L'atteggiamento permissivo può finire per favorire il male! Di qui la deduzione che se l'educazione repressiva è sbagliata, in quanto provoca frustrazione e insicurezza, quella permissiva lo è altrettanto, perché induce il giovane all'arroganza e al libertinaggio. Amare un figlio, ossia volerne autenticamente il bene, non può prescindere dal rimprovero...
del 05 giugno 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 
          A sedici anni – racconta Paola – è avvenuto un vero “patatrac” con i miei genitori: non riuscivo ad accettare di non poter frequentare, a differenza delle mie amiche, la discoteca, rientrare tardi il sabato notte, svegliarmi all’ora di pranzo la domenica mattina (invece di essere costretta ad andare a Messa!), portare l’orecchino all’ombelico, ecc. “Perché mai – mi domandavo – è capitata proprio a me la sventura di avere dei genitori così ottusi?” Oggi, a distanza di anni, li ringrazio invece, perché, rimanendo fermi sulle loro posizioni, mi hanno aiutato a capire che non tutto è lecito, ma esistono il bene e  il male».
          Attualmente, come spiega il dottor Giovanni Petrocchi, medico specialista in psichiatria e psicoanalisi junghiana, una certa cultura socio-psicologica, a sostegno della politica del “lasciare andare”, tende ad applicare una strategia educativa dei figli spesso poco attenta ai valori morali e spirituali e tendenzialmente lassista nei comportamenti. Essa, in pratica, induce ad accontentare il ragazzo in tutto, a dargli sempre ragione e a non dirgli mai di no, nemmeno dinanzi a richieste spiritualmente e moralmente deleterie.
          Questa “strategia della permissione”, dell’assecondare le tendenze naturali, presuppone, alla base, l’idea che l’uomo tenda spontaneamente al bene e che, quindi, seguendo i propri impulsi e desideri, compia comunque azioni che lo portano a realizzarsi e a vivere felice. Quest’idea è tanto errata quanto ingenua. Se ciò fosse vero, nelle nazioni occidentali, in cui esiste  un alto livello di permissivismo, il male non dovrebbe praticamente esistere. I fatti, però, dimostrano esattamente il contrario: droga, alcol, immoralità, disagio esistenziale, crisi d’identità, incapacità di soffrire e molte altre difficoltà proprie della gioventù d’oggi, mettono sotto accusa il modello educativo ispirato ad una concezione della vita materialistica, edonistica e permissiva.
          L’atteggiamento permissivo, insomma, visti i risultati ottenuti, può finire per favorire il male! Di qui la deduzione che se l’educazione repressiva è sbagliata, in quanto provoca frustrazione e insicurezza, quella permissiva lo è altrettanto, perché induce il giovane all’arroganza e al libertinaggio.
          Amare un figlio, ossia volerne autenticamente il bene, non può, dunque, prescindere dal rimprovero e da prese di posizione ferme dinanzi ad un comportamento negativo, ostinato nell’errore. È per il bene del figlio, infatti, che il genitore usa – se è necessario e nelle opportune forme – il rimprovero, nella consapevolezza che esso è uno degli strumenti atti a favorire la formazione della sua coscienza morale. Non disapprovare il figlio che sbaglia, significa persuaderlo che il male non esiste e che, quindi, è lecito fare tutto ciò che pare e piace!
          In fondo, adottare la linea educativa permissiva è estremamente comodo e, in un certo, senso allettante, poiché, da una parte, permette di evitare la scomodità e la fatica che comporta correggere il male e, dall’altra, consente di assumere la figura gratificante del genitore moderno, superiore, illuminato e tollerante.
          Ora, affinché l’educazione impartita fornisca i mezzi necessari per una crescita ottimale, è necessario che il genitore aiuti il figlio a rendersi consapevole dei suoi pregi, ma anche dei suoi difetti, delle tendenze sane, come pure di quelle malate del suo carattere. Venendo a mancare questo tipo di intervento correttivo, il processo educativo si ridurrebbe ad un fatto più o meno esteriore (modi garbati e gentili, conoscenze culturali e scientifiche, ecc.), senza offrire al proprio figlio la possibilità di mettere ordine ed equilibrio all’interno della sua personalità.
          Qual è allora la giusta educazione da dare ai propri figli ? È quella che il dottor Petrocchi chiama “educazione al discernimento”, cioè a quella capacità di giudicare e scegliere secondo il bene e la verità. Essa si ottiene attraverso opportune strategie di approvazione, rimprovero, perdono e sostegno, secondo i casi, ma soprattutto per mezzo della testimonianza offerta dall’educatore.
          Questa formazione al discernimento permette al ragazzo di divenire sufficientemente padrone di se stesso, libero dai condizionamenti interni dei propri impulsi e desideri negativi, nonché dalle pressioni psicologiche esercitate dall’ambiente esterno, inducendolo ad amare il bene e a fuggire il male.
Sr. Maria Pia D'Anselmo
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