La vita spezzata di suor Lucrezia e di Francesco non scalfiscono, ma in qualche modo esaltano ancora di più, nella prospettiva della fede cristiana, la bellezza del loro dono a servizio del Vangelo e dei poveri. Perché la Chiesa italiana continua a essere presente in situazioni così pericolose?
del 01 dicembre 2011 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) {return;} js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 
 
Burundi: assaltato convento, ucciso cooperante italiano
          Uomini armati hanno attaccato, probabilmente a scopo di rapina, una missione religiosa a Ngozi, in Burundi, uccidendo un cooperante italiano e una suora croata. Nell'attacco è rimasta ferita anche una religiosa italiana, Carla Brianza, originaria della provincia di Brescia, operata nella notte, le cui condizioni non sono gravi. Dopo poche ore la polizia del Burundi ha arrestato due giovani uomini di 20 e 24 anni, ritenuti colpevoli del doppio assassinio. Lo ha reso noto il portavoce della polizia, il maggiore Pierre Chanel Ntarabaganyi.
          'Due uomini armati sono entrati nella casa delle Ancelle della Carità, la congregazione delle due suore, con lo scopo di mettere a segno una rapina - ha detto alla Misma padre Michele Tognazzi, missionario fidei donum, raggiunto telefonicamente a Kiremba - hanno subito ucciso la suora croata, quindi si sono impossessati dell'auto e sono fuggiti trascinando a bordo suor Carla e Francesco'. A circa otto chilometri dall'ospedale, un complesso all'interno del quale si trova la casa delle Ancelle della carità, i malviventi, temendo di essere catturati dalla polizia che li stava inseguendo, hanno fermato l'auto e fatto scendere i due ostaggi.          'Francesco è stato ucciso a bruciapelo - prosegue padre Michele - suor Carla è riuscita invece ad afferrare con le mani la canna del fucile che gli era stato puntato contro. Un gesto che ha recuperato secondi preziosi e ha contribuito a salvarle la vita, perché a quel punto l'aggressore per liberarsi dalla presa ha usato un coltello colpendole le mani e allontanandosi quindi insieme al complice'. Le vittime lavoravano all'ospedale di Kiremba che è finanziato dalla diocesi di Brescia. Bazzani si occupava in particolare del settore amministrativo. I malviventi, dicono alla Misma, sono riusciti a fuggire.          Il ministro degli Esteri Giulio Terzi ha immediatamente contattato l'ambasciatore a Kampala, competente per il Burundi, Stefano Dejak, per acquisire dirette informazioni. Dejak e il console onorario a Bujumbura, Guido Ghirini, in costante raccordo con l'Unità di Crisi della Farnesina, si sono attivati subito per prestare la necessaria assistenza medica alla suora ferita. Francesco Bazzani, 59 anni, era originario di Cerea, un grosso comune del veronese. In Burundi era arrivato nel gennaio del 2010, come volontario dell'associazione per la cooperazione missionaria (Ascom), con sede a Legnago. Lo ha riferito all'Ansa l'ex moglie del cooperante, Claudia Persegati, di Cerea, dalla quale si era separato 4 anni fa. La donna ha anche aggiunto che l'ex marito aveva trasferito la residenza nel Paese africano, divenendo cittadino del Burundi.            La suora croata uccisa è Lukrecija Mamic, di 63 anni. Nata in Bosnia, apparteneva all'ordine delle Ancelle della Carità. Ha prima servito in Croazia in vari monasteri, per recarsi nel 1984 nella sua prima missione all'estero, in Ecuador. In Burundi, nella missione a Kirembe, si trovava dal 2002 dove si era dedicata al servizio dei poveri e ai malati di Aids.Monsignor Luciano Monari, vescovo di Brescia
          Per il vescovo di Brescia: 'Ciò che è accaduto a Kiremba riempie la Chiesa bresciana di tristezza. La vita spezzata di suor Lucrezia e di Francesco non scalfiscono, ma in qualche modo esaltano ancora di più, nella prospettiva della fede cristiana, la bellezza del loro dono a servizio del Vangelo e dei poveri che, sino alla fine, hanno amato con generosità e dedizione. Siamo vicini nella preghiera alle loro famiglie, a suor Carla e quanti hanno operato con loro nella diocesi di Ngozi. I solidi e profondi legami costruiti in oltre 40 anni di presenza in Burundi ci fanno sentire ancor più fratelli di questo popolo che ci è caro e della sua giovane Chiesa che ha voluto oggi esprimere con grande partecipazione la vicinanza a don Michele, alle suore Ancelle, ai volontari dell'Ascom e a tutto il personale dell'ospedale. È un segno di grande consolazione che ci dona serenità, pur nel dolore di questo momento.          Kiremba è per i bresciani il segno di una comunità cristiana animata dalla passione missionaria e aperta al mondo. Brescia lo ha espresso col dono di tanti sacerdoti, consacrati e laici e con l'impegno di tanti gruppi e associazioni che si dedicano al loro sostegno. Mentre affidiamo al Signore l'anima di questi nostri fratelli defunti facciamo memoria del bene compiuto e rinnoviamo ancora una volta la volontà di proseguire in questo impegno'.
 
Una bell’Italia che fa e testimonia Vite e gesti in prima linea           Si potrebbe liquidare l’episodio dicendo che il massacro perpetrato ieri nella missione di Kiremba, in Burundi, è stato un tentativo di rapina mal riuscito. Ma rimane il fatto che la Chiesa di missione, vivendo in situazioni estreme di miseria e instabilità politica, ogni giorno fa i conti con una criminalità e un’insicurezza che rende fatti del genere pane quotidiano, anche se il più delle volte non ne abbiamo notizia. E spesso la criminalità si confonde con la guerriglia anti-governativa.          Quanto è accaduto a Kiremba richiama i due genocidi del 1972-1973 e 1994-1995 in Ruanda e Burundi, con centinaia di migliaia di morti (in Ruanda vennero uccisi 4 vescovi su 9 e 92 preti su 140), senza che l’Occidente e l’Onu, dopo il fallimento in Somalia, intervenissero. La riconciliazione c’è stata, ma ancora oggi l’ordine pubblico non è assicurato. Eloquente il dispaccio diramato lo scorso 28 ottobre dal Ministero degli Esteri italiano: «Si sconsigliano viaggi a qualsiasi titolo in Burundi. Si continuano a registrare episodi, anche gravi, di attacchi ad opera di ignoti ai danni della popolazione locale nella regione di Bujumbura e nella zona a Nord Ovest della capitale al confine con la Repubblica Democratica del Congo (Rukoko), con voci circa la formazione di nuove bande ribelli. A un anno dalle elezioni, boicottate dai principali partiti d’opposizione, la situazione politica resta molto fluida. Si segnala inoltre che, per motivi di sicurezza, le rappresentanze diplomatico-consolari del Burundi presenti in Italia subordinano l’emissione del visto di ingresso alla presentazione di una lettera di invito».          Perché la Chiesa italiana continua a essere presente in situazioni così pericolose? Quando venne assassinato in Turchia don Andrea Santoro, fidei donum della diocesi di Roma, l’editorialista di un grande quotidiano italiano scriveva: «Ma perché questo bravo prete va a vivere in un Paese dove non vogliono i preti cattolici? Perché non se ne sta nella sua città, dove avrebbe tanto lavoro per la sua opera spirituale e umanitaria?». Il sangue versato a Kiremba ricorda a tutti la realtà profonda della «missione alle genti», che le Chiese cristiane continuano a promuovere per testimoniare a tutti gli uomini il Vangelo di Gesù, l’unico autentico rivoluzionario della storia che cambia dall’interno il cuore dell’uomo e porta la pace nella giustizia e nella verità.          Nel novembre 1995, quando sono stato l’ultima volta in Burundi, avevano appena ucciso due missionari saveriani, i padri Ottorino Maule e Aldo Marchiol, insieme alla volontaria Caterina Gubert, a Buyengero, 110 chilometri a sud della capitale Bujumbura. Nella sala da pranzo dei missionari a Bujumbura, un cartello richiamava il motto del santo fondatore, monsignor Guido Maria Conforti: «I tempi sono tristi, ma non si è chiuso il tempo dei prodigi. I prodigi più belli sono quelli che opera la Grazia nel regno dei cuori».          Nel silenzio assordante dei media, si consumano quotidianamente doni di sé generosi sino al sacrificio che, spesso, non hanno nemmeno l’onore delle cronache, ma fanno parte di una normalità in cui la Chiesa è sempre in prima fila. Soltanto una grande fede e l’amore autentico al destino del popolo in mezzo al quale vanno a vivere può sostenere l’esistenza dei missionari, delle suore e di tanti volontari laici italiani in Paesi dove il pericolo di un massacro è all’ordine del giorno. Ci sono seimila missionari italiani in Africa e circa settemila negli altri continenti che, con la loro opera silenziosa e la loro testimonianza, ci mandano un messaggio radicale e scomodo: anche nel nostro Paese, se vogliamo uscire dalla crisi esistenziale nella quale ci autodistruggiamo, dobbiamo ritornare a Cristo.Piero Gheddo
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