Il tema della comunità cristiana come soggetto di progetti etici è uno dei più complessi e difficili nell'attuale momento storico, soprattutto in Italia...
del 13 ottobre 2005
Il tema della comunità cristiana come soggetto di progetti etici è uno dei più complessi e difficili nell'attuale momento storico, soprattutto in Italia. C'è infatti, da un lato, l'eredità di un passato recente in cui la comunità cristiana, più che soggetto di progetti, è stata più o meno fedele esecutrice di indicazioni provenienti dall'alto. Verso questo nostro passato recente occorre anche essere giusti, non sentenziando sempre col senno di poi, ma cercando di capire le ragioni storiche che motivarono quelle indicazioni e quel determinato comportamento ecclesiale.
Riferendosi al modello di presenza della chiesa in Italia negli anni '50, B. Sorge, nel convegno per il 90° della Rerum Novarum (Roma 28-31 ottobre 1981) faceva osservare: «... Non è più proponibile il modello degli anni '50. Il 'blocco cattolico', nato dall'appoggio della chiesa alla DC e dal rigido collateralismo delle organizzazioni cattoliche intorno a questo partito, va visto e spiegato nel suo particolare contesto storico, cioè in quella situazione eccezionale di 'supplenza' alla quale la chiesa non si poteva sottrarre, dopo vent'anni di dittatura e di fronte a gravissimi pericoli interni ed esterni incombenti su un popolo al quale il fascismo aveva impedito di formarsi una coscienza democratica» (cit. da «Civiltà Cattolica)) del 7 nov. 1981, p. 240).
 
 
 
I RIFLESSI DELLA CRISI CULTURALE
IN CAMPO ECCLESIALE
 
La situazione odierna è complessa, d'altro lato, per il fatto che il nostro paese sta attraversando una crisi profonda che non è solo o principalmente di natura politica in senso stretto (programmazione, potere, partiti), ma è soprattutto di natura etico-sociale-culturale. Si tratta cioè di un disorientamento riguardante i valori, i progetti di uomo e di società, le coscienze, la qualità della vita. Non per nulla si parla da più parti di «questione morale n quasi a voler sottolineare che la crisi che percorre la società italiana è in primo luogo di natura culturale e morale.
Le istanze etiche, che gran parte della popolazione ancora riesce ad avvertire, rendono intollerabile la corruzione dilagante che diventa tanto più inquietante allorché si vedono talora in essa coinvolte delle persone che pretendono di ispirarsi in qualche maniera al nome cristiano.
Gli spazi etici rimasti vuoti sono talora riempiti da proposte stravaganti, come ad esempio l'iniziativa dei radicali circa l'aborto che ha portato al recente referendum sulla legge 194. E' stato acutamente fatto osservare che in questa nostra società «il socialista assomiglia al liberale, il contadino al cittadino, il credente al laicista. Le varie 'patrie' di appartenenza non precondizionano una sensibilità dei loro adepti: 'gli italiani si assomigliano sempre più, sul piano dei valori'. Si sta affermando una 'coiné', un dialetto comune, un passe-par-tout etico, che diventa la fisionomia standard del nostro contemporaneo» (E. Franchini - G. Villani, 11 catechismo degli adulti. Dieci anni di ricerca per un itinerario di fede, EDB, Bologna 1981, p. 55).
 
 Due rischi: il proliferare di sette e l'estendersi del soggettivismo
 
Che cosa può fare la comunità cristiana in questa situazione così complessa?
Innanzitutto mi pare di dover osservare che non ci sono soluzioni miracolistiche a breve termine di scadenza perché la comunità cristiana ha bisogno di ridefinirsi sia al suo interno, sia nei suoi rapporti con la realtà socioculturale in rapido mutamento
E tuttavia le difficoltà incombenti non possono diventare un motivo per incrociare le braccia e arrendersi, rinunciando alla proposta di progetti etici.
Se ciò dovesse succedere, dovremmo assistere, in misura maggiore di quanto già accada, al proliferare di sette e di movimenti di varia natura che hanno molta presa, soprattutto nel mondo giovanile, a causa della loro proposta netta e precisa. Un attento osservatore del fenomeno faceva recentemente osservare che molti giovani «sono più o meno confusamente alla ricerca di vita comunitaria, di esperienze mistiche 'calde', di ragioni per vivere, di ideali mobilitanti, e anche di maestri di pensiero. Essi sono tanto più vulnerabili per il fatto che attraversano un periodo di rottura-solitudine rispetto all'ambiente circostante» (J. Vernette, Le foisonnement des sectes. Question posée à la pastorale, in «Nouvelle Revue Théologique» n. 5/1981, p. 651).
Oppure, nel caso che la comunità cristiana continui a non proporre dei progetti etici criticamente vagliati e rispondenti alle attese, potrebbe ulteriormente incrementarsi il soggettivismo delle coscienze costrette a risolvere da sé problemi più grandi di loro.
 
 
 
PERCHE' LA COMUNITA' ECCLESIALE
E' SOGGETTO ETICO
 
Va fatto osservare che la comunità cristiana è abilitata a proporre dei progetti etici sia perché possiede la Scrittura divina e una secolare tradizione interpretativa di essa, sia perché è dotata dello Spirito Santo destinato a suggerirle ogni cosa affinché il progetto etico di Cristo non resti lettera morta o fardello archeologico, ma parola viva per l'oggi della comunità stessa. Su quest'ultimo aspetto insiste giustamente il Catechismo degli adulti.
Mi sembra poi aberrante cercare delle soluzioni in una affermata autonomia dell'etica, rispetto alla fede. Ciò equivarrebbe ad incamminarsi sulla strada del relativismo morale nel migliore dei casi, oppure del razionalismo illuministico nel peggiore dei casi. Sia Cristo che gli Apostoli, annunciando l'evangelo del regno, hanno sempre indicato le conseguenze etiche che tale annuncio comportava, al punto che il messaggio cristiano poté essere talora erroneamente inteso come un messaggio esclusivamente etico. Bisogna invece rivendicare la «specificità» dell'etica cristiana in quanto etica derivante dalla fede, in quanto etica che sgorga dalla lieta novella di ciò che Dio ha operato nell'uomo facendone una nuova creatura, un'etica che si potrebbe formulare così: «sei diventato, in Cristo, figlio di Dio. Vivi di conseguenza».
giustamente uno dei più affermati teologi moralisti ha scritto recentemente: «L'etica cristiana è l'intelligenza della vita umana in quanto è partecipe della stessa vita trinitaria». «La norma morale fondamentale è una sola: la parola, la vita e la morte di Gesù. E' questa la matrice su cui ogni credente deve continuamente misurarsi» (C. Caffarra, Viventi in Cristo, Jaca Book, Milano 1981, pp. 43 e 71).
Sicuramente, e la cosa dovrebbe oramai essere da tempo acquisita, non è possibile «dedurre» immediatamente dalla fede cristiana dei concreti progetti storici etico-sociali-politici.
La fede non è una specie di ricettario contenente la soluzione anticipata delle innumerevoli concrete situazioni storiche. La fede cristiana propone dei valori, degli ideali, degli orizzonti e degli orientamenti di fondo che occorre poi incarnare storicamente servendosi di mediazioni. Se l'orizzonte della fede coi suoi valori ha un senso assoluto, non altrettanto si potrà dire delle concrete traduzioni storiche che derivano sempre dalla coniugazione di una componente assoluta (valori e norme dettate dalla fede), e di una componente contingente (la situazione storica irripetibile). In altre parole: se l'etica non è «una variabile indipendente della fede» (così F. Bolgiani nella risposta a F. Rodano su «Il Regno» del 15 sett. 1981, p. 38), per cui bisogna rivendicare lo strettissimo collegamento fra etica e fede, bisogna nondimeno riconoscere che ogni concreto progetto storico che si ispira all'etica cristiana porta con sé degli elementi contingenti, i quali saranno tanto più numerosi quanto più dettagliato e storicamente aderente sarà il progetto storico.
 
 
 
A QUALI CONDIZIONI LA COMUNITA' E' LUOGO
DI RIFERIMENTO MORALE
 
Fatte queste precisazioni, che da un lato intendono rivendicare il nesso fede-etica, e d'altro lato vogliono prevenire ogni soluzione integrista, quale potrebbe essere l'attribuzione ad un determinato progetto storico elaborato da cristiani l'assolutezza che spetta soltanto alla fede, possiamo domandarci: che cosa vuol dire che la comunità cristiana è un soggetto etico, un luogo di riferimento morale, un ambito umano in cui si vive e si crea morale?
 
 
Primo: la comunità sia una comunità
 
Ci si potrebbe aspettare, probabilmente, quale risposta alla domanda, l'elencazione di tutte le cose che la comunità cristiana fa o deve fare onde cogliere la rilevanza etica della sua fede. Ritengo invece di dover affermare che la risposta sta principalmente nell'essere stesso della comunità cristiana. Bisogna cioè, che innanzitutto ci sia la comunità, e che essa sia autenticamente e profondamente cristiana nel suo essere stesso. Dire comunità cristiana equivale a dire comunità generata dalla Parola di Cristo, nutrita dai suoi sacramenti, consapevole della sua tradizione e della sua missione, ricca di ministeri e di carismi tra i quali non deve mancare mai il ministero di coloro che succedono agli apostoli, una comunità in stato di conversione e di servizio, che vive al suo interno la condivisione e la sollecitudine di Cristo per gli ultimi, una comunità che annuncia Cristo morto e risorto come significato definitivo dell'esistenza e della storia umana, e lo testimonia con la vita, una comunità che sa dov'è riposta la propria speranza, ecc. Sono tutte cose note e arcinote, a livello teorico, si intende. Ma dev'essere così anche di fatto.
Ma dove stanno effettivamente oggi tali comunità che potrebbero essere additate come esemplari, così come succedeva per la primitiva comunità cristiana, la cui esistenza stessa era un progetto etico alternativo? Il successo che stanno godendo in Italia i movimenti non sarà forse, tra le altre cose, anche l'indice di un'assenza diffusa di comunità locali aggreganti attorno ai loro pastori? E la crisi vocazionale riguardante certe forme di vita religiosa non ha proprio nulla da dire sulla qualità cristiana di certe comunità e congregazioni religiose? L'aggregazione attorno a leaders carismatici non determina forse un'emorragia di energie vive che abbandonano le comunità locali, il territorio, per cercare altrove ciò che non si trova (o pensano di non trovare) là dove si trova la propria chiesa locale?
Per essere un soggetto etico, la comunità cristiana deve prima di tutto esistere di fatto localmente come comunità cristianamente qualificata. Se essa esiste in questa forma, sarà necessariamente un soggetto etico, e un punto di riferimento, perché, come abbiamo sopra osservato, l'etica scaturisce dalla fede come sua necessaria traduzione in forme di vita corrispondenti al nuovo essere: sei diventato figlio di Dio, fratello di Gesù Cristo, tempio dello Spirito Santo, membro della Chiesa! Vivi di conseguenza!
 
 
Il cristiano nel mondo: incarnazione e distacco
 
Inserendosi nella trama ordinaria dell'esistenza, il cristiano porta un nuovo progetto etico. E' quanto ci dice un antichissimo documento cristiano. Mi pare significativo che recentemente sia il Card. M. Pellegrino (Il Regno del 15 ott. 1981, pp. 428 ss), sia il prof. R. Coste (Rassegna di teologia, nn. 12 del 1980, pp. 3637 e 125132) abbiano segnalato tale documento, la Lettera a Diogneto (c. 200 d.C.) come fonte di indicazioni per i compiti della comunità ecclesiale in un mondo secolarizzato. Scrive la Lettera a Diogneto: «I cristiani non si distinguono dagli altri uomini né per territorio, né per lingua, né per costumi. Non abitano città proprie, né usano un gergo particolare, né conducono uno speciale genere di vita. La loro dottrina non è la scoperta del pensiero e della ricerca di qualche genio umano, né aderiscono a correnti filosofiche, come fanno gli altri.
Ma pur vivendo in città greche o barbare-- come a ciascuno è toccato--e uniformandosi alle abitudini del luogo nel vestito, nel vitto e in tutto il resto, danno l'esempio di una vita sociale mirabile, o meglio--come dicono tutti --paradossale.
Abitano nella propria patria, ma come pellegrini; partecipano alla vita pubblica come cittadini, ma da tutto sono staccati come stranieri; ogni nazione è la loro patria, e ogni patria è una nazione straniera.
Si sposano come tutti e generano figli, ma non espongono i loro nati. Hanno in comune la mensa, ma non il letto.
Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Dimorano sulla terra, ma sono cittadini del cielo .Obbediscono alle leggi vigenti, ma con la loro vita superano le leggi.
Amano tutti, e da tutti sono perseguitati. Non sono conosciuti e sono condannati. Vengono uccisi, ma essi ne attingono la vita. Sono poveri e arricchiscono molti; sono privi di tutto, e in tutto abbondano. Sono disprezzati, e nel disprezzo trovano gloria... Fanno del bene, e vengono condannati a morte; ma, condannati, gioiscono come se si donasse loro la vita...
Per dire tutto in breve: i cristiani sono nel mondo ciò che l'anima è nel corpo. L'anima è diffusa in tutte le membra; e i cristiani abitano in tutte le città della terra. L'anima, pur abitando nel corpo, non è del corpo; e i cristiani, pur abitando nel mondo, non sono del mondo».
(Lettera a Diogneto, capp. 5-6 con tagli, da I Padri apostolici. Traduzione introduzione e note di G. Corti, Città Nuova, Roma 1966, pp. 364366).
Mi pare si possa dire così: se e nella misura in cui la comunità cristiana vivrà l'evangelo nella sua purezza, essa sarà sale della terra e luce del mondo, e cioè punto di riferimento anche etico per gli uomini. Non si può elaborare nessun progetto etico se mancano la fede, la speranza e la carità, e una vita guidata da queste virtù teologali. E ciò vale per il singolo come per la comunità.
Le accuse che piovono oggi da più parti sui cristiani e sulle comunità cristiane non sono le accuse che si scatenavano un tempo contro la chiesa dei martiri per il suo insopportabile vigore profetico! Esse sono piuttosto la denuncia del fatto che la comunità cristiana è tale solo di nome, o poco più.
 
 
La credibilità della Chiesa si gioca nella risposta alla ricerca di qualità della vita
 
L'avvio alla soluzione della crisi presente di credibilità delle comunità cristiane sul piano etico consiste nell'approfondimento e nella riappropriazione, in termini aggiornati ma non adulterati, della propria ricca tradizione di fede e di etica.
Leggo nel già citato commento al Catechismo degli adulti: «Tutte le grandi agenzie ideologiche (partiti, sindacati, scuola, aggregazioni culturali varie, perfino la classe sociale) sono... in crisi perché non sembrano in grado di dare motivi validi per vivere oggi... Perché dei giovani possono avere tanta ansia di confronto? Fossimo stati alla fine degli anni '60, era fatale che dovessero chiedere di questioni politiche. Alla fine degli anni '70 avrebbero chiesto piuttosto di loro angosce esistenziali private. Ma oggi, essi 'naturalmente' non potrebbero che interrogare sul problema del sociale, cioè su quell'ambito di bisogni che costituiscono i grandi problemi di una convivenza umana: felicità, convivialità, lavoro e tempo libero, cultura, salute, disponibilità per ogni iniziativa del singolo, riappropriazione della propria autonomia, religione; ma anche sessualità, famiglia, educazione, casa, ecc.» (E. Franchini - G. Villani, o.c., p. 54).
E' la domanda sulla qualità della vita che emerge con prepotenza. Ed è proprio a questa domanda che la comunità cristiana è abilitata a rispondere in base alla propria fede e alla propria speranza, generatrici di un modo di vivere etico.
Ma proprio qui, occorre constatarlo, non ci siamo. Continuano gli autori sopra citati: «Anche l'opera educativa della Chiesa, anche la proposta di vita quale risuona abitualmente dai nostri pulpiti, è schiettamente in degrado... Per cui il problema centrale della chiesa è proprio questo: rieducare la coscienza operativa; portare l'ortodossia a diventare modello alternativo a quello invalso, tanto da rianimare il tessuto sociale in decadimento» (E. Franchini - G. Villani, o.c., p. 55).
 
 
Ricupero della identità «religiosa» della Chiesa e nuova presenza socioculturale
 
Molto significativa è al riguardo la scelta fatta dai pastori della chiesa italiana negli anni '70 allorché si dirigono verso la scelta «religiosa», e indicano come elemento qualificante di tale scelta la priorità dell'evangelizzazione. Solo qualificandosi a questo livello le comunità cristiane saranno in grado di attivare una nuova presenza sociale nel contesto storico del nostro paese.
Volendo precisare meglio le forme di questa presenza che, per essere attuate, devono ricorrere a non poche mediazioni culturali, mi pare si possa ribadire quanto disse recentemente il p. Sorge nel suo già citato intervento per il 90O della Rerum Novarum: «Negli anni '80... assisteremo, in primo luogo alla prosecuzione di un progressivo distacco della Chiesa dalla politica in senso stretto e a un'iniziativa sempre più viva e incisiva sul piano prepolitico (sociale, culturale); in secondo luogo la Chiesa italiana si impegnerà sempre di più nella proposta positiva di valori e nella elaborazione di un nuovo progetto d'uomo, in dialogo con tutte le realtà che in Italia operano lealmente alla costruzione della nuova società» (B. Sorge, o.c., pp. 240 s).
Sarebbe interessante leggere la relazione del p. Sorge, specialmente nella seconda parte, dove si insiste sul rinnnovato impegno socioculturale derivante dalla scelta religiosa. P. Sorge indica, a mo' di esempio, alcune vie concrete di impegno per una nuova qualità della vita. Le trascrivo non perché sono esaustive, ma perché stimolatrici, e perché eventualmente concretizzabili in maniera ancor più dettagliata nelle singole comunità cristiane: le forze di tutti nel rifiuto di ciò che va contro l'uomo e ne distrugge la vita (aborto, eutanasia, guerra e ogni forma di violenza) convincere la gente sulla necessità dell'austerità e della razionalità nell'uso dei beni, affinché possiamo lottare efficacemente contro la fame nel mondo, contro le sperequazioni nord-sud, contro tutto ciò che minaccia la vita, dalla droga alla corsa agli armamenti; soprattutto impegnarsi perché il progresso materiale sia sempre commisurato a quello morale e spirituale dell'uomo e della storia.
 
 
La comunità luogo di confronto interdisciplinare
e di ricerca di nuove mediazioni culturali
 
Ma allora la comunità cristiana deve farsi luogo di confronto. Vivendo intensamente la propria identità etica suggerita dal Vangelo e dalla secolare tradizione, bisognerà domandarsi assieme: cosa vuol dire oggi, ad esempio, non rubare? essere casti? essere accoglienti della vita? vivere il matrimonio? formare una famiglia?... Nella comunità non dovrebbe mai mancare la guida dei pastori e un centro di confronto culturale specializzato (a livello diocesano) dove gli specialisti in scienze umane e in scienze teologico-morali siano in grado di recepire le istanze e di dare delle indicazioni appropriate. Non basta confrontarsi sul modo di condurre la liturgia rendendola più viva, non basta aggiornare l'organizzazione rendendola più efficiente, non basta neppure istituire nuovi ministeri. E neppure è sufficiente moltiplicare i catechisti. Bisogna interrogarsi sui contenuti etici da trasmettere, mediando tra le esigenze assolute dei principi e la situazione storica contemporanea. Qui si aprono alla comunità cristiana dei compiti e delle chances che in altri tempi non sarebbero neppure state immaginabili. Ma chi porrà mano a questi compiti in un mondo attento soprattutto all'efficienza della prassi, ma disattento a tutto ciò che suona in termini di mediazione culturale?
 
  Articolo tratto da: NOTE DI PASTORALE GIOVANILE. Proposte per la maturazione umana e cristiana dei ragazzi e dei giovani, a cura del Centro Salesiano Pastorale Giovanile - Roma.
 
 
 
Franco Ardusso
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