Del cenacolo si ricorda la Cena, che gli dà il nome, le apparizioni gloriose a porte chiuse, la pentecoste. Pochi ricordano l'ora più nostra, che va dalla sepoltura al mattino di pasqua. È l'ora desolata della chiesa nascente, che il cenacolo raccoglie e non custodisce...
del 17 febbraio 2008
 Don Primo Mazzolari,  uno dei maggiori interpreti  della Chiesa del secolo scorso,descrive in questi testi il suo stupore per il Mistero del Cenacolo, il suo amore per quel “luogo” da cui tutto è nato e da cui tutto può sempre  rinascere.La sua  forte testimonianza spirituale  vissuta alla scuola del vangelo non poco ha contribuito alla bellezza della Chiesa e alla efficacia del suo messaggio;molti cristiani e uomini di buona volontà si sono nutriti delle sue riflessioni e meditazioni ed hanno trovato in questo uomo umile forte il coraggio di vivere e la forza di sperare.Ancora oggi la sua opera e soprattutto la sua testimonianza possono essere da guida sicura  a chi cerca il senso ultimo della vita e desidera vedere  un giorno,il volto ineffabile del Signore. I due  testi che seguono sono  tratti da “Primo Mazzolari, Tempo di credere”,  ottobre 1977,ed Dehoniane Bologna, pp. 25-35.
 
Primo Mazzolari nasce nel 1890 da una famiglia di contadini. Qui nasce  la sua vocazione al sacerdozio e matura negli anni la sua personalità appassionata di Cristo e dell’uomo. Ordinato sacerdote nel 1912 si inserì subito nei ritmi sociali e culturali del suo tempo e divenne ben presto guida sicura della sua comunità,e punto di riferimento per quanti cercavano l’Invisibile.Visse gran parte della sua vita  nella parrocchia di Bozzolo,e da quel luogo osservava il mondo con occhi di Padre,sempre riconoscendo in esso una immagine del Creatore. L’esperienza diretta della guerra evidenziò in lui si potrebbe dire il carisma della pace,attento sempre a scorgere i fratelli piuttosto che i nemici, a cercare ciò che unisce piuttosto che quello che separa. Anti-fascista  (nel 1925 fu denunciato per non aver cantato il «Te Deum» per i fascisti dopo l’attentato a Mussolini),fu notevolmente impegnato nella collaborazione con i partigiani nella resistenza contro il nazi-fascismo. Dopo  la guerra agisce in difesa delle classi sociali più deboli e non rinuncia al sacrifico personale pur di affermare la dignità di ogni uomo spesso dimenticato dai grandi progetti di riforma sociale e messo ai margini di uno sviluppo che a volte si fa fatica a definire umano.Uno dei suoi scritti più famosi  è dedicato a “I lontani”, la sua idea sui lontani è che «”Lontano” non è soltanto colui che, andandosene, ha sbattuto la porta,ma,l a “lontananza” era a quei tempi una regione ben definita, “un paese”; è l’assenza di Qualcuno, uno stato d’animo.Nel 1957 l’arcivescovo di Milano Montini,futuro papa Paolo VI, l’invita a predicare nella sua diocesi,nella famosa “Missione di Milano”. il 12 aprile 195,ritorna alla casa del Padre.
 
 
L'ORA DESOLATA
 
Del cenacolo si ricorda la Cena, che gli dà il nome, le apparizioni gloriose a porte chiuse, la pentecoste. Pochi ricordano l'ora più nostra, che va dalla sepoltura al mattino di pasqua. È l'ora desolata della chiesa nascente, che il cenacolo raccoglie e non custodisce. La grossa pietra del sepolcro è un muro tra i discepoli e il Maestro, che, pur rimanendo una memoria cara, cessa di essere una realtà e una speranza messianica. Se l'indomani della sepoltura o la sera stessa, gli apostoli si sono ritrovati nel cenacolo, l'abitudine o lo smarrimento ve li aveva ricondotti. Nessuno, a Gerusalemme, aveva casa o conoscenti sicuri, senza contare che fuori del loro mondo sarebbero stati costretti a dar spiegazioni o a raccontare, mentre avevano bisogno estremo di ritrovarsi per poter riprendere i pensieri, le strade e le fatiche di una volta. La « fine » li aveva smobilitati dall'opera e dalle speranze del regno, ed ora, più che attendere un ritorno, si riparavano per rifarsi, sotto occhi meno indiscreti, dello sbalordimento che danno i rapidi tracolli. Ci voleva una pausa per calmare i loro animi e ricondurli sul piano comune dopo la non breve esaltazione messianica.
 
La povertà della chiesa non fu mai così povera e disanimata. Sulla strada della pasqua non un passo, non un cuore.
Il sepolcro senza gloria aveva inghiottito ogni cosa.
Il mistero della perennità della chiesa si compiva, per la prima volta e per sempre, al di sopra e nonostante l'uomo, in un abbandono che solo una carità onnipotente e crocifissa poteva sostenere.
In quell'ora desolata cade l'annuncio delle donne, che, sull'albeggiare, « erano andate a visitare il sepolcro,portando aromi ».
¬´ Avevano trovato la pietra del sepolcro rotolata, ma essendo entrate non trovarono il corpo del Signore Ges√π. Ed avvenne che mentre se ne stavano perplesse, ecco che apparvero dinanzi a loro due uomini vestiti in vesti sfolgoranti: ed essendo impaurite, e chinando il viso a
terra, essi dissero loro: - Perché cercate il Vivente tra i morti? Egli non è qui, ma è risuscitato. -
  « E quelle, andatesene prestamente dal sepolcro, con spavento ed allegrezza grande, corsero ad annunziare la cosa agli undici e a tutti gli altri. Or quelle che dissero queste cose erano: Maria Maddalena, Giovanna, Maria madre di Giacomo e le altre donne che erano con loro »
(Lc 24,1-10).« E quelle parole parvero agli apostoli un vaneggiare; e non prestarono fede alle donne » (Lc 24,11).Saggezza virile contro le sùbite accensioni del cuore femminile o impossibilità d'una qualsiasi ripresa di fiducia, in uomini tanto provati e depressi?Ma se quel « vaneggiare di donne » non bastava a dar animo, bastò a rendere più irrespirabile l'aria del cenacolo. Si erano appartati per dimenticare, ed il passato ritornava violento e soffocante come un vento del sud. Pietro e Giovanni s'avviano verso il sepolcro. Vogliono vedere. Altri due, i più giovani, escono anch'essi, ma verso Emmaus, in campagna. Vogliono vivere. I rimanenti si chiudono nella loro cupa rassegnazione, fedeli, alla loro maniera, ad un passato senza domani. Nella storia dell'ora più desolata del cenacolo, c'è tanta della nostra anima. Negatori volgari nessuno, o quasi; almeno a parole. Nell'aria di oggi c'è qualche cosa che c'impedisce di buttar via a cuor leggero il mistero.
Per un insieme di cause che sembrano a tutta prima insignificanti, siamo divenuti, nostro malgrado, poco sicuri.
La vita non è facile per nessuno, neanche per chi s'è procacciato o è riuscito a difendere largamente il proprio benessere. Nonostante l'ostentata sicurezza di alcuni nuovi sistemi spirituali e di alcuni nuovi civili ordinamenti; nonostante il proclamato procedere verso ore di grandezza, la povertà e la brevità delle nostre giornate umane è da tutti avvertita, com'è avvertita la precaria e pericolosa consistenza di tante affrettate e troppo magnificate conquiste del mondo moderno.
Siamo gente in affanno più che in vero e proprio travaglio. Abbiamo fretta di cose nuove, e non sappiamo smobilitarci interamente del vecchio, che, pur parendoci superato, finisce per non essere trascurabile del tutto, dato l'estremo bisogno di appoggi. In tale non voluta ma imposta provvisorietà che si riaffaccia con insistenza contagiosa dopo ogni nuova esperienza e dopo i più clamorosi successi, trova sufficiente spiegazione il nostro poco logico, ma reale comportamento verso la religione, che se per qualcuno, più scaltro che intelligente, è una comoda opportunità, per chi ha cuore, è il documento della nostra inguaribile povertà. Infatti, fra tanto parlare di religione, il nostro vero essere religioso non è mai stato così trascurato e così poco capito.Certe novità frettolose e surrogatizie, invece di bastarci, c'indispongono. Più che vere risposte alla nostra angoscia, sono una proiezione sul piano religioso di realtà o di miti che appena si possono sopportare sul piano contingente dell'economia e della politica.
Il sacrilegio è più o meno avvertito e chiaramente dichiarato, anche se il vecchio mondo cristiano, riofferto senza slancio e raccorciato da molti per accidia o per timore, viene posto garbatamente in disparte, onde non  aver ostacoli a quegli accomodamenti pratici, sempre più urgentemente consigliati dalle difficoltà materiali del vivere.
S'è venuta in tal modo formando quella larghissima zona d'assenti dal vero travaglio religioso, composta di  credenti e di non credenti: quei credenti che rinunciano alle integrali esigenze della propria fede per dar luogo alle necessità pressanti del proprio benestare; quei non credenti senz'audacia e senz'inquietudine, che rinunciano a pensare con la propria testa e col proprio cuore per ruminare in pace.
Gli uni e gli altri, per motivi e sentimenti diversi, si son fatti del « cenacolo » un rifugio, senza neanche chiedersi, se dentro v'è soltanto la memoria d'un morto o l'ombra d'una croce senza speranza. Non saprei dire, se mi desta maggior pena chi ha conservato una devozione dopo averne perduto l'anima, o chi, dal di fuori del « cenacolo », appoggiandosi al primo sostegno offertogli, non ha nemmeno la forza di riproporsi certi problemi.
Tra questi ultimi non mancano gli spiriti degni e forti, i quali, fatti scettici da una lunga, infruttuosa ricerca e dallo spettacolo, veramente insopportabile, di tante procaccianti viltà, si rinserrano nel loro mondo di pensiero e di pena per morirvi in silenzio, se non in pace con se stessi.
Li accompagna il ricordo di un ideale vagheggiato sul principio e che l'esperienza ha crocifisso giorno per giorno. Ora, rimangono disperatamente fedeli alla giornata, che s'ostinano a prendere com'è, pur avendone riconosciuta la tragica inconsistenza.
Pietro e Giovanni si levano... Saranno vaneggiamenti di donne, ma è bene andar lo stesso a vedere. Qualcuno non s'è ancora persuaso che una religione di sole  memorie o di vanti per grandezze passate, non ha consistenza. Qualsiasi fatto o qualsiasi passione reale ha ben  presto ragione di essa. Così si spiegano certe perdite e certi improvvisi smarrimenti.  Le voci delle donne, che tornano dal sepolcro vuoto, non tolgono dall'animo di Pietro e di Giovanni la desolata impressione della « fine », misurata dai loro stessi occhi poche ore prima.
 Però vanno a vedere.
 Non sarà vero, ma non c'è niente d'impossibile a Dio. L'uomo confina ovunque col mistero e le nostre conoscenze ci mettono sempre di fronte ad esso. Chi è saggio, non segna limiti a Dio. Di là come di qua del mio limite opera la divina onnipotenza, e dove io mi fermo,  Qualcuno continua. Il mistero non è il porto degli spiriti deboli, ma il ragionevole rifugio di chiunque capisce e riconosce il trasbordare dell'Essere dal mio piccolo essere. Per questo, anche l'incamminarsi verso un sepolcro, dietro confuse indicazioni, è da uomo onesto, come onesta e doverosa è ogni ricerca in qualsiasi condizione di animo e di fatto.  Non si è mai cercato né trovato abbastanza, e purfra le fantasie di poche donne si può avviare una ricerca fruttuosa.Chi per orgoglio o per pregiudizio intorno al messaggio e ai suoi portatori, invece di muoversi, si chiude l'animo alla più bella e onorevole fatica umana, si diminuisce come uomo.Pietro e Giovanni non vedono il Signore, ma l'aver costatato che il sepolcro è vuoto, l'essersi avventurati, a costo di rincrudire la loro ferita, sui luoghi della passione e della morte del Maestro, li dispone alla manifestazione del Risorto. Davanti al sepolcro non vedono il Vivente, ma la morte ha già un volto meno chiuso. Cristo è alle porte del cenacolo.
 
 
SULLA SOGLIA
 
 
Nel cenacolo, tra donne visionarie e la cupa rassegnazione degli apostoli non si poteva vivere. Quell'aria, l'aria d'un morto, era irrespirabile.Tra i rassegnati e i visionari, s'affacciano, sulla soglia del cenacolo, « due di loro », che prendono nome dal villaggio di Emmaus, verso cui camminano. Pietro e Giovanni escono dal cenacolo per accondiscendere alle donne: i due di Emmaus, che, essendo giovani, non si sentono di collezionare memorie, sian pure memorie di « un uomo potente in opere e in parole », vanno fuori per vivere.Potete chiamarla un'evasione: comunque, essi sono logici e simpatici; tanto più che « i due », in questo mattino di pasqua, si son fatti legione.Molti dei nostri, sopra una strada lungo la quale è forse men facile incontrare chi « fa ardere il cuore », ne rivivono il dramma e la sofferenza.Non voglio accompagnarli subito: mi tornerà facile raggiungerli e riascoltare nei loro discorsi la suggestione della strada: meglio sostare alquanto sulla soglia del cenacolo, or che si apre il mattino, tra chi va, portandosi dietro lo slancio della giovinezza, e chi rimane, mortificato nel volto e nell'anima.Anche il cenacolo, invece di un focolare di fede, può apparire una cittadella smantellata, disposta, sotto gli assalti della persecuzione, a qualsiasi resa, pur d'uscirne risparmiata. E questo in un'ora in cui il mondo, almeno esternamente, vive parte del suo travaglio sul motivo dell'onore, della fierezza e dell'ardimento fino allo sprezzo della vita.Del nostro tempo si può pensare ciò che si vuole, ma gli si deve riconoscere d'aver saputo suscitare, a suo modo, una visione eroica. Non giudico il fondamento di tale visione, né la responsabilità morale di questa atmosfera eroica, che preme ed esalta il nostro mondo. Noto soltanto il suo fascino su molti della nostra generazione, sui giovani in modo particolare.Un mito di tanta suggestione non si vince col ragionamento o la saggezza di chi, per aver troppo vissuto, non sa più vivere; ma imponendo un ideale concreto e superiore di devozione.Il cristianesimo non ha bisogno di prendere a prestito, né di aggiornarsi ai tempi, allineandosi con movimenti che hanno una funzione storica limitata e passeggera.Gli basta la croce, che riassumendo il vangelo e l'opera ininterrotta della chiesa attraverso i secoli, rimane sempre il punto più alto, la « follia » di ogni devozione. Ma se alla croce, ineffabile scuola di carità e di umana generosità, togliamo il suo significato glorioso, essa viene « svuotata ».L'espressione è di san Paolo, e lo « svuotamento » si opera togliendo alla croce, oltre il suo significato di carità universale, il suo aspetto attivo e militante.
Qualcuno, pur non osando dichiararsi anticristiano, esagera l'apparenza depressiva di quei gruppi devozionali, i quali, benché meno numerosi d'una volta, e con assai dubbia autorità, presentano un tipo di cristianesimo, che, nella sua evidente e intollerabile deformazione, allontana e disgusta gli spiriti generosi. Si tratta di quell'errore di calcolo, assai frequente e grave, che consiste nel confondere il segno del più col segno del meno ; l'errore che crede di elevare la grazia abbassando la natura.
Invece di tendere, con ogni sforzo, all'imitazione dell'inarrivabile splendore dell'Uomo-Cristo, leggiamo la sua vita e la sua parola con spirito rinunciatario; mentre, quasi a scusa, ci si chiude nel mondo interiore, giustamente preoccupati della nostra perfezione, ma dimentichi, al tempo stesso, che ogni interna elevazione, ogni conquista segnata nell'intimo, ogni profondità di grazia richiede una corrispondente affermazione di dignità e di grandezza umana. Altrimenti verrebbe da pensare che codesto ritirarsi, invece di una difesa che prepara la conquista, documenti un'animo debole e pauroso.Troppi cenacoli chiusi in queste ore che portano sul vento di tante tragedie i fermenti della vita e della morte!Non ho mai capito né mi auguro di capire certe maniere di presentare i misteri pasquali.
Come riconoscere in tali figurazioni il Cristo della pasqua che vince la morte ed entra nella gloria? il Cristo che comanda alle tempeste, che scende tra la folla, che sta sereno e calmo di fronte ad ogni malvagità che gli si avventa contro? Come riconoscere nei nostri quotidiani compromessi il Cristo-Re della più recente liturgia, che afferma la durata della sua parola oltre il passare dei cielie della terra?« Oppio del popolo: fermento di rinuncia e di viltà:religione degl'imbecilli e degli schiavi » - si legge ogni dì nei fogli di propaganda che il bolscevismo ateo può  scambiare coi neo-pagani. Le accuse si ripetono senza varianti e s'accordano sopra ogni divergenza ideologica. Un giovane che vive con passione l'ora meravigliosa di questo mondo traboccante d'energia, d'ardimento e d'immaginazione, non può sentirsi invogliato ad occuparsi di una chiesa che non si presenta con richiami di alta tensione spirituale.
Davanti alle chiese che si fanno deserte e fredde, non c'è che una risposta: una nuova fiamma nella chiesa.
Per questa fiamma che è« la novità » della pasqua,  non occorre rubar legna a nessuno. Purtroppo, anche da noi si copia e si importa. Si importa la pesantezza dell'epoca e qualche cosa di più, mentre si lascia smorzare il fuoco di Cristo, riacceso nel sabato santo sul sagrato di ogni chiesa. Il regno dei cieli non è di quaggiù, cioè non si avvera sulla terra, alla maniera dei regni di quaggiù. Ecco perché la chiesa non ha bisogno né di oro, né di spada, né di protezione. Ai violenti, ai furbi, agl'ingiusti, la chiesa oppone tranquillamente il discorso della montagna, non per negare quello che gli altri operano, ma per costruire, nella luce delle beatitudini, uomini nuovi, nazioni nuove, un nuovo mondo. Il cristiano non rinnega che le false grandezze e i falsi valori. Se accetta di « ridiventar fanciullo », tutte le audacie gli cantano in cuore, mentre gli si afferma prepotente il desiderio di riconquistare a Cristo quanto v'è di bello, di buono e d'amabile in un mondo che muore d'orgoglio e di viltà. Il Cristo, verso cui camminiamo per tutte le strade in quest'ora decisiva, è il Cristo della croce e il Cristo della gloria. « Non bisognava ch'egli soffrisse ed entrasse quindi nella sua gloria? » (Lc 24,26).
La passione è un poema d'umiliazione e di potenza. Nessun compromesso, nessuna timidezza, nessun indietreggiare. Le minacce non lo commuovono, le blandizie non lo lusingano: la croce è già accolta nella sua volontà fusa nella volontà del Padre. Colui che col solo suo nome atterrisce la turba capeggiata dal traditore, rifiuta le legioni celesti, il conforto degli apostoli e da solo s'avvia verso il Calvario. L'Agnello c'insegna la fortezza: l'Umiliato ci dà lezione di dignità: il Condannato esalta la giustizia: il Morente conferma la vita: il Crocifisso prepara la gloria.
La nostra testimonianza, oggi, non può essere diversa. Se ognuno che crede nel Risorto, gli tenesse fede davanti al mondo, che ha perduto il vero senso della forza e della gloria, con volto fermo e audace, nessuno oserebbe riparlare del vangelo come di una religione servile.
« Come volete che si convertano e tornino a credere, quando vedono cos'è la nostra fedeltà? Come hanno ragione di spregiarci, quando ci vedono così deboli e tremanti! Di noi essi non conoscono che facce rivolte a terra, e ginocchia prone e schiene ricurve, nuche ricurve e  tremanti » (Péguy). La cristianità dev'essere in piedi, a fronte alta e scoperta, e la luce del Risorto sarà nel suo volto e nei suoi propositi.
don Primo Mazzolari
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