Presentiamo una trascrizione delle Lecturae Dantis tenute da Roberto Benigni in diverse università italiane e presentate in versione cinematografica da La Melampo Cinematografica, con il titolo Inferno e Paradiso. Roberto Benigni recita Dante... «Dante Alighieri ci ha lasciato l'apice di tutte le letterature. Io sono un uomo di spettacolo e gli uomini di spettacolo vengono dalla narrazione perché devono saper raccontare. Quindi sono anche un uomo di lettere...».
del 10 gennaio 2006
Presentiamo una trascrizione delle Lecturae Dantis tenute da Roberto Benigni in diverse università  italiane e presentate in versione cinematografica da La Melampo Cinematografica, con il titolo Inferno e Paradiso. Roberto Benigni recita Dante (prodotto da Gianluigi Braschi, montaggio di Simona Paggi, delegati alla produzione Alessia Iannece e Francesco Venzi, direttore della fotografia Roberto Forges Davanzati, 2001).
Gli interventi di Benigni furono tenuti nella Scuola Normale di Pisa, nell’Università La Sapienza di Roma, nell’Università di Padova, nell’Università di Bologna. La trascrizione è stata curata da Giulia Balzerai (cf. www.santamelania.it) e non rivista dall’autore. Il testo, nascendo dalla viva voce dell’autore, conserva lo stile orale.
 
 Inferno, Canto V - Paolo e Francesca
(Sale in piedi sulla sedia)
Qui non si può stare, vero?
Dunque... volevo venire qua in questo giro che abbiamo fatto delle università, che mi hanno arricchito veramente... nel senso - vero - spirituale del termine, e fare un incontro con gli studenti, poi il Magnifico Rettore mi ha detto “Ma vieni a fare una bella lectura Dantis”, e così dicendo ha invitato la lepre a correre! Anche perché non ho mai fatto un vero e proprio incontro, lezione, o come si vuole dire, o chiarificazione, perché a me quando si parla di Dante mi si rigira subito il corpo e l’anima, mi va bene tutto. Ci tengo a dire che il mio è un contributo; quello che dico ovviamente non ha carattere scientifico, ma personale. Qualsiasi cosa si dice su Dante va sempre bene, perché è un contributo che diamo alla poesia, all’altezza, alla bellezza e alla gioia del mondo e del vivere.
Dante Alighieri ci ha lasciato l’apice di tutte le letterature. Io sono un uomo di spettacolo e gli uomini di spettacolo vengono dalla narrazione perché devono saper raccontare. Quindi sono anche un uomo di lettere, se vogliamo buttare là, e anche uno piuttosto esigente, nel senso che quando leggo mi piace proprio godere della lettura, il piacere della lettura. Quando dico perciò che la Divina Commedia è veramente la vetta delle letterature, lo dico proprio per il piacere della lettura e per il fatto di non respingere un amante straordinario come Dante Alighieri, il quale ci ha regalato una cosa così bella che, come dice il poeta, “chissà cosa abbiamo fatto di straordinario, di cui ci siamo dimenticati, per esserci meritati un dono così bello come la Divina Commedia”. E’ come se Dio avesse detto: “Sono stati talmente bravi, boni, che li voglio premiare, gli do uno che gli scrive la Divina Commedia”. Questo è una cosa spettacolare, forse ce ne siamo dimenticati. Quindi c’è anche il canto, la musicalità, c’è il racconto e, naturalmente, la poesia.
E la poesia, come si sa, va detta ad alta voce, perché viene dalla tradizione orale. Addirittura mi ricordo di un passo di Sant’Agostino che mi ha colpito. Si dice che lui per la prima volta è rimasto colpito quando è andato a Milano, da San Ambrogio e ha visto che leggeva mentalmente. Era la prima volta che accadeva nella storia, che qualcuno leggesse mentalmente e Sant’Agostino è rimasto stralunato da questa cosa. In ebraico addirittura leggere e gridare si dice nella stessa maniera. Quindi tutta la grande poesia deve essere letta ad alta voce. La poesia che non regge ad essere letta ad alta voce, vuol dire che non è una grande poesia. E’ una delle regole - la più antica del mondo - il fatto che sia cantata.
Ora Dante è stato a fare un viaggio nell’aldilà; noi dobbiamo credere che c’è stato veramente. Io non ho mai avuto dubbi che Dante sia stato nell’Inferno, nel Purgatorio, nel Paradiso. Ci si buttò dentro. Ci dice delle cose precise, quando parte “nel mezzo del cammin di nostra vita”. Ci dice esattamente che c’ha 35 anni. Poi dice: “Mi ritrovai per una selva oscura”, e allora dice: “Come era a cena da amici e ha perso la strada di casa? Si è trovato in un bosco? Come è andata?” Uno la può leggere anche così oppure capisce subito che comincia l’allegoria, perché la selva oscura addirittura un grande poeta americano, Pinsky, che è un grande traduttore della Divina Commedia ha detto proprio che Dante in quel momento si trovava in una depressione. Uno che è depresso, che sta proprio per morire, che sta male... quindi comincia l’allegoria. Ha scritto questa cosa proprio per ergersi e tornare alla vita. Queste sono tutte letture che vengono in seguito.
Ma come mai quest’opera dura tanto? Un’opera per dura’ tanto o è erotica o è religiosa. Guardate la Bibbia, volevo dire, più erotica e mistica della Bibbia credo non ci sia opera. Ed è il libro più venduto e più letto da tutti, anche perché, volevo dire, quando si sanno i gusti dei lettori... La Bibbia è anche l’unico libro e l’unico esempio in cui l’autore del libro è anche l’autore dei lettori, quindi sa esattamente quello che.. è andato preciso. E’ un fatto...
La Divina Commedia è erotica, estremamente erotica, ma più che erotica è sensuale. La sensualità di Dante, il verso! Qualcuno di voi ricorderà il famoso sonetto, proprio trovato nel tavolo di un notaio bolognese, quello che comincia: No me poriano giamai fare menda, dove ammenda fa rima con Garisenda. Ha fatto questo sonetto che è proprio a firma Dante Alighieri, si dice. Poi è stato riportato, la firma non l’ha mai vista nessuno però oramai è dato per suo, dove Dante Alighieri, guardando la Garisenda che non aveva mai visto, dice che vorrebbe accecare i suoi occhi e proprio fracassarli perché mentre guardava la Garisenda dietro di lui gli è passata, gli hanno detto, la più bella donna di Bologna, e lui non l’ha vista perché stava guardando ‘sta Garisenda. E s’è talmente arrabbiato di questo che ci ha scritto un sonetto. Vai a ripigliarla, perché allora trovare le donne non era facile come ora. Come ora, è sempre difficile intendiamo, però... Lui aveva questa sorta di... e comunque sulla sensualità di Dante ne sono state dette tante, ma la Divina Commedia ce ne dice di più.
Ci dice che lui all’inizio non voleva fare questo viaggio ultramondano. Si trova in questa selva, ci sono le tre belve, che sono belle anche così come sono, senza metafore. Si trova una lonza, un leone e una lupa che li ferma. Uno c’ha paura. E’ una cosa spettacolare senza la metafora, l’allegoria, i segni. Ad un certo punto arriva Virgilio che è il suo poeta preferito. Le sue prime parole sono: “Pietà, miserere me”. C’ha paura, una paura tremenda e Virgilio lo deve convincere, gli dice che lui è stato insignito, che deve fare ‘sto viaggio, che deve scrivere... e lui non vuole andare in nessuna maniera, finché Virgilio lo convince. Lui decide di andare e dopo si riferma: “Non voglio venire”. Proprio non vuole andare. Finché Virgilio per convincerlo gli dice che è stato chiamato da Beatrice, Santa Lucia e la Madonna. Tre donne che lo chiamano e vogliono per forza che lui faccia questo viaggio. Quando Dante sente che tre donne l’hanno chiamato c’è quel... ve lo vorrei leggere perché c’è un... non è che la so proprio tutta tutta a memoria, ci sono dei versi che... Nel II canto c’è una delle similitudini più belle della Divina Commedia, quella dei fioretti, lui sentendo dire che tre donne lo chiamano dice:
Quali fioretti dal notturno gelo
chinati e chiusi, poi che ’l sol li ’mbianca,
si drizzan tutti aperti in loro stelo,
tal mi fec’io di mia virtute stanca
Ma pensa che... è proprio un’immagine, come si può dire, ci si può ricavare, ora non voglio fare facili allusioni, ma è una cosa proprio di una potenza, teologica, virile, umana, carnale, animosa, animalosa, creaturale e si potrebbe trovare dei termini novi. Lui è convinto a andare là dal richiamo, diciamo, della potenza femminile. E’ la potenza femminile che lo fa andare. E’ un libro tutto al femminile la Divina Commedia, è un libro tutto sull’amore, basato tutto sull’amore. Ora, quando parla di Paolo e Francesca, che sono i passi più famosi, sentiamo che è il primo dannato con il quale parla, Francesca. E per la prima volta nella storia - un’invenzione di lui, uomo del Medio Evo - per descrivere tutto un personaggio, prende un momento della sua vita. Questa è un’idea che mi ha sempre affascinato. Prende un solo momento della sua vita e quel personaggio è scolpito per l’eternità. E’ un’invenzione di Dante Alighieri. Per Paolo e Francesca prende il momento in cui loro due non sapevano di essere innamorati e vengono trafitti dall’amore e quel momento rimarrà scolpito per sempre. Lui sceglie quel momento e sarà il momento dell’eternità. Mentre noi sentiamo Francesca che parla e piange e dice, soffriamo.
Mentre che l'uno spirto questo disse,
l'altro piangea; sì che di pietade
io venni men così com'io morisse.
E caddi come corpo morto cade.
Ma quando si sente: l’altro piangea, il cuore sobbalza, e quel verso che dice quando hanno scoperto... Dante vuol sapere come hanno fatto a capire che erano innamorati. Gli interessa a lui personalmente, è proprio la sua domanda: come accadde che voi vi scopriste innamorati? E lei dice:
Quando leggemmo il disiato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi basciò tutto tremante.
Ma queste son cose che uno... come applaude? Qui si spoglia e fa l’amore con un tavolo dalla bellezza. Viene voglia di violentare un tavolo minorenne!
Sono versi che lasciano... (applauso)
Siamo nel primo girone dell’Inferno - il primo, vero - dove Dante ci ha messo (non a caso in quello dove si soffre meno, per modo di dire) quelli che sono morti per amore, i lussuriosi, ma anche quelli che sono morti per amore perché si amavano l’uno con l’altro. Proprio perché lui stesso c’aveva paura di andarci: “Meglio che faccio un posto un po’ meno sofferente!” Quindi in questo canto si parla di questa storia. Di questi due amanti che so’ stati presi mentre stavano leggendo una storia che li riguardava - erano quasi loro - un libro. La storia di Paolo e Francesca la sapete tutti, insomma che... lei doveva sposare Gianciotto Malatesta e naturalmente era bruttissimo, era anche zoppo. Gli è arrivato brutto e zoppo, ma brutto, una personaccia! Gli portò la cosa di matrimonio il su’ fratello che era bellissimo. Lei pensava fosse quello suo marito. Pensate quando è arrivato quell’altro, che era cattivo, brutto e zoppo, ma proprio ignorante come una capra e quindi... Non è che poi l’ha tradito, solamente che il primo afflato d’amore con il primo che vedi... magari se vedeva prima quell’altro si sarebbe innamorata. Ha visto prima quello, allora... Aspettava l’amore. Quando aspetti l’amore non si vede più niente, diventa tutto meraviglioso.
Questo afflato d’amore, Dante gli chiede, vuol sapere da loro come fecero a ‘nnamorarsi. Perché a Dante gli interessa come si fa a ‘nnamorarsi: “Voglio sapere come scatta questo mistero dell’universo dell’amore”, che può scattare tra chiunque, con chiunque e in qualsiasi momento. E quella è una cosa che dentro ci sono... c’è Semiramide, che era una talmente lussuriosa che aveva fatto un editto dove imponeva a tutti di fare all’amore per la strada dalla mattina alla sera, di modo che anche lei fosse normale. Siccome questa Semiramide faceva all’amore dalla mattina alla sera con tutti, ha fatto un editto... E’ come se anche qui in Italia si dovesse tutti... Non facciamo riferimenti che è sempre brutto e terribile...
C’è Minosse in questo canto, con tutte le similitudini... “Vabbè Benigni, abbiamo capito, facci ‘sto canto”.
(segue la lettura del canto di Dante)
 
Inferno, Canto XXVI - Il canto di Ulisse
Lo maggior corno de la fiamma antica
cominciò a crollarsi mormorando,
pur come quella cui vento affatica;
indi la cima qua e là menando,
come fosse la lingua che parlasse,
gittò voce di fuori, e disse: 'Quando…
Senti? Lui ha messo... questo si chiama, come tutti sapete, l’enjambement, quando finisce un verso e la frase non è compiuta e ricomincia a metà dall’altro. E in questo canto deborda. E’ come se ci fosse un’alluvione, come se volesse sapere talmente tanto che il canto... mentre lo si recita o lo si legge, è impossibile rimanere fermi. Si corre come un treno che accelera, per arrivare alla fine di Ulisse, che è la fine di tutti noi, che è la fine... Quando dice che non voleva restare con Penelope, con suo padre e sua madre, ma voleva conoscere il valore e i vizi umani:
ma misi me per l’alto mare aperto
Non dice “mi misi”, ma dice “misi me”. Sentite la forza. Basta cambiare una lettera! S’immagina come se stesso gigantesco, lo spirito dell’uomo che si prende e si mette: “Devi sta’ qua!” E’ una cosa... sembra proprio l’uomo che diventa Dio e gli dice: “Questo è il tuo cammino, sei la cosa più... sei Dio”. Ecco, in un’immagine...
Sapete che rileggendo - stavo facendo il film “La vita è bella” e ho letto e riletto Primo Levi - Se questo è un uomo, e mi sono meravigliato, che non solo lui, ma anche un grande poeta russo, Mandel’stam, quando era nei campi di lavoro in Siberia, nello stesso momento entrambi, nel luogo più basso dove l’uomo era arrivato, i campi di sterminio - ci sarà una cosa più bassa? - che hanno preso il posto dell’Inferno di Dante nella nostra immaginazione, in quel momento entrambi hanno pensato... Uno ha scritto un saggio critico sull’Ulisse, e Primo Levi cercava di spiegarlo a un cuoco, praticamente a un lavapiatti del campo di sterminio il canto dell’Ulisse. Proprio perché sentivano che loro erano quello, non erano solo quello che vedevano lì.
L’uomo, l’umanità, non è solo quello, ma è anche questo. Come nel cinema. Avete visto nel racconto, quando alla fine si arriva... c’è un giallo, non si capisce cosa è accaduto e improvvisamente parte la dissolvenza e dice: “Quella sera mi trovavo lì”. Si vede il protagonista che si muove e ci fa vedere esattamente quello che è accaduto. E’ una goduria! E così fa Dante. Ma se lo inventa, così come è. Nessuno lo sa, però lui ce lo fa sembrare vero. Perché ciò che è bello diventa vero! La grandezza di Dante è che in cento canti non viene mai meno l’intensità. Non ho mai letto niente, nemmeno Shakespeare - cioè qualche volta, forse nel Macbeth - c’è un’intensità dall’inizio alla fine così potente come c’è Dante. Ma in Dante, in ogni verso, in ogni canto, c’è un’intensità che non viene mai meno. E’ un libro che si volta pagina e si applaude. Ci sono delle pagine che uno da sé solo comincia ad applaudire. Non si capisce.... Io mi son trovato in camera a dire “Bravo!” così, al libro. Poi mi son guardato intorno: “Ecco, ora se veniva sant’Agostino vedeva l’urlata, vero... invece di leggere a bassa voce”. L’influenza dantesca si sente, ma non solo in Europa, si sente negli americani. Moby Dick, se voi pensate a Moby Dick, Melville, che è la centralità della letteratura americana, come fa Melville a non aver letto l’Ulisse? Infatti l’aveva letto Melville nella traduzione del Longfellow che è quella classica americana, che tutti sappiamo che era spettacolare. Un po’ barocca, però strepitosa. E quando in Moby Dick muore il capitano Achab è uguale al finale dell’Ulisse di Dante.
Cinque volte racceso e tante casso
lo lume era di sotto da la luna,
poi che ’ntrati eravam ne l’alto passo,
quando n’apparve una montagna, bruna
per la distanza, e parvemi alta tanto
quanto veduta non avëa alcuna.
Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;
ché de la nova terra un turbo nacque
e percosse del legno il primo canto.
Tre volte il fé girar con tutte l’acque;
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com’altrui piacque,
infin che ’l mar fu sovra noi richiuso'.
 
Senti, senti che bellezza! (il pubblico applaude)
Con Dante è facile piglia’ gli applausi! Non ci si può neanche scherzare perché Dante alla fine prende la mano e diventa tutto lui. Nella figura d’Ulisse ci ha messo quest’immagine meravigliosa dell’uomo che va alla ricerca del valore di cos’è l’umanità. E sfida Dio. Che rivede un po’ se stesso perché Dante sta giudicando proprio tutti i suoi contemporanei, quindi anche lui sta sfidando Dio. E c’è questo lungo monologo di Ulisse in cui Dante si scancella e parte questa sfida. E se me lo ricordo bene, può darsi che io mi fermi, che ci fermiamo un po’, io ve lo recito. Siamo nell’ottava bolgia, appunto, e ci sono tutte le fiamme che vengono su e Dante chiede chi sono. Beh, ora a dirvi tutto il canto ci vuole un’ora, ve lo faccio.
(segue la lettura del canto di Dante)
Roberto Benigni
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