Gesù è morto pregando, perché è vissuto pregando. La morte per Lui non è la fine di tutto, ma il culmine della sua esistenza orante ed obbediente al disegno del Padre. Per questo la sua Passione, dall'inizio alla fine, è tutta intrisa di preghiera.
“Quando venne l’ora, Gesù prese posto a tavola, e gli apostoli con lui, e disse loro: ‘Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, perché io vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio’.(…)
Uscì e andò come il solito al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. Giunto sul luogo disse loro: ‘Pregate, per non entrare in tentazione’. Poi si allontanò da loro circa un tiro di sasso, cadde in ginocchio e pregava dicendo: ‘Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà’.
Gli apparve allora un angelo dal cielo per confortarlo. Entrato nella lotta, pregava più intensamente, e il suo sudore divenne come gocce di sangue, che cadono a terra. Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. E disse loro: ‘Perché dormite? Alzatevi e pregate per non entrare in tentazione’. (…)
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: ‘Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!’. L’altro invece lo rimproverava…e disse: ‘Gesù, ricordati di me quando sarai nel tuo regno’. Gli rispose: ‘In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso’.
Era già verso mezzogiorno e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio, perché il sole si era eclissato. Il velo del tempio si squarciò a metà. Gesù, gridando a gran voce, disse: ‘Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito’. Detto questo, spirò.”.
“Pur con tutte le differenze che vi sono tra i racconti degli evangelisti, una cosa resta comune: che Gesù è mortopregando e che nell’abisso della morte ha adempiuto il primo comandamento, ha mantenuto presente Dio.” (J. Ratzinger, Il Dio vicino, p. 36).
Gesù è morto pregando, perché è vissuto pregando. La morte per Lui non è la fine di tutto, ma il culmine della sua esistenza orante ed obbediente al disegno del Padre. Per questo la sua Passione, dall’inizio alla fine, è tutta intrisa di preghiera.
Vediamo che mentre sta a tavola con i discepoli, il Signore è pieno di fervore nell’affrontare la sua ora: “Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione” (Lc 22,15); ma appena mette piede nell’orto degli Ulivi la sua anima comincia a tremare, ed ordina ai discepoli di pregare con lui per non essere sommersi dalla marea della tristezza: “Pregate, per non entrare in tentazione” (Lc 22,40).
Accasciato a terra a pregare, il Padre lo vede e manda un cireneo celeste a sostenere la sua anima provata: “Gli apparve allora un angelo dal cielo per confortarlo” (Lc 22,43). Ma è solo una brevissima tregua.
Come la febbre che sale rapida scuote fortemente il corpo con brividi incontrollabili, così la morsa dell’angoscia ghermisce inesorabilmente Gesù:“Entrato nella lotta, pregava più intensamente e il suo sudore divenne come gocce di sangue, che cadono a terra” (Lc 22,44).Questa sua agonia cesserà solo il giorno dopo sul Calvario, quando, giunto ormai all’ultima goccia del sangue versato, mentre già il Padre gli sta correndo incontro dal Paradiso, dirà al suo compagno di destra e primo salvato: “In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso” (Lc 23,43).
Pochi istanti prima di queste parole, anche il condannato alla sinistra di Gesù gli aveva rivolto un’accorata preghiera: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!” (Lc 23,39). Ad essa Gesù non risponde, ma non per questo egli ignora il suo compagno di morte.
Lo fa intuire la preghiera che il Signore rivolge al Padre appena innalzato sulla croce in mezzo agli altri due: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).
Quando il Venerdì di Passione contempliamo quest’ultimo atto del dramma della Croce, istintivamente non volgiamo lo sguardo al malfattore ‘cattivo’, quasi egli si fosse escluso da sé dall’opera di riconciliazione che Gesù sta compiendo per tutta l’umanità.
Ma costui “non è uno che si ribella, ma uno che non capisce (e come potrebbe?) il terribile mistero a cui sta assistendo. Questi non sa ancora (e non può sapere!) che l’Onnipotenza di Dio ha scelto di affermarsi come Amore, nella debolezza e nella stoltezza della Croce!” (P. A. Sicari, Dialoghi, marzo 2012).
E’ vero che Gesù muore nell’abbandono fiducioso in Dio, similmente al crocifisso che sta alla sua destra, tuttavia, da un punto di vista ‘salvifico’ egli è simile anche al malfattore di sinistra, come rivela l’apostolo: “Colui che non ha conosciuto peccato, Dio lo ha fatto diventare peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui” (2 Cor 5,21).
Facendosi “maledetto da Dio” (Gal 3,13), come il crocifisso che lo maledice perché impotente a credere, Gesù ci autorizza a pensare che il Padre non può avere escluso dalla sua Misericordia uno che “non sa quello che fa” (Lc 23,34), e per il quale il Figlio, ugualmente crocifisso, ha intensamente pregato.
E non c’è nessuno, tra noi, che non debba riconoscersi anche nel malfattore di sinistra.
Padre Angelo del Favero
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