Le parole del nuovo prefetto della Congregazione per la dottrina della fede ci ricordano che il Credo non è un lasciapassare per un club esclusivo ma l'adesione ad un Amore che ci cambia la vita.
"Questo è il nucleo, il centro della fede cristiana: volendo dire cosa sia il cristianesimo, possiamo dire che è amore per Dio e amore per il prossimo. E dov'è il prossimo? È al mio fianco".
Confesso di aver sentito risuonare queste parole, quasi per inerzia, mentre le notizie di un dramma di questi giorni si accavallavano tra rete e posta. Avrebbero potuto essere altre, lo so, ma le riflessioni erano ancora troppo recenti e si sono associate alla preghiera, e al silenzio. Tuttavia le parole pronunciate a Radio Vaticana da mons. Gerhard Ludwig Müller, vescovo di Ratisbona - chiamato da Benedetto XVI, a succedere nella carica di prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede al card. William J. Levada - hanno il sapore accattivante di un programma. Senza alcuna intenzione di addentrarmi nel merito dei suoi prossimi, e tutt'altro che facili, impegni, il primo pensiero è stato quello che, con tutta probabilità molti dei suoi predecessori avrebbero sintetizzato in ben altra maniera il "nucleo" della fede cristiana.
Ma ben più importante è riflettere sul contenuto racchiuso in quella semplice sintesi. Perché significa che per il nuovo prefetto chiamato a sovrintendere sulla "dottrina", è questa l'essenza della fede cristiana. E va ben al di là del rispetto di norme o disquisizioni dottrinali, del vigilare su presunti abusi o devianze, del porre paletti ... Così come il cristiano non è chiamato a giudicare, fornendo improbabili patenti di ortodossia ai suoi fratelli (che è diventato un po' lo sport di questi ultimi anni, compresi appositi blog), bensì a realizzare quell'unico Comandamento nuovo: "Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri" (Gv 13,34-35).
Perché il cristianesimo è innanzitutto "comunione", con Dio e gli uomini e la Chiesa è un corpo che si rivela in una comunità di persone. Ricordo ancora lo stupore - nel corso degli studi teologici - di quanti erano ancora convinti si trattasse in primo luogo di aderire ad un credo, di rispettare norme, di vivere di sacrificio: convinzioni mutuate chissà dove, ben comprensibili anche da un contesto storico, ma tutt'altro che assenti dal tessuto delle nostre parrocchie.
E dire che il Credo non è un lasciapassare per essere introdotti in un club esclusivo o una setta: è un'adesione personale ad un Amore che abbiamo ricevuto e ci cambia la vita. Le norme morali - che per qualcuno sono ancora la lista dei dieci comandamenti del tipo sì/no - un vivere sempre più vicini a un Dio che è il Bene e che non ci chiede affatto sacrifici, ma vuole la nostra felicità e saremo "beati".
Sarà che queste riflessioni erano scaturite da quelle parole del vescovo Müller, a poche settimane dalla lettura del testo di frère John di Taizè, ma le assonanze che ritrovo sono numerose.
"Che cosa definisce in maniera specifica la fede cristiana?": è questa la domanda da cui parte ed è la stessa che è stata posta dal corrispondente tedesco di Radio Vaticana al nuovo Prefetto. Non una religione, non una spiritualità, bensì la vita comunitaria, come ci riferisce Luca negli Atti per ben tre volte (At 2,42-47; 4,32-35; 5,12-16).
Una vita comunitaria che crea "koinonìa", condivisione di vita, solidarietà, partecipazione alla vita stessa di Dio, nell'unità dello Spirito. Ora, se la fede è un dono che viene dall'Alto, come offerta di comunione, la nostra risposta è quella di accogliere o meno l'invito. Un invito reale, non teorico. "Non si tratta di una questione di idee o di giusta comprensione di verità intellettuali - scrive frère John - in termini più tecnici, la fede non è una gnosi".
Anzi si può affermare che il cristianesimo non ammetta contrapposizioni fra teoria e pratica: se i cristiani non praticano l'amore fraterno, se le Chiese vivono nell'indifferenza o nella reciproca concorrenza, la loro predicazione resta lettera morta ... Perché è il fratello che vedo - il prefetto direbbe "il prossimo che è al mio fianco" - quel più piccolo dei miei fratelli, che ha il volto di Cristo, indipendentemente da qualunque suo credo.
E allora come è possibile che ad una suora caduta in depressione venga consigliata una "vita di maggior fraternità?". A lei che vive in una comunità religiosa, scuola e modello di comunione, all'interno di una comunità ancora più ampia? È solo un esempio, ma quando affiorano volti precisi per cui non resta che pregare, perché solo un esperto potrà fare qualcosa, ti chiedi come sia possibile realizzare davvero quel "centro" del cristianesimo. Quando un prete cambia diocesi e si suicida, quando un altro ha l'incubo di "ricadere", la domanda è: che ne abbiamo fatto della comunione, nucleo centrale della nostra fede? Che significa anche attenzione alle persone, innanzitutto. E carità, ben prima di norme, rubriche e istituzioni.
Ma diventa, innanzitutto un impegno per noi laici, perché diventiamo capaci di autentica comunione, costruendo vere comunità, senza alibi, né deleghe.
"Chi riceve il Battesimo non è più solo: il Dio che è amore lo custodirà sempre. Grazie a questo amore il battezzato viene inserito in una compagnia di amici che è la famiglia di Dio" diceva papa Benedetto XVI l' 8 gennaio 2006 e lo ripetiamo spesso alle famiglie, anche a quanti credono di essere "fuori" dalla Chiesa, di non esserne degni. L'importante è crederci davvero, che la Chiesa è come una famiglia, che pure si allarga all'intera famiglia umana. Dove non esistono classifiche di merito, solo l'appellativo di figli, bisognosi della sua, gratuita, misericordia.
Maria Teresa Pontara Pederiva
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