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IV. Io sono la vite, voi i tralci.

Io sono la radice, il ceppo, il ramo, inapparente, tarpato e contorto, mezzo coperto dal terreno, sotto neve e scisto, ma voi siete i miei fiori, voi i miei frutti. Nelle lunghe notti invernali raccolgo le mie energie, dal secco pietrisco della magra terra succhio, goccia su goccia, la disgustosa acqua, ma sotto le tempeste dell'anno...


IV. Io sono la vite, voi i tralci.

da L'autore

del 01 gennaio 2002

Io sono la radice, il ceppo, il ramo, inapparente, tarpato e contorto, mezzo coperto dal terreno, sotto neve e scisto, ma voi siete i miei fiori, voi i miei frutti. Nelle lunghe notti invernali raccolgo le mie energie, dal secco pietrisco della magra terra succhio, goccia su goccia, la disgustosa acqua, ma sotto le tempeste dell’anno e gli uragani del sole spingo fuori un ramo dopo l’altro, sudo il mio sangue prezioso, il mio vino d’oro. Questo sangue, questo vino: siete voi. lo sono la vite, voi siete il vino che ho pianto. Come viticci dapprima, spuntate succosi e pieghevoli come serpenti; avidi di vita, di libertà, vi staccate dal grigio ceppo scorzuto, avidamente vi impadronite della vostra esistenza, vi riempite di voglia di vivere sotto il sole. Lunghe braccia prensili stendete per afferrare, per legare, per incatenare a voi ogni cosa viva che si muove. Questo chiamate conoscenza e amore. I viticci ritorti lottano per impadronirsi dello spazio in alto, incontro alla luce e alle stelle, allungandosi avidi verso Dio, ma ciò che prendono tra le dita contorte è aria e nulla.

Io sono la vite, e anche l’avido istinto ho creato, perché l’estate succede alla primavera, e la saggezza matura dalla delusione. Ma mio Padre è il vignaiolo ed egli taglia ogni tralcio che mi cresce sul tronco quando non porta frutto.

L’aspro desiderio dei viticci cade al suolo sotto il coltello affilato; me ne sto di nuovo nudo, e la maggior parte di voi inaridisce destinata al fuoco. Bruciante passa il ferro attraverso le vostre passioni per il mondo e per Dio; colpite alla radice si afflosciano tremando, e ciò che sembra ancora un costume vitale è fiamma di morte che consuma abbruciacchiato membro su membro. Lasciate che il fuoco arda nelle vostre membra, perché voi ardete in me e per me. A me è stato assegnato ogni giudizio e nessuno viene a me se non attraverso il fuoco. E nessun ingordo entrerà nel regno dei cieli.

Anche foglie crescono dal ceppo, con i loro umori e splendori, e la linfa le nutre e fa crescere fino alla grandezza loro assegnata, si dilatano nell’estate avanzata, oscure e tenaci; con esse l’albero respira. Bellamente conformate, con spigoli fini ed esatti le foglie espandono la loro natura, simili tra loro ma nessuna eguale all’altra. Volgendosi verso il sole bevono la luce e fanno affluire al tronco il calore che lo avviva. Tutte si protendono verso la luce chiara, e anche se molta ombra ne deriva, si stendono in modo che ciascuna riceve il suo sorso di luce. Il tronco ha certo bisogno anche del lavoro delle foglie, e nella lunga estate sembrano esse il suo frutto. Molti sono gli esseri che sono nel mondo e la vostra natura è percorsa da un beato distendersi e fluire. E senza natura nessun frutto potrebbe arrivare nei fienili celesti. Ma ecco, il sole di Dio è duro, come una stufa di fuoco arde l’estate, già da settimane non è più piovuto. Il tronco non riceve più nessuna umidità per il suo verde. Un brivido allora attraversa le foglie: sanno di essere destinate al sacrificio. Questa volta non saranno necessari coltelli, la stessa saggia natura insinua un piccolo impercettibile strato tra il ramo e il suo sostegno. Così ha inizio il pigro autunno con una infreddata, poi con una gelata, e come l’immagine trasfigurata di un amore perduto, come l’idea di un’estate trascorsa c’è ormai sulle foglie il gioco del rosso e del giallo: ricordanza - intimo gioco di ciò che non è - occhio della vita rivolto all’indietro.

Lascia che il vento soffi, foglia, e non restare attaccata al tuo ramo. Tu sei solo la veste, non il corpo. E ogni mietitura è una festa della morte. Guarda, io stessa, la vita, mi scarico del peso superfluo. Ora lascia venire avanti la tua essenza e pensa al frutto.

Ho pure io la mia fioritura; non vistosa, non paragonabile ai grandi fiori della terra. Nascoste sotto le foglie si trovano tuttavia le api e i calabroni, nel loro silenzioso rifugio aspettano la loro ora. E mentre tutt’intorno ingiallisce il prato falciato, si gonfiano e colmano i grappoli. Essi sono a lungo acerbi e resistenti; abbiate pazienza, o miei grappoli, sono io che vi porto a maturazione. Al principio sembravate essere niente, come una ruvida pelle pendente senza luce nell’ombra delle foglie, come un gregge timido. Non credevate ancora a me; vi preoccupavate di come nutrirvi della scarsa pioggia, del sole tolto via. E non sapevate che ogni forza cresce da dentro, viene da me. Senza di me non potete far nulla. lo non dico: poco; dico: nulla. Ma chi rimane in me, ed io in lui, porta molto frutto.

Io stesso porto frutto in lui, ed è lui il frutto. In questo modo il Padre mio viene glorificato, con il molto frutto che portate.

Perché urgete e premete per uscir fuori nell’azione? lo sono la vite, sono io quello che agisce e produce. La vostra azione che cos’è se non la vostra maturazione? Lasciate che le mie linfe salgano a voi, in modo da pendere poi gravide e dorate: allora si realizzerà il confuso sogno mirato all’azione dei germogli primaverili, la superba ebbrezza dell’estate, l’opera intera della terra maturerà nei vostri turgidi frutti. Voi potete contenere in voi il significato della terra, ma per mezzo di me. E quando un giorno sotto la volta del cielo berrete questo vino al pranzo di nozze dell’Agnello, tutto il mondo sarà in lui contenuto: come spirito. Allora si potrà sapere da quale discarica e in quale anno di salute quel vino è cresciuto, e si potrà gustare il sapore di tutto il paesaggio da cui deriva, e neanche un briciolo di felicità andrà per voi perduta. Ma tutto è invisibilmente rivolto in lui verso l’interno, e i confini divisori degli esseri sono disciolti nel flutto unificante, e ogni gorgoglio ribollente è defluito, e ogni torbido è risorto luminoso.

lo sono la risurrezione e la vita. Ma non come la conosce il mondo, il circolo degradante delle primavere e degli autunni, quella macina di malinconia, quella scimmiottatura di vita eterna. Ogni vivere e morire del mondo è tutt’insieme una grande morte, e questa morte io la desto alla vita. Da quando attinsi il mondo, una nuova ignota linfa ha iniziato a circolare nelle arterie e nelle ramificazioni della natura; le potenze del destino, le energie dei pianeti, i dèmoni del sangue, i reggitori dell’aria e lo spirito della terra e quel che di oscuro ancora si cela nelle vacue pieghe della creazione: tutto ciò viene legato ed eliminato e deve obbedire a una legge superiore. Ogni forma del mondo è per me unicamente della materia da animare. E non innestato da fuori sulla vita antica, nell’antica foresta di Pan, ma da dentro io muto e trasformo il midollo, come vita della vita.

Tutto ciò che piega verso la morte cade in grembo alla mia vita; tutto ciò che si avvia verso l’autunno finisce sulla spiaggia della mia primavera; tutto ciò che marcisce con cima i miei fiori. Tutto ciò che è falso e dice menzogna è già convinto della verità; tutto ciò che è avido è già espropriato; tutto ciò che striscia è già frantumato.

Non sono uno dei risorti; sono la risurrezione. Chi vive in me, chi è in me compreso, è preso da me nel risorgere. lo sono la metamorfosi. Come cambiano pane e vino così cambia il mondo in me. Minuscolo è il grano di senape, ma la sua forza intima non riposa fino a quando non getterà la sua ombra sopra tutti i vegetali del mondo. Così la mia risurrezione non riposerà finché non sia spezzata la tomba dell’ultima anima, e le mie forze non siano pervenute sull’ultimo ramo della creazione. Voi vedete la morte, sentite la discesa verso la fine; ma la morte stessa è una vita, forse la vita più viva di tutte, è la profondità della mia vita che si abbuia, e la fine è essa stessa il principio, e la discesa è essa stessa lo slancio dell’ascesa.

Che significa ancora morte dopo che io sono morto la mia morte? Non ha d’ora in poi ogni morte il senso e il sigillo della mia? li suo significato non è quello di braccia che si allargano e di un’offerta perfetta nell’abbraccio di mio Padre? Nella morte cadono le barriere, nella morte salta la serratura da sempre proibita, si spacca la diga, le acque escono libere. Tutte le paure che l’avvolgono sono nebbia mattutina che si squarcia e lascia libero l’azzurro. Anche il lento morire delle anime, quando si chiudono aspre davanti a Dio,. e alzano difese e muraglie, quando il mondo si innalza tutt’attorno a se stesso, e l’amore diventa come tanfo di muffa e la speranza marcisce e una metallica sfida s’inalbera e lingueggia viperina dall’abisso: non ho sofferto io tutte queste morti, e cosa può il loro veleno contro il controveleno mortale del mio amore? Ogni orrore è diventato per lui un rivestimento dentro cui avvolgersi, una parete da lui attraversata.

Non abbiate paura della morte. La morte è la fiamma liberatrice del sacrificio, e sacrificio è trasformazione. Che a sua volta è comunione di vita eterna. lo sono la vita. Chi crede in me, chi mi mangia e beve, ha in sé la vita, la vita eterna, già qui e già ora, e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Comprendete questo mistero? Voi vivete, agite, soffrite, ma non siete voi: un altro vive, agisce e soffre in voi. li frutto che matura siete voi, ma chi effettua la maturazione, ciò che veramente matura, sono io. lo sono la forza, la pienezza, che sprizza nel vostro vuoto e lo invade, ma, riempiendo, la pienezza si riempie nel vuoto, e quindi voi pure siete la mia pienezza. Voi avete bisogno di me, perché non potete far nulla senza di me, ed io ho bisogno di voi (anche se non mi occorre nessuna creatura) per rivelare versandola la mia pienezza. Così io vivo in voi, e voi vivete in me. lo sono il seme, che cade e muore nel vostro solco, e quando risorgo dalla vostra terra, è il vostro seme quello che là sorge. E di nuovo voi siete il grano di frumento che cade nel solco di Dio e che nel battesimo e nella crocifissione muore, e quando voi risorgete siete la mia messe. Due vite si rendono visibili, e tuttavia soltanto una. Giacché nella spiga non si può distinguere ciò che deriva dal campo e ciò che la forza della pianta ha prodotto. La materia con cui si fa è pur sempre la stessa, ma è ricomposta in modo nuovo nelle combinazioni della vita organica e fin nell’osso dell’essere quella materia è diventata più nobile. Così voi vivete certo, ma non più voi, bensì io vivo in voi. Perciò voi siete mia proprietà, il mio frutto, il mio tralcio. Ma anch’io sono vostra proprietà, perché io mi sono dato a voi prigioniero, e voi disponete di me come della vostra essenza più intima. Non appartenete più a voi, siete diventati tempio di Dio; ma neanch’io appartengo più a me, sono diventato cava del tempio dell’umanità.

Io sono la vite, voi i tralci. Siete fioriti uscendo da me: vi meravigliate se una goccia del sangue del mio cuore s’infiltra in tutto il vostro pensare e fare? Vi meravigliate se piano piano i pensieri del mio cuore si insinuano nel vostro cuore terreno? Se in voi sussurra un bisbiglio, e giorno e notte avvertite un brusio, un’aspirazione? All’amore che vuole soffrire; all’amore che, insieme con quello mio, redime? Vi meravigliate del fatto che vi venga voglia di rischiare le vostre energie e la vostra vita, e di giocarle per i vostri fratelli? E di compiere ciò che manca alla mia passione, che ancora deve mancare, fino a quando non ho patito la mia passione in tutte le mie membra e rami? Giacché è chiaro che nessuno di voi viene redento se non per mezzo di me, ma io sono l’intero redentore solo unito con ognuno di voi. Volete realizzare con me la grande trasformazione e il regno del Padre? Volete provare i miei sentimenti, quelli di colui che non se ne stette avidamente aggrappato alla sua forma divina ma l’ha spezzata e svuotata e ha cominciato a scorrere nei bassifondi del coraggio che si fa schiavo, è diventato obbediente fino alla morte di croce? Lo volete? Giacché in voi la mia opera deve adempiersi e si adempie soltanto se il mio cuore batte nel vostro, e tutti i cuori, sottoposti e disposti, battono insieme nel mio cuore in direzione del Padre. Lo volete? Ma voi non volete proprio nulla. Vi rifiutate ancora. Mi piantate ancora in asso. Ancora pensate: è Lui il Salvatore, non noi! È vero, io lo sono, ed io sanguinerò ed espierò fino a che comprenderete. E mentre voi vi inalberate, siete, proprio dentro questa vostra difesa, caduti in mia balìa, la vostra solitudine piangerà cercandomi e la vostra difesa sgualcita mi confesserà.

Non muoio io forse per causa vostra, o miei tralci? Non sono diventato debole per fare forti voi? Non ho patito per lungo tempo la vuota solitudine in cui voi vi trincerate? E se voi vi riducete a grigia cenere, bruciando inutilmente, e in tal caso non c’è più nulla da fare, io non vincerò? Non ho già vinto? La spada che voi spingete nel mio costato non è la stessa che esce dalla mia bocca e penetra dividendo, come fuoco vivo, tra anima e spirito, le ossa e il midollo? Non sono io il magnete che attira tutto a sé, perfino i chiodi dallo scafo affinché le navi sprofondino in me? Già da troppo tempo la mia grazia scorre nei vostri vasi vuoti, e sempre ancora li lasciate vuoti in voi, sottraete il vostro grembo alla mia semente, e sempre ancora, mia sposa Gerusalemme, tu ti vesti e ti comporti da prostituta. Ma ecco che la debolezza con cui tu mi indebolisci non riesce più a frenarmi. Quando io sono debole, allora sono forte. Lasciati indebolire dalla mia debolezza, o tu mia sposa, affinché cresca in te il frutto del tuo grembo, il figlio del nostro amore. Per quanto tempo ancora vorrai che io mi sostituisca al tuo rifiuto, vorrai trasferire in me il peso che, portato insieme, sarebbe la delizia del regno dei cieli? Quale è il ramo che rigetta la linfa la quale, faticosamente raccolta nelle radici, fatta salire per lunghe vene, finalmente gli si offre? O devo io forse essere come l’albero della gomma che scorticato spreme il sudore del suo sangue dentro le ciotole appese al tronco? Per quanto tempo ancora tieni separata la mia solitudine dalla tua, invece che lasciarle entrambe confondersi nell’unità di un unico amore? Una solitudine che ama è feconda; una che si sottrae impedisce il frutto, anche se soffre.

Non scandalizzatevi, voi tralci, alla vista della deformità del vostro ceppo e tronco. Non disprezzate la debolezza che vi rafforza.

Poiché in me opera la morte, in voi la vita. Voi siete sazi, siete diventati già ricchi, siete arrivati a dominare senza di me! Fosse solo un dominio vero, potrei signoreggiare in voi! Ma mentre voi siete forti, io sono ancora debole; mentre vi pavoneggiate, io sono disprezzato; io soffro pur sempre la fame e la sete, la nudità e i flagelli, sono l’esiliato angariato dal lavoro, il maledetto che benedice, il perseguitato che sopporta in pazienza, il consolatore diffamato, la spazzatura del mondo, sono oggi ancora come sempre l’acqua di lavaggio in cui voi tutti vi lavate. E come disprezzate me, disprezzate anche i miei discepoli e inviati, perché anche in loro opera la stessa legge dell’impotenza, e poiché ogni vita ha principio nell’impotenza e perfino nella vergogna, ho assegnato loro il posto ultimo, come malfattori che vengono condannati a morte. Ma come io, crocifisso nella debolezza, vivo nella forza di Dio, così anche loro si dimostreranno vivi in me per la forza di Dio di fronte a voi. Giacché ecco, in essi ha cominciato a circolare la mia vita e a maturarli come i primi dei miei frutti. Come il cespo di fragole stende propaggini lunghe e dall’altro capo si formano radici e in breve una nuova pianta, così anch’io ho moltiplicato il mio centro fecondo e ho formato altri nuovi centri fecondi nei cuori lontani. I miei figli diventano padri e dal sangue dei loro cuori nuove comunità fioriscono. Perché la mia grazia è sempre feconda, e il mio dono è la grazia di donare a sua volta. Nella generosità che dona e si spreca sta il mio tesoro, e mi possiede solo colui che mi distribuisce. lo sono appunto la Parola, e come si può possedere la Parola se non parlandola?

Io sono il capo, voi le membra. Ciò che penso e sento io, lo dovete rappresentare e fare anche voi. Per mezzo di voi, che siete le mie mani e piedi, voglio attraversare il mondo, voglio trasformarlo. il piano sta invisibile nel cervello, ma il corpo gli fa acquistare forma di fase in fase. Quando io, uomo fra tanti altri, camminavo attraverso i campi di Giudea, chi sapeva allora che cosa ero? Quell’uomo era solo il germe di me stesso, non ancora nato. Poiché solo la croce furono i miei dolori del parto, e risorgendo, io luce del mondo, venni alla luce. Diventato invisibile nella mia Ascensione, entrai nel mondo come anima e spirito, e crescendo di giovinezza e di saggezza nelle anime e negli spiriti cominciai a mostrare la mia pienezza. Ed io procurerò a voi, secondo la ricchezza della mia gloria, di diventare grandi e forti mediante il mio Spirito secondo l’uomo interiore, così che io abiti mediante la fede nei vostri cuori e voi, radicati e fondati nell’amore, insieme con tutti i santi possiate misurare la mia larghezza e longitudine, la mia altezza e profondità, capaci di vedere il mio amore che supera ogni conoscenza, affinché alla fine la pienezza di Dio totalmente vi riempia. Così il mio corpo raggiungerà la sua pienezza nel vicendevole servizio dei suoi membri, finché noi tutti insieme cresciamo fino a completa molteplicità, fino alla forma matura del mio corpo virile.

Ed ora, prima che parta da voi come un singolo uomo che se ne va laddove non potete seguirmi (nell’interno della vostra anima), prima che risorga in voi con la mia voce dalle mille pieghe, che sarà la vostra voce, la voce del coro della chiesa, voglio per un’ultima volta come questo singolo uomo alzare la mia singola voce, e prego il Padre dicendo:

Padre, l’ora è venuta, glorifica il Figlio tuo affinché il Figlio tuo ti glorifichi! Lasciami dissanguare nelle mie vene fino in fondo alla morte; permetti al mio cuore di dilatarsi in un morire supervivente a misura del mondo; permettimi di rappresentare nei segni di un dolore terreno che cosa è la gloria del nostro amore, che tu mi hai donato anteriormente al tempo del mondo, al principio, dal tempo della nascita del mio essere da te; non respingere questa preghiera, di poterti rivelare nei terrori del’inferno fino alla forma del peccato, affinché anche tu sia glorificato da me in questi miei membri e rami, poiché d’ora in poi noi formiamo - essi ed io - una unità indistinguibile. Prima, Padre, eravamo noi due una cosa sola, ed essi stavano di fronte a noi come nemici, e ci consultammo da lontano in che modo si potrebbe venir loro in aiuto. Oggi io sto in mezzo ai nostri nemici, già diventati traditori contro la tua giustizia, e se tu vuoi colpirli, colpisci prima me. lo li copro come la gallina copre i suoi pulcini. Mi metto alloro posto. Mi sacrifico per essi, afferro il raggio del fulmine concepito per essi e che tu già prepari nel tuo silenzio gravido di tempesta. il fuoco con cui mi uccidi lo rubo io dal tuo Olimpo per forgiare con esso il gioiello della chiesa. La freccia della tua giustizia io la lavoro trasformandola nello scettro della tua misericordia. Poiché, Padre mio, che cos’è la tua giustizia se non il tuo amore per me, e che cos’è lo sguardo irato del tuo occhio se non la più gloriosa rivelazione del tuo amore per me? Non io sono l’amante, tu lo sei, e tutto ciò che è mio è tuo! E perciò guarda: anche i tuoi nemici qui, miei amici, sono tuoi. Ed io non mi pongo come un baluardo difensivo davanti ad essi, per proteggerli dalla tua ira, ma li prendo sulla mia mano, come il celebrante la sua patena, e la alzo verso di te: tuoi essi sono perché miei, e tutto ciò che è mio è tuo; tuoi essi sono, li hai affidati a me, ed hanno custodito la tua parola. Giacché le parole che tu mi hai dato le ho date loro, ed essi le hanno accolte. Ed hanno creduto e compreso che io sono uscito da te, perché la mia Parola è in essi, io stesso sono in essi, una cosa sola con essi, come tu, Padre, ed io siamo un unico Uno. E se io ora mi do e mi sacrifico per essi, a chi dovrei affidarli se non a te, Padre, come mia preziosa eredità e il frutto del dolore della mia incarnazione e le uve sulla mia vite? Per chi li ho maturati se non per te, se non perché un giorno, quando avrò vinto la morte e l’inferno, tu li collochi nel perfetto recipiente del regno sopra la tavola della tua eternità? Tuoi essi sono, custodiscili dal male. E poiché essi ora sono una parte di me stesso, e il mio destino non è stato ad essi estraneo, e poiché io mi consacro e sacrifico per il mondo nel mistero dell’amore vicario (stellvertretende Sübhne), perciò io dico anche questo: Consacrali per la verità! Come tu mi hai mandato nel mondo, ho anch’io mandato loro nel mondo. Consacra anche loro nella missione, affinché come raggi della luce, naufragando luminosi nell’oscurità, e perendo, illuminino l’oscurità; affinché, prendendo parte alla missione che ho da te, escano da me e nel loro camminare, irradiare e scorrere vengano a sapere della loro unità con me, della mia unità con te; affinché capiscano e provino che cosa è il nostro amore, che non si difende ma rischia la separazione fin nel gioco dell’estremo abbandono, perché tu, Padre, ora mi lascerai andare; e prima che io non sappia più nulla nella notte che tra poco mi sorprenderà, voglio dirtelo per l’ultima volta: in questa notte io riconosco il tuo supremo amore e non mi auguro altro (che la tua volontà sia fatta), e nella libertà con cui tu ora mi rigetti io adoro il tuo diritto divino e bacio le dita che mi scacciano - affinché anch’essi nella notte dello spirito con la fede e senza sentimento conoscano lo Spirito che spira tra noi; affinché siano una cosa sola come noi siamo uniti - e null’altro; affinché io sia in essi, come tu sei in me - e null’altro. Solo nella tua croce c’è la salvezza, e nell’abbandono da te c’è il conforto, e dal fianco aperto del cuore straziato fluiscono le grazie.

Così fiorisco davanti a te, Padre, e porto per te i tralci del mondo. La vita che circola nei miei rami la conosci: è la tua propria vita con me. Ciò che precipita verticalmente dalla tua sorgente in me io l’ho diffuso orizzontalmente su tutta l’ampiezza della terra. E ciò che orizzontalmente, lassù nella circolazione dell’eternità, distribuito tra noi, era la nostra vita eterna, io l’ho fatto discendere verticalmente fin nelle profondità della terra. Perciò io, come il Mediatore, ho forma di croce; la croce è dentro di me, io la porterò, perché in forza del tuo compito sono quello che sono. lo sono la croce, e chi è in me non può sfuggire alla croce. L’amore stesso ha forma di croce, perché tutte le strade s’incrociano tra di loro in essa. Perciò, tu, Padre, all’uomo che allarga le braccia nell’amore, gli hai dato la forma della croce, affinché il mondo sia giudicato (in ordine a te) e salvato nel segno del Figlio dell’uomo.

Hans Urs Von Balthasar

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