Affrontiamo il tema con il direttore dell'Ufficio nazionale per la pastorale della famiglia...
del 01 luglio 2016
Piatti e bicchieri, pentole e asciugamani: nella casa di una coppia oggi ci sono tutti, e arrivano per primi. Sono scelti con cura, a volte regalati da madri rassegnate che avevano pensato già a un corredo che nel frattempo ha perso il suo aggettivo. Il matrimonio, quando c’è, entra per ultimo. Ed è un dato di fatto.
Giovedì 16 giugno, intervenendo all’apertura del Convegno della diocesi di Roma dedicato a La letizia dell’amore, il Santo Padre ha raccontato una sua esperienza a Buenos Aires: «Quando i parroci facevano i corsi di preparazione, c’erano sempre 12-13 coppie, non di più. La prima domanda che facevano: “Quanti di voi sono conviventi?”. La maggioranza alzava la mano». E prosegue: «Preferiscono convivere, e questa è una sfida, chiede lavoro».
Anche in Italia i numeri parlano chiaro, come ci spiega don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della famiglia della Conferenza episcopale Italiana: «Nel 2008-2009 ci fu un’indagine dell’Ufficio nazionale, in tutta Italia, sui corsi di preparazione al matrimonio. In quel momento io ero responsabile della pastorale della famiglia a Grosseto e la mia diocesi era quella con il più alto numero di carrozzine e passeggini: già allora, nei corsi, erano presenti molte coppie con figli. Oggi anche al Sud c’è una fortissima presenza di conviventi, al Nord parliamo in certi casi quasi del 100%, per cui chiaramente questo ci chiede di assumere uno sguardo completamente nuovo».
FRAGILITÀ AFFETTIVE
Parla “togliendosi i sandali” don Paolo Gentili, invito di Dio a Mosè davanti al roveto ardente, nel rispetto profondo dei semi di amore che Dio ha messo dentro anche a situazioni di fragilità affettiva. A lui chiediamo per quali motivi si sceglie di convivere. «Viviamo in un Paese che manca di autentiche politiche familiari: sembra che sposarsi sia solo un fatto meramente privato e questo è molto triste perché in realtà due che si legano nel “per sempre” diventano una cellula vivificante per l’intera società, perché si protendono all’educazione dei figli, offrono un umanesimo nuovo al tessuto sociale».
LA CULTURA DEL PROVVISORIO
«Dall’altro lato c’è anche una questione interiore, quella che il Papa chiama “cultura del provvisorio”», continua don Gentili, «la paura di impegnarsi fino in fondo con un’altra persona e di poter reggere, sostenere, perseverare in quel rapporto. E poi tanta solitudine: molti sentono davvero di dover affrontare da soli quest’avventura».
Come si fronteggiano allora queste difficoltà? «È necessario un accompagnamento graduale della coppia, ma anche far scoprire che quella convivenza in realtà nasconde un desiderio di “per sempre” che soltanto Cristo può dare. Gesù non è venuto a complicarci la vita, è venuto a dare le ali al desiderio di un amore eterno. Occorre rispondere a quella domanda interiore, a volte anche suscitarla: far risaltare la grazia liberante del sacramento delle nozze».
SACRAMENTO E LIBERTÀ
La libertà è anche il presupposto per celebrare un matrimonio, la libertà del consenso. A questo proposito il Papa è stato chiaro tant’è che, sempre in occasione del Convegno della diocesi di Roma, ha raccontato di aver proibito i matrimoni riparatori a Buenos Aires: «Socialmente deve essere tutto in regola: arriva il bambino, facciamo il matrimonio. Io ho proibito di farlo, perché non sono liberi, non sono liberi! Forse si amano. E ho visto dei casi belli, in cui poi, dopo due-tre anni, si sono sposati, e li ho visti entrare in chiesa papà, mamma e bambino per mano. Ma sapevano bene quello che facevano».
Alle parole di Francesco si aggancia il ragionamento di don Gentili: «Proprio perché occorre la libertà del consenso, anche l’arrivo di un bambino, per quanto sia un fatto bellissimo, non può essere il motivo per sposarsi se non c’è una vera decisione assunta nel cuore, in modo libero e quindi non condizionato da quell’evento. Non possiamo costruire matrimoni per la pressione sociale, perché poi non reggono. Dice bene il Papa perché illumina così tutta la questione della legge della gradualità: personalmente mi è capitato più di una volta che l’attesa di un bambino non previsto, non cercato, possa essere l’occasione per quella coppia, se le si dà il tempo di maturare e qui occorrono veramente anni per scoprire una vera chiamata all’amore. Ma occorre un delicato accompagnamento in questa fase, scevro da visioni giuridiche rigide e quindi dal vedere la soluzione soltanto in un rito celebrato ma in realtà non vissuto nel cuore e quindi non autentico, con il rischio forte di creare un matrimonio nullo».
LE COPPIE ANGELO
La preparazione al matrimonio, dunque, è punto centrale. Ma quali sono i metodi e gli strumenti da usare per far capire la bellezza del sacramento? «Adesso stanno crescendo molto le figure cosiddette di “coppie angelo”, di chi, nell’esperienza delle proprie cadute, offre un accompagnamento ai giovani fidanzati, quasi un tutoraggio», prosegue don Gentili. «Sto pensando a un rinnovo della pastorale dei fidanzati che abbia come protagonisti i nonni, le persone separate che hanno vissuto il fallimento di un matrimonio, le persone vedove che vivono la fatica di non avere più accanto il proprio coniuge, e che veda come protagonista chi è arrivato a una riconciliazione dopo una faticosa separazione».
Fondamentali, quindi, la testimonianza e un atteggiamento generale meno rigido: «Le case antisismiche sono le case elastiche. Noi purtroppo ogni volta facciamo la stessa esperienza: quando c’è un terremoto in Italia – e stiamo avendo un terremoto culturale – tutto viene raso al suolo mentre in Giappone continuano a convivere con i terremoti. Probabilmente hanno inventato una modalità con cui costruire le case che sono talmente elastiche da reggere anche ai sismi più forti».
Un monito a diventare più elastici? «Elastico non vuol dire lassista, questa è la questione. In Amoris laetitia c’è tutta la dottrina. Come diceva il Papa al termine del Sinodo, i veri difensori della dottrina non sono quelli che difendono le idee ma l’uomo, non la lettera ma lo Spirito, la gratuità dell’amore di Dio».
Don Paolo Gentili
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