Foglie verdi è una rubrica giovanile a cura dei ragazzi della Comunità Proposta che parla di vita e speranza. A partire dalla realtà quotidiana vogliamo cogliere la voce di Dio che ci parla attraverso gli eventi più semplici.
Quanto ci impieghi a percorrere 1 km a piedi? Circa 20 minuti... e se dovessi farne quasi 7.000?
Vorrei condividere con voi un incontro improbabile, una storia inaspettata in cui mi sono imbattuto circa un paio di mesi fa. Prima di narrarvi il viaggio di Gigi, vi chiedo di cercare su Google Maps il tragitto che va da Karachi, in Pakistan, a Padova, impostando il percorso a piedi; con molta probabilità risulterà un tragitto di 6.558 chilometri, che è realisticamente molto vicino al viaggio che Gigi, almeno così si fa chiamare dagli amici, ha fatto per arrivare in Italia.
Era un mercoledì sera quando mi trovavo alla stazione di Padova con l’intento di tornare a casa. Mentre stavo facendo il biglietto, si avvicinò a me un signore chiedendomi se avessi potuto aiutarlo a fare un biglietto per Venezia. Lo guardai in faccia e notai che aveva una cicatrice ben visibile sul volto. Ad essere sincero, a quell’ora tarda pensai che aiutandolo alla fine mi avrebbe chiesto di pagargli il biglietto. Ma, a mia sorpresa, si pagò il biglietto da solo e poco dopo scoprimmo insieme che il treno che dovevo prendere io e il treno che doveva prendere lui era lo stesso. Una volta giunti al binario, non ci restava altro che aspettare.
Proprio questa attesa è stata la parte incredibile di questa storia, perché cominciammo a parlare e condividere la nostra quotidianità, i nostri hobbies e le passioni. Proprio partendo dal presente e andando sempre più a ritroso, Gigi mi raccontò pian piano la sua storia. Era ormai il secondo anno che si trovava in Italia ed era stabile: aveva un appartamento e lavorava come pizzaiolo. Ma già l’anno prima, mi raccontava che non se la viveva bene. Appena passato il confine in Italia, non aveva una casa né un lavoro, e per lui era stato molto difficile. Mi raccontava che, come molti altri, era stato costretto ad abbandonare il paese per mettersi in sicurezza e che, viaggiando, non poteva andare per strada o chiedere autostop, altrimenti la polizia lo avrebbe riportato a Karachi. Mi raccontò che aveva dovuto percorrere molti chilometri nel deserto e molti altri nelle foreste. Mi raccontava di come, nonostante provasse a coprirsi con diversi strati di giubbotti e indumenti vari, non riusciva a placare il freddo. Mi diceva che i suoi piedi stavano molto male e che comunque continuava a camminare. Ci mise 5 anni a percorrere tutti quei chilometri, da solo, senza soldi e con addosso i pochi vestiti che si era portato dietro.
La parte della chiacchierata che mi rimase più impressa fu quando riuscì a farmi immedesimare nella sua storia, chiedendomi di immaginarmi obbligato a scappare dall’Italia e di voler andare a Berlino, da solo, a piedi, senza le mie scarpe, senza il mio giubbotto, senza un euro in tasca. Queste sue parole mi entrarono dentro come per una madre entra dentro il pianto di suo figlio. In quel momento non riuscivo a dire nulla, non feci altro che ascoltare la sua incredibile storia.
Nel frattempo, arrivò la mia fermata. Scesi dal treno sicuramente un po’ cambiato da quell’incontro, rendendomi conto di quanto ogni persona, anche quella all’apparenza più semplice, umile, forse addirittura inutile per alcuni e invisibile, sia in realtà incedibile perché ha una storia da raccontare, la sua storia.
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Articolo di Filippo Masiero
Foto di André Filipe su Unsplash
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