Donboscoland

Intervista a don Pascual Ch√°vez e a Madre Antonia Colombo (QUARTA PARTE)

Quarto appuntamento con le risposte di Madre Antonia Colombo e don Pascual Ch√°vez ai giovani del Confronto 2004. In questo intervento La Madre Generale e il Rettor Maggiore affrontano, sollecitati dai giovani, il tema della fedeltà al carisma salesiano in una situazione caratterizzata da globalizzazione e secolarizzazione, e quello dell'impegno di essere animatori dei propri coetanei.


Intervista a don Pascual Chávez e a Madre Antonia Colombo (QUARTA PARTE)

da Rettor Maggiore

del 01 gennaio 2002

Domanda

Come può la FS rimanere fedele al suo carisma in un mondo multiculturale e secolarizzato? Quale tipo di ricerca e di azioni concrete possiamo incominciare a considerare nelle scuole, nella pastorale giovanile e nel campo sociale? 

Madre Antonia

Questa è una domanda che esigerebbe un Confronto ad hoc, credo. Ma comunque si può tentare di dare qualche pennellata di risposta. Siamo nel mondo in cui il Signore ci ha chiamato a vivere. Il fatto che non viviamo più in una società omogenea ma multiculturale, e cristiana praticante ma secolarizzata, è una grossa sfida ma anche una grossa opportunità. È una chiamata, in sostanza, a confrontarci e a definirci. Viviamo in una società multiculturale, e non mi riferisco solo alle culture di nazionalità diverse, ma alle differenze dentro la medesima nazione con orientamenti diversi e spesso a confronto, con concezioni di vita a volte completamente opposte o distanti le une dalle altre. Ebbene, affermo che è una grande opportunità! Non possiamo più vivere di abitudini; dobbiamo creare qualcosa di nuovo e alternativo, definirci e esprimere la nostra identità e non certo in modo integrista e difensivo, per opporci a qualche ipotetico nemico, ma ponendoci accanto ai nostri compagni di cammino del luogo dove viviamo e lavoriamo portando quello di cui siamo convinti, dialogando fin dove possiamo essere pienamente d’accordo, o rispettandoci vicendevolmente li dove non lo siamo o lo siamo in parte. È anche una grossa opportunità per non vivere più di abitudini ma anche per diventare creativi. Se abbiamo dentro quel fuoco di cui parlavo prima, non lo possiamo spegnere, e sia pure con mezzi semplici abbiamo la possibilità di trovare il modo di esprimere chi siamo. Si tratta di rimanere fedeli al carisma con quella fedeltà che voleva Don Bosco. Una delle sue espressioni che mi piace tanto è questa: “Io faccio un abbozzo, voi poi metterete i colori”. È straordinario il fatto che un fondatore non dica “dovete fare così, così e così”. Certamente ci ha tracciato una linea che è molto chiara, ma da quel grande conoscitore di storia quale era lui, ha capito che i colori dovevano essere cambiati col cambiare della storia e della cultura. Noi allora conosciamo l’abbozzo, ma dobbiamo possedere quella creatività e flessibilità che ci permette di arrivare alle persone di oggi e accostarci al loro mondo secolarizzato e multiculturale. È una grossa responsabilità, ma, come la vivo io, è una grande gioia. Non mi deve preoccupare la novità e varietà degli ambienti e delle ideologie, mi deve invece spingere a situarmici come portatrice vitale di un tesoro che è la fede in Cristo. Quando il discorso non è chiaro, il dialogo e il confronto, così come stiamo facendo adesso, può aiutarci a tenere viva la fiamma che ci porta a captare le espressioni del cambiamento, rapido e difficile, di questi tempi, e starci dentro e rispondere alle sfide che pone. È lo stesso atteggiamento di Don Bosco e di Maria Domenica Mazzarello: gente che con flessibilità ha reso attuale nella storia il dono del carisma ricevuto dallo Spirito, un dono che dà senso alla vita anche in situazioni di dolore. E noi che ci siamo posti sulla loro scia dobbiamo condividere e far fruttificare questo dono. Noi non siamo qui per piangere! Anche Don Bosco ha vissuto in tempi difficili, ma non si è fermato a guardare le difficoltà della Chiesa, si é dato da fare. Noi siamo figli di questo padre che ha avuto una fede così grande da credere che il dono che ha ricevuto non si poteva tenere nascosto, ma doveva renderlo visibile e metterlo a servizio di chi gli stava vicino. E allora, quali azioni concrete ricercare? Credo che questo debba essere inventato sul posto. Per esempio nelle scuole o nelle università. La maggior parte di voi frequenta università o scuole superiori che non hanno un’impostazione chiaramente orientata a valori evangelici. In questi casi è bene essere liberi pensatori, dialogando con i vostri professori, con i vostri compagni, sempre con rispetto e mai, ripeto, in modo aggressivo. Così facendo, uomini e donne di dialogo, diventiamo anche noi elaboratori di cultura. Se invece ci troviamo in scuole già orientate a valori evangelici, allora aprire le porte per vedere i problemi che ci stanno attorno. E non fermarci solo ai problemi del concreto ma anche a quelli culturali, per elaborare insieme delle risposte. Credo che oggi, tanti quanti siamo, MGS, FS, potremmo dare un’impronta culturale per essere interlocutori capaci di dare la loro impronta dentro l’elaborazione culturale. Non possiamo correre il rischio di essere tagliati fuori dai luoghi della produzione della cultura, rimanendo dei semplici consumatori, ma dobbiamo inserirci all’interno di quei movimenti che propongono una cultura fortemente legata alla visione di fede. Restare fuori non possiamo permettercelo. Nonostante avesse da fare tantissime cose con i suoi ragazzi, Don Bosco trovava il tempo per scrivere libri, per fondare riviste, opuscoli, per elaborare cioè cultura. Ecco, io vi invito a porvi concretamente dentro il mondo in cui vivete e a esprimere in un dialogo rispettoso quello che vi fa vivere e in cui credete. Molte volte non siamo là dove sono gli altri giovani che non appartengono ai nostri gruppi, la maggioranza dei giovani. Voi specialmente che avete l’ingresso libero in molti luoghi, potete condividere tutto quello che di bello, di sano, vi aiuta a crescere, quello che porta gioia vera. E potete avere il coraggio del dissenso su ciò che appaga apparentemente ma lascia il vuoto, su quei cammini che spesso non hanno vie di ritorno. Abbiate amore e affetto verso i vostri compagni, e non solo esclusivamente per quelli che vi sono più vicini e simpatici. Le esemplificazioni potrebbero essere tante, ma le riassumerei così: scoprite la sfida di vivere in un mondo secolarizzato che é anche una grossa opportunità per essere se stessi e per condividere umilmente e con riconoscenza i doni che abbiamo ricevuto; create e inventate vie nuove di educazione e di offerta del dono che dà significato alla nostra vita, dopo averlo vivificato e coltivato in noi stessi; offritelo con generosa disponibilità; accogliete le suggestioni che vi vengono dal mondo secolarizzato e riesprimetele con purezza ed essenzialità evangelica; lasciate cadere quelle cose che erano soltanto espressione di un tempo e inventate espressioni che sono comprensibili oggi e che possono dare gioia a tanti altri giovani di oggi.

Don Pascual

In un’Europa sempre più secolarizzata, come già diceva la Madre, dovremmo abituarci e imparare a vivere diversamente, controcorrente. Innanzitutto perché si presenterà come contesto sociale sempre più pluralista, dove non si potrà imporre assolutamente nulla, e meno che meno una religione o una fede. Questo vuol dire imparare a essere umili, imparare a rafforzare la propria identità. È quasi un tornare nuovamente all’epoca delle catacombe, dove l’ambiente culturale non era cristiano. Per poter essere significativi e dare senso a questa cultura, bisogna sapere chi siamo, cosa siamo chiamati a fare. È quello che il Papa chiama il compito di ridare anima a questa Europa. Il vecchio continente non può accontentarsi solo di sviluppo scientifico, di trasformarsi in una grandiosa potenza economica, capace di risolvere tutti i problemi del welfare state, ma deve soprattutto saper rispondere alle dimensioni più profonde della persona umana. Perciò dobbiamo imparare a essere uomini e donne di dialogo, che però hanno convinzioni molto chiare e radicate al servizio sempre di un progetto. Senza convinzioni cadremo vittime della confusione, del relativismo, dell’etica del fai da te. Don Bosco, lo diceva già la Madre, è nato e ha lavorato in un contesto anti-ecclesiale. Ha imparato sulla sua pelle che la propria vita e la propria missione poteva essere perfettamente portata avanti in un contesto qualsiasi. I salesiani sono presenti in 128 paesi del mondo, le Figlie di Maria Ausiliatrice in 90, e lavorano in contesti molto religiosi, ma non cattolici, come l’India e gran parte dell’Asia, in ambienti totalmente comunisti o atei come sistemi e come cultura, e vi siamo presenti. Questo vuol dire allora che il contesto non è un elemento condizionante, ci porterebbe ad avere convinzioni più forti, a essere meno battezzati ma più evangelizzati. Siamo stati battezzati, ma non sempre evangelizzati. Ci battezza la famiglia e spesso è solo un rito sociale. Perciò quando si dice quale tipo di ricerca e di azione bisogna attuare per essere significativi, io  suggerisco sempre di rafforzare la  nostra identità. In un mondo pluralista ci vuole una solida identità. In secondo luogo, ci vuole un’educazione alla fede ancora più profonda, che ci permetta di entrare in dialogo con i non credenti e con i credenti di altre religioni, senza perdere le proprie convinzioni di fronte a quelle apparentemente più grandi e affermate, convinti che abbiamo tanto da offrire a questa Europa. Senz’altro sapete che non è la prima volta che l’uomo pretende di organizzare la vita senza Dio, ma quando l’ha voluto fare sono avvenuti grandi disastri. L’Europa, più di ogni altro continente, ha conosciuto vari di questi tentativi. Basta pensare a quelli che tra voi hanno vissuto in Paesi di regime comunista fino al 1989. È vero: l’uomo potrebbe organizzare il mondo senza Dio, ma sarà sempre contro la persona umana. Ancora oggi abbiamo tanto da offrire. Basti pensare ai primi cristiani di Roma. Una manciata di uomini e di donne che avevano vissuto un’esperienza religiosa forte, che aveva trasformato la loro vita, si sono uniti in comunità facendo nascere la Chiesa. Possiamo pensare alle cose più grandi per trasformare il mondo, ma rischieremo sicuramente l’insuccesso se tagliamo il collegamento con le radici che sono l’esperienza della Chiesa primitiva. Tre cose hanno fatto sì che quella esperienza facesse nascere la Chiesa universale, tre cose che sono valide ancora per l’oggi: la forte esperienza di Dio che è capace di capovolgere la propria vita, la comunità dove si radunano coloro che hanno avuto questa esperienza di Dio, un ordine di valori alternativo che funge da lievito che trasforma. Non credo ci siano altre soluzioni. E come la Madre, anch’io sono contento del tempo che stiamo vivendo: è il migliore ed è quello che Dio ci offre da vivere. È un’opportunità per la Chiesa, per la FS, per il MGS.

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