Nel “fare” siamo diventati grandi, anzi grandissimi, ma nell'essere, nell'arte dell'esistere le cose stanno diversamente. La fede è l'atto fondamentale dell'esistenza cristiana.
L’esistenza cristiana non è una qualsiasi arte specifica accanto ad altre, bensì semplicemente l’esistenza umana vissuta come si deve, esercitarsi nella fede significa imparare l’arte delle arti, l’esistenza umana: prima del fare c’è il credere, il sapere.
Esiste nella nostra società contemporanea un sistema altamente sviluppato di formazione professionale che ha portato al massimo le possibilità di dominio umano sulle cose. Il potere dell’uomo, nel senso del dominio del mondo, è giunto a proporzioni vertiginose. Nel “fare” siamo diventati grandi, anzi grandissimi, ma nell’essere, nell’arte dell’esistere le cose stanno diversamente. Sappiamo che cosa si può “fare” delle cose e degli uomini, ma di ciò che le cose sono, di ciò che l’uomo è non parliamo neppure più. Ci troviamo nella situazione di uno che si è rotto in più punti le ossa: dobbiamo un po’ alla volta re imparare l’”andare” nella fede. La fede è l’atto fondamentale dell’esistenza cristiana. Nell’atto di fede si esprime la struttura essenziale del cristianesimo, la sua risposta alla domanda come è possibile arrivare alla meta dell’esistenza cristiana. Si danno anche altre risposte. Non tutte le religioni sono “fede”. Il buddismo nella sua forma classica, per esempio, non mira a questo atto di auto trascendenza, di incontro con il Tutt’Altro: Dio che mi parla e mi invita all’amore. Caratteristico per il buddismo è invece un atto di radicale interiorizzazione: non uscire da sé (ex-ire) ma discendere dentro, il che deve condurre alla liberazione dal giogo dell’individualità, dal peso di essere persona umana; al ritorno nell’identità comune di ogni essere. E ciò, in confronto con la nostra esperienza esistenziale di fede, si può definire come non essere, come nulla. L’atto fondamentale dell’esistenza cristiana è l’atto di fede. Ma la fede è un atteggiamento degno di un uomo moderno?
“Credere” ci appare come qualcosa di provvisorio, di transeunte, da cui si vorrebbe propriamente uscire, anche se spesso è inevitabile: nessuno può realmente sapere e dominare con il proprio sapere tutto ciò su cui si fonda la nostra vita in una civiltà tecnica. Moltissime cose – la maggior parte – noi dobbiamo accettarle con fiducia nella “scienza”, tanto più che questa fiducia appare sufficientemente confermata anche per il singolo da un’esperienza comune. Tutti noi usiamo dalla mattina alla sera prodotti della tecnica, i cui fondamenti scientifici ci sono ignoti: la statica del grattacielo chi può calcolarla e accertarsene? Il funzionamento dell’ascensore? Tutto il campo dell’elettricità e dell’elettronica di cui ci serviamo? Oppure (ciò che è ancora più grave) l’affidabilità di una medicina? Si potrebbe continuare. Noi viviamo di una rete di non conoscenze, delle quali ci fidiamo a causa delle esperienze generalmente positive. Noi “crediamo” che tutto ciò sia giusto ed abbiamo con questa “fede” parte al prodotto del sapere di altri.
Ma che specie di fede è questa che pratichiamo di solito inconsapevolmente, che anzi è il fondamento della nostra giornaliera vita comune?
Due opposti aspetti di questa specie di “fede” saltano agli occhi. - Un simile fede è indispensabile per la nostra vita. Ciò vale anzitutto semplicemente perché nulla più funzionerebbe; ognuno dovrebbe cominciare da principio. Ciò vale in profondità anche nel senso che una vita umana diventa impossibile se non si può aver fiducia dell’altro e degli altri, se non ci si può più affidare alla loro esperienza, alla loro conoscenza, a quello che ci viene presentato. Questo è uno dei lati ragionevoli di questa fede, quello positivo. - Essa però è naturalmente è espressione di ignoranza, di non ragionevolezza: sapere sarebbe meglio. I molti possono affidarsi a tutto il meccanismo di un mondo tecnico soltanto perché alcuni hanno studiato un settore particolare e lo conoscono. In questo senso c’è il desiderio di passare, per quanto è possibile, dalla fede al sapere, a un sapere giusto e significativo. Nonostante siamo ancora lontani dalla zona della religione e ci moviamo nello spazio del dominio della vita puramente intramondano, quotidiano, abbiamo però guadagnato intuizioni importanti anche per il fenomeno della fede religiosa.
Nel quadro della “fede di ogni giorno” si devono distinguere due aspetti: - vi appartiene anzitutto il carattere dell’insufficiente, del provvisorio, non totalmente razionalizzato; essa è uno stadio puramente incipiente del sapere, dal quale si cerca di uscire se possibile. - Una simile “fede” è fiducia reciproca, partecipazione comune alla comprensione e al dominio di questo mondo; questo aspetto è in genere essenziale per la formazione della vita umana. Una società senza fiducia non può vivere: l’incredulità è essenzialmente contraria alla natura dell’uomo.
Questa è la “struttura assiologica” della fede naturale: una simile fede è un valore certamente minore rispetto al “sapere”, ma fondamentale per l’esistenza, un valore senza cui nessuna società può sussistere. Tre elementi appartengono a questa fede: - questa fede si riferisce sempre a qualcuno che “sa”, presuppone la reale conoscenza di persone qualificate e degne di fede. - La fiducia dei “molti” che nel quotidiano uso delle cose si basano sulla solidità del sapere che sta dietro. - Una certa verifica del sapere nell’esperienza di ogni giorno. Che la corrente elettrica funzioni correttamente io non posso dimostrarlo scientificamente, ma il quotidiano funzionamento delle mie lampade mi dimostra che io, benché sia uno che non sa, non agisco tuttavia in una “fede” pura, del tutto priva di conferme.
Don Gino Oliosi
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