La sera di Natale ho meditato alcune pagine del Qohelet. Me lo ha fatto riprendere in mano una telefonata di una mamma da Londra, quasi un sussurro nella sera di festa: «Mi hanno mandato a casa dall'ospedale. Le “chemio” non servono più. Ho delle domande da farti: perché tanta sofferenza?». Erano cinque anni che non avevo sue notizie; non voleva che si sapesse della sua malattia. «Mia figlia è bellissima! L'ho mandata in Italia, per il Natale: sto troppo male!». La bimba ha 8 anni, forse è a lei che dovrò spiegare il perché del dolore?
del 21 gennaio 2008
La sera di Natale ho meditato alcune pagine del Qohelet. Me lo ha fatto riprendere in mano una telefonata di una mamma da Londra, quasi un sussurro nella sera di festa: «Mi hanno mandato a casa dall’ospedale. Le “chemio” non servono più. Ho delle domande da farti: perché tanta sofferenza?».
Erano cinque anni che non avevo sue notizie; non voleva che si sapesse della sua malattia. «Mia figlia è bellissima! L’ho mandata in Italia, per il Natale: sto troppo male!». La bimba ha 8 anni, forse è a lei che dovrò spiegare il perché del dolore?
Quando ho celebrato il suo matrimonio, non mi sono mancate le parole, ora mi trovo in difficoltà di fronte ad una mamma giovane, che mi chiede una risposta sul mistero che ha sconvolto la ragione di tante persone, di chi non ha avuto fede bastante per identificarsi con la Passione di Cristo.
Ma quanta fede è richiesta, quale intensità d’amore per accettare la morte, che nessuno può rimandare? La vita è assurda come l’agitarsi delle onde o è divina ed eterna come l’immensità dei mari? Ha senso il dolore che uccide ogni speranza o il dolore può aprirti all’Eterno, all’Amore? Dio che ci ha creato così limitati in tutto, perché non ha posto un limite al dolore?
Si sono scritti migliaia di libri, ma senza una fede, il mistero rimane! Solo la fede in parte lo può illuminare. Davanti agli occhi ho la fotografia di questa mamma. A quei tempi frequentava l’Università: aveva un volto radioso, un sorriso affascinante, gli occhi profondi, luminosi. Dietro la fotografia, una scritta: «Mi hanno colto in un secondo di felicità. La mia vita continua ad essere una collezione di attimi, ti mando il migliore, sperando che l’attimo diventi per sempre».
Lei ha avuto anni felici vivendo una storia d’amore, allora inattesa, sposando un architetto svizzero, fino a quando il dolore, sotto forma di tumore, è entrato nella sua storia di mamma: il dolore non dà tregua neppure a Natale ma esistono nel calendario dell’uomo giorni senza dolore?
Cosa le dirò visitandola a Londra? Forse mi limiterò a starle accanto al letto, pregando o tacendo, nell’impossibilità razionale di dare una risposta che la rassereni. Forse le racconterò quello che dirò alla sua bimba, incontrandola o a suo marito, che ha condiviso questi anni di matrimonio.
Ricorderò loro quello che ho raccontato a Fabio, un ragazzino di sette anni? La mamma, giovanissima di soli 27 anni, non lo aveva voluto vedere in ospedale: «Voglio che abbia un bel ricordo di me, il mio sorriso, la mia gioia quando lo tenevo tra le braccia... Voglio che sappia che la mamma gli sorriderà sempre così, dove abiterà tra gli Angeli...».
 Regalando loro la fotografia con quell’attimo di felicità, aggiungerò a mano, in stampatello: «Così per sempre la mamma vi sorriderà dal Paradiso!». Altro, per il momento, non direi!
Da: Vittorio Chiari, Un giorno di 5 minuti. Un educatore legge il quotidiano
don Vittorio Chiari
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