Personaggi nella formazione di don Bosco: don Calosso e don Cafasso, fedeli amici dell'anima. L'esperienza più significativa che Giovanni Bosco vive della mediazione della paternità di Dio, avviene nella persona dei sacerdoti che il Signore gli fa incontrare.
Il desiderio di gustare la paternità di Dio
Nelle preghiere liturgiche, Don Bosco viene invocato come «Padre e Maestro dei giovani», ed è bello vedere dove affondano le radici di questa sua paternità. Di Mamma Margherita Giovanni ha ricopiato la capacità di amare, mista di dolcezza materna e di fermezza paterna, ma dietro alla sua figura lui sente la presenza del Padre dei Cieli. L’esperienza però più significativa che Giovanni vive della mediazione della paternità di Dio, avviene nella persona dei sacerdoti che il Signore gli fa incontrare. Già adolescente descrive quanto era viva la ricerca di gustare la paternità sacerdotale e per questo confida come da ragazzo spesso gli avveniva di incontrare il Parroco. Sentiva un vivo desiderio di avvicinarlo e di ascoltare dalla sua bocca una parola di confidenza. Lo salutava e gli faceva anche un inchino. Il sacerdote in modo grave e cortese restituiva il saluto e continuava il cammino; ma non ebbe mai una parola affabile, che attirasse i giovani cuori e li eccitasse alla confidenza… Egli più volte piangendo diceva tra sé e con gli altri: «Se io fossi prete, vorrei fare diversamente: mi avvicinerei ai fanciulli, li chiamerei intorno a me, vorrei amarli, farmi amare da essi, dir loro le buone parole, dare loro dei buoni consigli... Quanto sarei felice se potessi discorrere un poco con il mio Prevosto... » (MB 1,227).
Un fedele amico dell’anima
Solo a quattordici anni Giovanni fa esperienza di questo amore paterno, quando Don Giovanni Calosso, un anziano sacerdote giunto da poco nella Cappellania di Morialdo, entra nella sua vita, come è già stato scritto nel mese scorso. Grazie alla confidenza nella sua prima guida, Giovanni inizia a provare la gioia di una vita spirituale più intensa. Trova in lui l’amico fedele dell’anima, un padre spirituale a cui fare conoscere tutto di se stesso: ogni parola, pensiero, azione ed è da lui incoraggiato alla preghiera, alla lettura spirituale, alla confessione e comunione frequente, ma continuando i trattenimenti domenicali per i suoi piccoli amici. Notiamo come tutti i suggerimenti che Giovanni riceve da Don Calosso diventeranno gli insegnamenti che lui trasmetterà ai suoi giovani. I genitori e gli educatori dovrebbero dare l’esempio ai ragazzi, di ricorrere al sacerdote con frequenza, per il perdono dei peccati e per i consigli spirituali e indirizzare i giovani al sacerdote più adatto, per la loro formazione umana e cristiana e in preparazione alla loro vocazione familiare o alla vita consacrata. Con la morte di Don Calosso, Giovanni vive un forte momento di sconforto, ma a Chieri troverà dei sacerdoti che lo aiuteranno: in Don Valimberti troverà la comprensione e la spinta ad inserirsi nel nuovo ambiente; in Don Pietro Banaudi la paternità e l’amorevolezza; Don Giuseppe Maloria, il confessore amico dell’anima, accogliente e incoraggiante, sarà un sicuro riferimento nei momenti difficili, nei quali Giovanni potrebbe farsi trascinare dai compagni non buoni e dall’ambiente superficiale.
Un modello a cui ispirarsi
La Divina Provvidenza gli fa poi incontrare il chierico Don Giuseppe Cafasso, suo compaesano, che ha appena quattro anni più di lui, e che diventerà il suo confessore, il suo direttore spirituale e benefattore. Memorabile è questo incontro quando Giovanni ha dodici anni e Giuseppe Cafasso sedici di cui è stato scritto nei mesi scorsi. Nella vivacità del racconto Don Bosco ci offre già un ritratto del suo futuro confessore, direttore spirituale, e benefattore di cui ricopierà diversi lineamenti spirituali. Lo stile così amabile di intrattenersi che il chierico Cafasso ha con lui, Don Bosco lo userà con i suoi giovani. Don Cafasso chierico, declinando l’invito di Giovanni a partecipare alle feste rionali, dà anche le motivazioni che diventeranno oggetto di propositi per Don Bosco nel giorno della sua vestizione chiericale e saranno per lui un vero programma di vita: «Colui che abbraccia lo stato ecclesiastico si vende al Signore; e di quanto c’è nel mondo, nulla deve più stargli a cuore, se non quello che può tornare a maggior gloria di Dio e a vantaggio delle anime». Giovanni rimane affascinato dal modello di sacerdote che il chierico Cafasso gli offre: lo spirito raccolto e ritirato, la finezza del suo tratto, l’amorevole capacità di relazione, la sua consegna amorosa ed esclusiva al servizio di Dio e dei fratelli. Gli resterà talmente in mente che lo ricorderà nell’elogio funebre, dato alle stampe nel 1860, nel quale presenta un bel ritratto non solo di Don Cafasso, ma senza volerlo, anche di se stesso come seminarista. Eccolo: «Se mai avessi tempo di venire a un minuto racconto delle virtù luminose che egli fece risplendere, quanti fatti curiosi ed edificanti vorrei esporvi! Vi dico solo che la carità verso i compagni, la sottomissione ai superiori, la pazienza nel sopportare i difetti degli altri, la cautela di non mai offendere alcuno, la piacevolezza nell’accondiscendere, consigliare, favorire i suoi compagni, l’indifferenza negli apprestamenti di tavola, la rassegnazione nelle vicende delle stagioni, la prontezza nel fare catechismo ai ragazzi, il contegno ovunque edificante, la sollecitudine nello studio adornarono la vita chiericale di Don Cafasso; doti praticate in grado eroico fecero diventare familiare ai suoi compagni e amici il dire, che il chierico Cafasso non era stato affetto dal peccato originale».
Una guida spirituale
Più tardi, Don Cafasso, avvicinato da Giovanni su consiglio di un compagno, Luigi Comollo, diventerà il suo confessore, direttore spirituale, benefattore a partire dal suo mantenimento in Seminario e poi da sacerdote novello con il sostegno economico alla sua opera per i ragazzi più bisognosi e poveri di Torino. E così si lascia guidare nelle scelte fondamentali della sua vita. Scrive: «Don Cafasso che da sei anni era la mia guida, fu anche il mio direttore spirituale, e se ho fatto qualche cosa di bene lo debbo a questo degno ecclesiastico nelle cui mani riposi ogni mia deliberazione, ogni studio, ogni azione della mia vita. Per prima cosa egli prese a condurmi nelle carceri, dove imparai presto a conoscere quanto sia grande la malizia e la miseria degli uomini». Sappiamo che proprio da questa esperienza Don Bosco, illuminato dallo Spirito Santo, inaugurerà il sistema preventivo: prevenire il male che può colpire un giovane, facendogli fare l’esperienza di Dio e del bene. Don Cafasso gli comunicherà la capacità che lui aveva di penetrare i cuori e le menti che egli incontrava tutti giorni in confessionale, al quale la popolazione torinese si sentiva attratta in massa, come accadde ai confessionali del Santo Curato d’Ars e di San Padre Pio e si ripeterà in Don Bosco, specie a beneficio dei giovani. Condividerà con Don Cafasso la stessa unione con Dio e il dono della contemplazione, pur in mezzo a una azione educativa intensa tra i suoi giovani, a servizio della Chiesa e della società. Di Don Cafasso ha detto il Papa Benedetto XVI: «Quanti avevano la grazia di stargli vicino ne erano trasformati in altrettanti buoni pastori e in validi confessori. Indicava con chiarezza a tutti i sacerdoti la santità da raggiungere proprio nel ministero pastorale». Don Bosco fece tesoro di questi insegnamenti.
Don Gianni Asti
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