Eccomi! Risponde con slancio il profeta Isaia alla chiamata del Signore. Eccomi! Risponde allo stesso modo un giovane o un meno giovane che crede nella solidarietà per trasformare il mondo. È la bella risposta di chi vuole diventare volontario.
del 26 febbraio 2009
Eccomi! Risponde con slancio il profeta Isaia alla chiamata del Signore. Eccomi! Risponde allo stesso modo un giovane o un meno giovane che crede nella solidarietà per trasformare il mondo. È la bella risposta di chi vuole diventare volontario.
 Poco più di una decina di anni fa, chi andava alla radio o in televisione a parlare di volontariato doveva spiegare cos’era. Oggi volontario è una parola abusata; con la posta arrivano a casa dei depliant: vuoi diventare volontario? In tv stelle e stelline pubblicizzano l’adozione a distanza, fanno i testimonial, così si dice, di catene miliardarie della solidarietà e maratone per fare il bene. Ai pazienti angosciati e depressi gli psicoanalisti consigliano la terapia di occuparsi degli altri.
 
Uscire da sé, dal proprio egoismo fa conoscere un curioso tipo di gioia pacifica, salutare, perché fa dimenticare le proprie sofferenze. Il cristiano però è non un testimonial d’immagine, è un testimonial di vita. Un cristiano, dice San Tommaso, deve diventare amico di se stesso. Prendendo in prestito Aristotele enumera le caratteristiche dell’amicizia: desiderare la vita dell’amico, volergli bene, fargli del bene, gioire della sua compagnia, avere un cuore solo con lui, condividere gioie e tristezze. La prima preoccupazione di un cristiano dovrebbe essere vivere con se stesso un’amicizia con queste caratteristiche.
 
Quando abba Arsenio sentì la chiamata di Dio, sentì anche che Dio gli diceva: se vuoi salvare la tua anima, fuggi gli uomini, sta in silenzio, conservati nella pace. Prese così sul serio queste parole che il suo comportamento sembrava esagerato agli stessi monaci del deserto. Gli chiese abba Marco: Perché ci fuggi? Non ci ami? Dio sa che vi amo, rispose Arsenio. Ma non posso stare nello stesso tempo con Lui e con gli uomini. In cielo vi sono miriadi di angeli e tutti hanno la stessa volontà. Fra gli uomini non è così; non posso lasciare Dio per stare con gli uomini. Arsenio aveva percepito nella solitudine e nella preghiera il diverso tipo di amore: l’amore degli uomini e l’amore di Dio.
 
I greci per dire l’amore degli uomini usano il termine eros che non ha lo stesso significato che gli diamo noi oggi. Eros significa un amore di desiderio, di inquietudine, che chiede all’oggetto d’amore di colmare una nostalgia che ha nel cuore. Eros è l’amore umano che cerca il bene proprio. Poiché non c’è nessuno al mondo che possa soddisfare questo amore, l’eros umano è un amore che vuole possedere e soffocare l’altro, trasferendo su di lui la sua inquietudine. Evagrio, monaco del deserto di Scete e delle Celle, fine psicologo della vita spirituale, avverte: “Vedi che mentre credi di curare un altro non sia tu stesso incurabile e così ponga ostacolo alla tua preghiera”. È interessante la sua conclusione.
 
Non è curare un altro che cura le ferite dell’anima, è la preghiera, che per Evagrio è l’unione con Dio stesso, germoglio di mitezza e assenza di collera, frutto di gioia e di gratitudine, difesa da tristezza e sconforto. Lo stesso versetto di Mt 19, 21: “Và, vendi ciò che possiedi e dallo ai poveri”, Evagrio così lo commenta: “prendi la croce e rinnega te stesso per poter pregare senza distrazioni”.
Stare in pace con se stessi, essere amici di se stessi significa dunque stare in compagnia di Dio. Teofane il Recluso era stato un vescovo; ma quando era arrivato al massimo della carriera, aveva capito che non era questo quello che cercava e si era volontariamente recluso. “Se il cuore è al centro della persona umana, osserva Teofane, allora è attraverso il cuore che l’uomo entra in relazione con tutto ciò che esiste”.
 
Attraverso il cuore in preghiera l’uomo conosce l’amore di Dio, ben diverso dal suo eros. Agape lo chiama la Sacra Scrittura. Un amore quieto come un oceano tranquillo, che non ha bisogno di nulla e non cerca per sé, che amando crea, e dona la sua abbondanza d’acqua.
A Santa Caterina da Siena però pareva impossibile che Dio non le chiedesse niente. La differenza dell’amore di Dio dal suo povero amore la rattristava molto. Non poteva pensare di sentirsi così amata senza potere ricambiare nulla. Un giorno ne parlò allo stesso Gesù, e si sentì rispondere così: A me non puoi dare niente. Ma ti ho messo accanto il tuo prossimo: ciò che farai a lui, lo prenderò come se fosse fatto a me stesso.
Qualche secolo dopo, don Milani, toscano come Caterina, scriveva ai ragazzi di Barbiana nel suo testamento: Caro Michele, caro Francuccio, cari ragazzi, ho amato voi più di Dio, ma ho la speranza che Dio non badi a queste sottigliezze. Sapeva che l’Eccomi! detto agli uomini è un Eccomi! detto a Dio. 
 
Tratto da: Nuovo Progetto
 
Flaminia Morandi
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