Figlio di emigranti piemontesi, quattro fratelli, Bergoglio è nato a Buenos Aires il 17 dicembre del 1936. A 22 anni la svolta religiosa: entra nel noviziato dei gesuiti a di Villa Devoto, si laurea in filosofia e pochi giorni prima del suo trentatreesimo compleanno, nel 1969, viene ordinato sacerdote.
Gesuita, figlio di emigranti piemontesi era arcivescovo di Buenos Aires
Da stasera per il nuovo Pontefice Jorge Mario Bergoglio sarà difficile soprattutto lasciare la sua diocesi di elezione Buenos Aires quella che lui ama chiamare l’«Esposa» retta per quasi 15 anni e vivere tra le mura della città leonina. Un distacco che significherà per il Papa italo-argentino lasciare i luoghi a lui più cari i preti e i poveri dei barrios di Buenos Aires visitati tante volte e raggiunti a bordo di un autobus o in metropolitana e proseguire lungo il cammino tracciato dal suo predecessore Benedetto XVI. Famoso per la sua austerità e per la sua reticenza a concedere interviste proprio nei giorni che hanno preceduto il conclave Bergoglio, – come aveva evidenziato il quotidiano di Bueonos Aires Clarin aveva sottolineato del suo predecessore «il coraggio di spazzare la sporcizia dentro la Chiesa». E proprio su questo fronte il nuovo Pontefice oltre a portare la ventata di novità del primo latino-americano sul Soglio di Pietro metterà al centro le stesse preoccupazioni e la medesima tensione pastorale che hanno animato e contraddistinto lo stile di Joseph Ratzinger. Figlio di emigranti piemontesi, quattro fratelli, Bergoglio è nato a Buenos Aires il 17 dicembre del 1936. Il padre Mario era un funzionario delle ferrovie, la madre, Regina Sivori, una casalinga con sangue piemontese e genovese. Jorge viene descritto come un ragazzo semplice e schivo, studia da perito chimico, ha un lavoro e una fidanzata. A 22 anni la svolta religiosa: l’11 marzo del 1956 entra nel noviziato dei gesuiti a di Villa Devoto, si laurea in filosofia al Collegio Massimo San José de San Miguel e pochi giorni prima del suo trentatreesimo compleanno, nel 1969, viene ordinato sacerdote. Nel 1973 viene eletto provinciale della Compagnia di Gesù, un incarico che eserciterà per sei anni. Si tratta di un periodo molto turbolento per l’Argentina che sprofonda nel vortice della repressione e della violenza. Ed anche per la Chiesa, tentata dall’opzione rivoluzionaria, sono anni di grandi convulsioni e di drammatiche spaccature. Il giovane provinciale dei gesuiti si mostrò aperto al dialogo ma fermo nelle sue decisioni. «Se non ci fosse stato Bergoglio a capo della congregazione, le difficoltà sarebbero state molto più grandi» ha dichiarato, alcuni anni fa al quotidiano La Nacion l’ex ministro per il culto Angel Miguel Centeno. Nel 1979 padre Bergoglio partecipa al vertice della Celam (Consiglio episcopale latino-americano) Puebla ed è fra coloro che si oppongono decisamente alla teologia della liberazione, sostenendo la necessità che il continente latino-americano faccia i conti con la propria tradizione culturale e religiosa. È la caratteristica fondamentale di Bergoglio: grande attenzione ai poveri ed agli emarginati insieme con una rigorosa ortodossia dottrinale. A quei tempi non era facile sostenere una simile posizione in America Latina. L’ex provinciale gesuita si ritira nello studio. Viene nominato rettore del Collegio Massimo e delle facoltà di filosofia e teologia. Poi va in Germania a completare il proprio dottorato. Tornato in Argentina sente forte il richiamo per l’attività pastorale che eserciterà in una parrocchia di Cordoba. Nel 1992 il cardinale Antonio Quarracino, primate d’Argentina, lo vuole al suo fianco come vescovo ausiliare e poi coadiutore. E dopo la sua morte, avvenuta nel 1998, Bergoglio diventa arcivescovo di Buenos Aires. Nel 2001 viene creato cardinale da Giovanni Paolo II. Per sei anni (due mandati) ha guidato la conferenza episcopale argentina (2005-2011). Solo il 22 febbraio scorso Benedetto XVI lo aveva nominato il cardinale argentino membro della Pontificia Commissione per l’America Latina. Bergoglio fin dall’inizio del suo ministero episcopale ha scelto uno stile di vita semplice ed austero, quasi monacale. Abita in un piccolo appartamento, va in giro con la tonaca nera come un semplice prete e usa sempre autobus e metrò. È abituato ad alzarsi alle 4 e 30 di mattina, e dopo la messa e le preghiere si dedica a rispondere personalmente alle lettere dei suoi fedeli. Di lui dicono che «parla poco ma sa ascoltare molto». Autore di vari libri che trattano soprattutto di pastorale sociale, ha una grande capacità d’improvvisare discorsi ed omelie, cogliendo d’istinto gli umori di chi gli sta intorno. Uomo di grande cultura è un appassionato lettore di Borges e Dostojevski, Dante e Manzoni ama la musica classica ed il tango. Senza dimenticare la sua passione per la poesia di Hölderline le note di Beethoven. Tra i suoi film preferiti lo ha confessato lui stesso, alcuni anni fa c’è Il Pranzo di Babette. (Della figura di Bergoglio rimase affascinato lo stesso Roberto Benigni durante una sua visita in Argentina nel 2009 ndr.) Amatissimo nel suo Paese in un libro-intervista autobiografico, divenuto un bestseller uscito nel 2010 Il Gesuita scritto da Francesca Ambrogetti e Sergio Rubin il futuro Papa aveva spiegato le sfide che attendevano la Chiesa moderna:«L’opzione fondamentale è scendere per le strade e cercare la gente: questa è la nostra missione. Il rischio che corriamo oggi è quella di una Chiesa autoreferenziale: simile al caso di molte persone che diventano persone paranoiche e autistiche, capaci di parlare solo a loro stesse». E, da buon sudamericano, stravede per il calcio tifando per la squadra del San Lorenzo di Almagro da cui ha avuto in regalo una maglietta con gli autografi dei giocatori. Aperto al contatto con la gente, in tutti questi anni Jorge Bergoglio ha conquistato la stima e l’affetto dei porteni, soprattutto dei più poveri che se lo ritrovano particolarmente vicino quando, a partire dal 2001, l’Argentina precipita nella catastrofe economica. Ha saputo ridare credibilità e prestigio sociale alla Chiesa, mantenendo una distanza critica nei confronti del potere politico di qualsiasi colore. Qualche anno fa in Vaticano pensarono di affidargli un importante dicastero. Ma lui si schermì: «Per carità, se mi chiudete in Curia io muoio». Eletto ora 265 successore di San Pietro porterà tra le mura dei Sacri Palazzi il suo stile di vescovo e di predicatore capace, come aveva già annunciato solo nei giorni scorsi durante le congregazioni generali del pre-conclave, di guardare a una Chiesa che si fa prossima alle persone là dove esse vivono portando ovunque «l’annuncio gioioso dell’amore e della misericordia di Dio».
Luigi Geninazzi, Filippo Rizzi
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