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La fede e il congiuntivo.

Che cosa indica dal punto di vista della fede il fatto che i miei studenti - un po' come tutti oggi - non usino quasi più il congiuntivo?


La fede e il congiuntivo.

 

È un fatto indubitabile. Anche i giornali ormai lo hanno dichiarato. E ci sono persino associazioni nate per evitare questa sciagura. Il congiuntivo sta scomparendo! Lo so. Abbiamo altro a cui pensare. Ma se la vita è quella cosa che accade mentre siamo indaffarati a pensare ad altro, forse questi piccoli segnali ci vengono a suggerire qualcosa. Soprattutto perché gli avvenimenti linguistici non sono appena spostamenti del modo di comunicare. Segnalano invece mutamenti sul fondo del nostro essere uomini e donne. Perché la lingua è il modo più universale e sorgivo di tradurre e esprimere quello che siamo.

Certo ci sono lingue che non hanno il congiuntivo e funzionano benissimo! Ma quelle, come la nostra, che ce l'hanno mostrano in questa sfumatura come la realtà sia molto meno bianca o nera di quanto pensiamo. I miei studenti su questo, come su molto altro, sono le sentinelle inconsapevoli più evidenti. "Io non credo che Dio esiste" per loro è perfettamente equivalente al più corretto "Io non credo che Dio esista". O anche: "Io penso che Gesù è davvero risorto" è uguale a "Io penso che Gesù sia davvero risorto". Appunto, sembrano sfumature. Ma siccome nel loro modo di parlare e scrivere ormai è normale usare l'indicativo al posto del congiuntivo, mi sono chiesto che senso abbia. E ho ripreso in mano un manuale di grammatica.

Il congiuntivo dice il nostro modo soggettivo di percepire la realtà, riconoscendo che è una nostra percezione e non la realtà in sé. L'indicativo dice invece l'oggettività del dato reale che percepiamo, al di là della nostra percezione soggettiva. Il primo esprime dubbio, speranza, timore, aspettativa, il secondo invece dice la certezza, la verità del fatto, la oggettiva descrizione delle cose così come sono.

 E allora mi sono chiesto: Cosa indica il fatto che i miei studenti non usino quasi più il congiuntivo anche quando parlano di fede? E, tra una supplenza e un consiglio di classe, due idee mi sono venute.

La prima. Il congiuntivo che sparisce anche dal linguaggio di fede indica che i miei studenti tendono a rendere reale la loro percezione soggettiva. "Prof. ma non esiste che qualcuno ama (ci vorrebbe il congiuntivo, ami!) Dio sopra ogni cosa, sopra i figli, sopra sua madre, sopra sua moglie! Non è possibile!" E io ci provo a ribattere: "Ma io non ti chiedo di ammettere che tu sia così, ma solo che la percezione che tu hai della realtà non sia tutta la realtà. Ti chiedo di ammettere che possono esistere persone che amano Dio sopra ogni cosa, anche se tu non le hai mai incontrate. Anche perché non puoi davvero sapere se le hai incontrate, visto che gli eventuali segnali che esse ti hanno lasciato, per te non potevano essere letti come primato di Dio, perché non ammetti, fin dall'inizio, che questo sia possibile".

E ancora: "Prof, io non penso che Gesù è (sia!) esistito davvero. E se i testi li avesse scritti uno apposta per farci credere sta roba?" "E allora - ribatto - perché sei disposto a credere che sia esistito Giulio Cesare? Anche dei suoi testi potremmo dubitare". "Eh no, quelli sono più sicuri, ne parlano tutti i libri, ma di Gesù no". "Ma come no? Ragazzi, il Nuovo Testamento è il testo più citato e meglio conservato che ci sia giunto dall'antichità, almeno nell'area europea. La verità è che su Gesù non siete disposti ad accettare la stessa verità storica che accettate su Giulio Cesare. E decidete che è vera la vostra percezione, in qualsiasi caso". Non hanno più (o ancora) la consapevolezza che la loro percezione sia solo la loro percezione. Un individualismo conoscitivo che porta alla scomparsa del concetto di realtà e ad una fede soggettiva che può contenere qualsiasi cosa.

La seconda. Il congiuntivo che sparisce anche dal linguaggio di fede ci dice che oggi non c'è più percezione della propria soggettività. E che l'unico dato esprimibile è solo l'oggettività della realtà. "Io penso che le cose del vangelo sono (siano!) vere, non ho dubbi!" "Ma come fai ad essere così sicuro? - ribatto". "Beh la Chiesa resta lì da duemila anni, mica possiamo pensare che se è falso, in tutto sto tempo nessuno lo ha (abbia!) mai scoperto". Oppure: "Prof. se fosse falso come spiega i miracoli di Medjugorje? Io penso che è (sia!) impossibile che questi miracoli ci sono (siano!) se non c'è Dio o qualcuno a farli". Un oggettivismo ingenuo che spinge a rendere reale tutto ciò che va per la maggiore o che viene dall'autorità e a costruire una fede "dogmatica" in cui mai si può mettere in discussione il contenuto stabilito.

In entrambi i casi comunque resta impossibile coniugare la fede con i dubbi, le speranza, le aspettative, i timori, mantenendoli come tali, cioè senza occultarli o mistificarli. Ma la nostra fede, quella regalataci da Gesù, mal sopporta questa esclusione, perché non cerca appena consensi mentali pseudo razionali che occultino la nostra ricerca dubbiosa e a tentoni. Ma nemmeno si accontenta di adesioni emotive pronte a seguire ogni prurito di novità che arriva. Vuole mente, cuore e corpo insieme. E per sempre. E questo non si costruisce se non si attraversano dubbio, speranza, timore, aspettativa, assumendoli come luoghi dell'incontro con Dio.

 

Gilberto Borghi

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