non è quindi di certo l’Africa che tutti immaginiamo, ricca di animali, non è l’Africa dalla terra rossa, dai cieli straordinari, con i tramonti magici, niente di tutto questo o per lo meno in minima parte.. eppure ognuno di noi ritornerebbe lì. Perché è lì che abbiamo scoperto (o almeno c’abbiamo provato!) che il sole lo dobbiamo trovare prima di tutto dentro noi stessi, nelle persone che ci circondano, con cui parliamo, con cui collaboriamo..
Era tutto grigio, anche a causa del vulcano attivo, quindi per terra tutto di lava, tutto nero, pochissimo verde, ed il sole faticava ad uscire, la sera faceva freddo, ma lì stava il bello, vedere il sole, la luce e la gioia nel cuore e negli occhi di chi è rimasto con noi per un mese.
Abbiamo capito e toccato con mano, che una persona vale, è importante non per tutto quello che concretamente fa, ma prima di tutto per ciò che è. E questo scardina un po’ dalle nostre mentalità di occidentali-europei. Qui spesso una persona vale “davvero” per le infinite cose che fa, per i titoli che ottiene, vuoi nello sport, nel mondo accademico, sul lavoro.. La logica sembra ormai quella del “più fai, più sei, più vali”. Ma in una situazione come la nostra, di povertà estrema abbiamo davvero compreso l’importanza dell’essenzialità, dell’ “esserci”, dello “stare”.. Dello stare ad abbracciare, ad incontrare, a sorridere, a piangere, ad ascoltare, a parlare.
A Ngangi non si vive in funzione delle cose che si fanno in una giornata, ma in funzione delle persone che incontri, si vive di RELAZIONI! E parlare con loro è davvero magnifico!
All’inizio alcuni di noi hanno sentito la fatica del “non fare”, dell’essere apparentemente fermi, perché cresciuti nella logica della frenesia, del fare all’infinito senza mai un attimo di tregua e di stop! Ma come ci direbbe don Filippo (missionario da alcuni anni in Etiopia) le manine di quei bambini sono entrate nei nostri cuori, rubandoceli, e questo è stato il frutto più grande del nostro essere in mezzo a loro!
Durante le condivisioni ci rendevamo conto di quanto nella nostra quotidianità ci sia bisogno di “presenza”, di persone che sanno rimanere, che sanno stare, accogliendo e rendendosi disponibili all’incontro, alla conquista di una vita, di una storia, e niente ha più valore di questo!
Non c’è gioia più grande di un incontro, della scoperta dell’altro che proprio perché “diverso” da me diventa dono, un dono dal valore inestimabile! Ed ecco il sole, ecco perché stiamo tutti soffrendo di Mal d’Africa!
Ritornare alla quotidianità come prima della partenza è impossibile. Troppo si è mosso dentro di noi, troppe le cose viste, le emozioni vissute, le persone incontrate, i sorrisi, i bambini che pieni di gioia ti corrono incontro a braccia aperte per esser sollevati. Non si può trattenere la gioia, le lacrime per quanto vissuto, persino gioia di fronte agli imprevisti che vuoi per la guerra, vuoi per altre cose facevano ormai parte dell’ordine del giorno!
Tante storie di miracoli, tante storie anche difficili da accettare, come quella di un bimbo tra le braccia della madre, che a giudicarlo dall’esterno sembrava non avesse più di un mese, invece aveva un anno e mezzo e pesava solo 4 kg. 4 kg. Cose forse che neanche i film, o i media ci dicono, ma sono vere, reali.. le abbiamo viste, ma non toccate con mano, perché per noi bianchi (muzungo!) le cose saranno sempre diverse.. e allora cosa fare?
Sentivamo spesso la rabbia, il senso d’impotenza nel non poter fare nulla di fronte a tanta emergenza, a tanto bisogno, e quello a cui siamo arrivati, grazie alle lunghe chiacchierate di chi ha fatto dell’Africa la “sua” missione nella vita è che noi possiamo trovare un senso in ciò che siamo, in ciò che facciamo pensando al piccolo, alla realtà in cui siamo chiamati ad essere. Non siamo che piccole gocce, e forse mai le cose cambieranno, ma non dobbiamo dimenticarci che tante, infinite gocce d’acqua danno vita agli Oceani.. e l’oceano in fondo cos’è? E’ acqua.. e l’acqua è fonte di vita. Chissà il nostro è stato un piccolo essere, una piccola presenza, semplice in fondo, ma è dietro a queste piccole cose che c’è nascosto l’Amore.. quello vero!
L’altra cosa che noi piccole gocce possiamo fare è quella di testimoniare e non smettere mai di parlare, di raccontare ciò che effettivamente sta accadendo al nostro fratello che non è poi così lontano da noi, solo così potranno nascere nuovi e più grandi Oceani d’Amore!
Padre Piero, missionario in RDC da cinquant’anni ormai, è riuscito a farci cogliere ancor di più l’essenzialità, il nocciolo di questa esperienza dicendoci: “di fronte all’impotenza il Signore mi lascia sempre l’opportunità di celebrare la messa”…
Ed è così che attraverso i loro occhi, occhi con i quali rispecchiarsi, abbiamo avuto il dono grande di vederci, noi dentro di loro, loro dentro di noi creando dei legami che nessuno mai potrà rubarci. E questo sole non potrà che splendere quotidianamente dentro di noi!
Tratto da: MGS News
23 Luglio – 21 Agosto, Goma, Centro don Bosco Ngangi (RDC)
Silvia Lancerotto con la collaborazione di tutto il gruppo!
Di Silvia Lancerott
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