MORIRE DI MARZAPANE. Lottare (e anche vincere) contro la sessuomania perché valiamo di più del corpo, “frate asino”. Siamo a tal punto inondati da donne poco vestite, che spesso non si provano più neppure sensazioni forti, nel vederle. Specie in estate, è tutta una mostra di carne, di parti più o meno intime...
del 24 luglio 2006
Ognuno affronta il tema della concupiscenza, credo, secondo il modo in cui la conosce e la sperimenta in se stesso. Ma dopo il peccato originale, dopo la rottura dell’armonia primigenia tra appetiti sensitivi e appetiti razionali, siamo tutti esseri concupiscenti, che desiderano, spesso più per istinto della carne che per conoscenza dello spirito. All’uomo infatti non basta conoscere il bene, per farlo e desiderarlo, checché ne dicano Socrate e i razionalisti di ogni tempo. “Veggio il meglio, ma al peggior m’appiglio”: lo scriveva Francesco Petrarca, riprendendo Orazio e san Paolo, ripensando alla sua storia personale, alla sua brama di onori, di gloria, di successo, e al suo amore, troppo carnale, per Laura. “E del vaneggiar vergogna è il frutto, e il pentersi, e il conoscer chiaramente che quanto piace al mondo è breve sogno”: la brama dei frutti terrestri, per quanto forte, accidiosa o irascibile sia, finisce sempre lì, nel constatare il carattere effimero di ogni bene puramente mondano. Sfocia nella delusione, perché ci si accorge che l’infinito cercato non sta, così semplicemente, nel finito afferrabile.
Eppure, in queste brame, cadono eroi pagani, come i compagni di Ulisse, trasformati da Circe in maiali, ma anche uomini forti, cristiani sinceri, come il Rinaldo di Torquato Tasso, e Tasso stesso, che fa dire a un pappagallo variopinto, riedizione della lussuriosa lonza dantesca: “Così trapassa al trapassar d’un giorno/ de la vita mortale il fiore e ’l verde/…/ Cogliam la rosa in su ’l mattino adorno/ di questo dì che tosto il seren perde;/ cogliam d’amor la rosa: amiamo or quando/ esser si puote riamato amando”. Cogliere la rosa del giardino è un po’ come cogliere la mela nell’Eden: è affermare il valore assoluto del giardino e dei suoi fiori, di tutto ciò che è terrestre, pur avendo compreso chiaramente la brevità della vita mortale. Nella nostra letteratura, questo atteggiamento concupiscente è sempre una Caduta, o meglio una ricaduta, come conseguenza della prima sconfitta, e della prima disobbedienza. Solo con Giambattista Marino, e col suo Adone che vive felice nel giardino dei sensi di Venere, quest’idea religiosa perde la sua importanza. Adone è uomo concupiscente, ma senza più alcuna drammaticità, senza alcuna forza, senza alcuna grandezza. Per questo non è un eroe anti-cristiano, quanto un personaggio per nulla cristiano, e per nulla vero.
La storia cristiana infatti è cosparsa di uomini vigorosamente concupiscenti: nella stessa genealogia di Gesù, come ha notato qualcuno, vi sono personaggi moralmente piuttosto deprecabili. Del resto l’elenco degli uomini concupiscenti, che hanno fatto grande la cristianità, è lunghissimo: da Costantino a Carlo Magno, a sant’Agostino, da Dante a Gilles de Rais, l’amico della Vergine di Orleans, attratto a un tempo dalla santità e dalla perversione più totale, passando per i vari Boccaccio, con la sua decisione di concludere la vita in di Francesco Agnoli un convento, Huysmans, Oscar Wilde e i tanti altri uomini che hanno provato l’imbestialimento dei sensi, che si sono arrotolati nella loro concupiscenza, sino a rigettarla. Persino nei Fioretti di san Francesco, di questo uomo tutto purezza e povertà in spirito, la tentazione della carne si fa viva e terribile: e il santo si butta nei rovi, per placarne i bollori, e i rovi divengono rose. Oppure si immerge nell’acqua gelida, perché è più facile sopportare il freddo del corpo, che vincere il fuoco della concupiscenza. Anche i padri del deserto, quelli che fuggivano il mondo, non fuggono dalla propria bramosia, che li scova dovunque vadano: non che desiderino una moglie, una famiglia, semplicemente sognano la carne di donne bellissime, compiacenti, e combattono dentro di loro il fuoco del desiderio, memori che la vita dell’uomo sulla terra è una milizia…
L’uomo moderno fa fatica a capire questi personaggi, che si cibano di locuste, che vivono di ascesi, che rifuggono qualsiasi ingannevole riedizione dell’Eden, qualsiasi giardino di rose fugaci, e che combattono per conservare la propria libertà, la propria libera scelta razionale, la scelta della verginità. Fa fatica perché vive ogni giorno nel giardino di Circe e di Armida: “frate asino”, come Francesco chiamava il corpo, tiranneggia e insegna anche all’anima a ragliare. Il diletto dei sensi è infatti il nostro corto orizzonte. Stare comodi, in tutto, avere l’ultimo modello di cellulare, l’ultimo servosterzo, che riduca a zero la fatica, il condizionatore e il ventilatore per non sudare; persino inginocchiarsi, se proprio si deve, in chiesa, con il morbido cuscino che attutisca la durezza del legno… In ogni minima cosa siamo così attenti al nostro corpo, a ogni suo segnale, che ne siamo divenuti schiavi: vi sono coppie che litigano, sino magari a lasciarsi, perché vogliono fare le vacanze in posti diversi, perché vogliono accessori diversi, macchine diverse, comfort diversi… Vogliono, vogliono, vogliono… E magari nessuno sa fare un passo indietro, dirsi di no, perché non lo ha mai fatto prima…
La concupiscenza è così attaccata alla nostra pelle, che a fatica ci sappiamo staccare dalle brame più piccole, anche da quelle che farebbero ridere un bambino, un po’ ben educato. Una volta usavano i fioretti, piccoli sacrifici volontari, i digiuni del venerdì e della Quaresima: tante piccole attenzioni, per riaffermare a se stessi la superiorità degli appetiti razionali su quelli istintivi, la superiorità dello spirito sulla carne, la libertà dell’io da tutti gli oscuri richiami della materia. “Si mangia tutto, non si lascia niente nel piatto”: sono le parole dei nostri nonni, secondo un antico modo di educare alla comprensione dei beni materiali, che oggi però non sono più ammissibili. Perché siamo nell’epoca in cui l’uomo vive al servizio delle sue brame senza neppure rendersene conto. A scuola, sino a pochi anni fa, si veniva con la propria merendina, un panino, o una mela, da mangiare durante la ricreazione: ora i ragazzi si portano gli euro, in abbondanza, e alle macchinette attingono dolci, patatine, biscotti, a ogni ora, e tengono la bottiglietta di Fanta o di Coca- Cola sempre sul banco. Li abbiamo lasciati crescere come bestioline: quando hanno un bisogno fisico, mangiare, bere, alzarsi, devono subito soddisfarlo, immediatamente, altrimenti entrano in panico. Si dice spesso che oggi i giovani sono più vivaci di un tempo, e che non sanno stare seduti. La realtà è l’inverso: molto meno vivaci, perché troppo sazi di tutto, ma se il loro corpo vuole, non c’è nulla, dentro di loro, che sappia governarlo.
Ecco quello che la Chiesa chiama schiavitù della cupidigia, perdita della propria libertà, della capacità di emergere al di sopra della nostra meschinità e dei nostri desideri, anche dei più violenti. Un tempo la concupiscenza, quella che influisce sulla sfera razionale dell’intelletto e della volontà, dominandoli, era condannata, addirittura, con un comandamento: “Non desiderare la donna d’altri”. Oggi, alla concupiscenza naturale, si aggiunge quella indotta dalla televisione, dai giornali, dalla moda imperante: e la donna d’altri è presentata a tutti come un bene usufruibile, in qualche modo, chi più, chi meno. Siamo a tal punto inondati da donne poco vestite, che spesso non si provano più neppure sensazioni forti, nel vederle. Specie in estate, è tutta una mostra di carne, di parti più o meno intime, al punto che alla sera, o sopravviene il desiderio di farsi frate, di andare a vivere nel deserto, oppure viene da dire, alla propria moglie: “Per oggi basta, sono sazio così”. Come avviene in Inghilterra, dove si ricorre alla fecondazione artificiale, spesso, perché non si ha più il tempo, o la voglia, di avere rapporti con la persona amata.
La concupiscenza, infatti, come ogni cosa, per esistere, per compiere la funzione che le è propria, va dosata: altrimenti si arrotola su se stessa, si avvinghia, ma poi svilisce, perde vigore, viene meno. Come giustificare, diversamente, la crescita continua, nella nostra società, dei disturbi sessuali, dell’impotenza, dell’anorgasmia, o dell’ansia da prestazione? Come giustificare quei mariti, che alla fine di un rapporto, chiedono alla moglie come è andata, che voto meritano? O quei ragazzi, ancora molto giovani, che si fanno di coca perché il rapporto sessuale, sperimentato e bruciato già troppo presto, diviene una prestazione, difficile e impegnativa, per dimostrare qualcosa a se stessi?
Oggi una persona esce per strada e assiste alla “democrazia delle pance al vento”: per partecipare basta un ventre, di qualsiasi dimensione, un paio di pantaloni attillati, a vita bassa, e una maglia corta. Non c’è più differenza di volti, di caratteri, di modi di comportarsi: a tutte è assicurato lo sguardo furtivo del passante, che parte dal basso, sale pian piano, e forse arriva, già sazio, al viso. Così divengono tutte terribilmente uguali, a parte la scanalatura del sedere, l’unica sui cui i designer di moda hanno ancora un po’ di gioco, e che ha sostituito quella antica, un po’ più “nobile”, del seno. Anche se sui sederi all’aria, a cui ci siamo ormai abituati molto in fretta, compaiono già dei tatuaggi, che guidano l’occhio, fino a un certo punto: per riaccendere la concupiscenza, che in realtà sta morendo, come morirebbe la fame, in un mondo con case di marzapane.
Dico tutto questo, a costo di apparire come un retrogrado della peggior specie, perché come uomo, cattolico, so benissimo cosa sia la concupiscenza: figlio di famiglia benestante, senza mai una lira in tasca, rubavo di continuo, nei supermercati e nei negozi, e persino in casa, perché i miei vizi dovevo pur pagarmeli, in qualche modo. Ma ricordo anche, con grande gioia, una coscienza viva, e la lotta interiore, senza la quale l’uomo vive una vita statica, già soffocata dal rigor mortis, per eliminare queste mie cattive abitudini. E conosco, come tutti, la concupiscenza della carne, con la quale si lotta, e si perde, molto spesso, per cercar di vivere da fidanzati cattolici, cioè castamente, ogni giorno del fidanzamento. Il fidanzamento casto, infatti, è una delle fatiche chieste dalla Chiesa al cristiano: perché la concupiscenza, in sé neutra, apprenda quale è il suo ruolo, e il suo posto nella gerarchia della vita affettiva, e perché in realtà, come scriveva Gustave Thibon, “gli amanti intenti a cercare l’amore nel piacere non riescono a scoprire l’anima sotto i colpi di scalpello dei loro baci”. “L’amore impuro, infatti, – continuava il filosofo francese – affama l’uomo perché vive di cupidigia, mentre l’amore puro lo nutre perché vive per donarsi”, al punto che libertini e donnaioli, servi del primo, “in fondo sono quelli che godono di meno i segreti dell’animo femminile”.
Per questo e per molto altro, dunque, la Chiesa pone delle regole riguardo al sesso, e non come si dice spesso, perché sia sessuofobica: paradossalmente per il cristiano il rapporto sessuale, nel suo ambito, è così naturale, che considera annullabile un matrimonio non “consumato”, e che ritiene vi sia peccato mortale quando uno dei coniugi si astiene dai rapporti oltre una certa misura. Chi parla di sessuofobia della Chiesa, a mio parere, non ha mai colto la sessuomania dei tempi odierni: quando c’era il cilicio, sicuramente non esistevano i pedofili, né i partiti di pedofili, né i serial killer per motivi sessuali… Non c’era nessuno che tagliava a fette i seni delle donne, come gli innumerevoli mostri di Firenze sparsi per il mondo, e neppure maschi adulti che trovano piacere nel guardare, seviziare, violentare, incatenare e talora uccidere dei bambini con molestie sessuali. Perché la pedofilia non è che un esito estremo della concupiscenza “liberata”, a cui sia stato tolto ogni freno.
Testimonia un cyber-pedofilo: “Per mesi non ho sfiorato mia moglie. Non ci riuscivo. Lentamente il sesso era andato progressivamente spostandosi dalla sfera dei miei interessi primari. Quelle fotografie che scoprivo in rete, i racconti che leggevo, il pensiero fisso, maniacale, di diventare come loro, allontanava sempre più dal vivere il sesso come qualcosa di gioioso, sano, importante per una coppia innamorata”.
La pedofilia, in fondo, è una forma di concupiscenza pura, che svincola il sesso dal suo fine (come avviene anche con la contraccezione), e si impone sull’intelletto e sulla volontà: non questione di mostri, ma di uomini che ad una tentazione, magari persino “umana”, dicono tranquillamente, violentemente di sì, come lo hanno detto mille e mille altre volte, prima.
Francesco Agnoli
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