In questi giorni di vacanza, per alcuni, e di coprifuoco, per tutti, può esserci il tempo per approfondire una serie televisiva che tratta di 'redenzione'...
di ROBERTO PIREDDA, tratto da vinonuovo.it
In questi giorni di vacanza, per alcuni, e di coprifuoco, per tutti, può esserci il tempo per approfondire una serie televisiva che tratta di 'redenzione'...
Talento, amicizia, redenzione. Sono alcuni dei temi che attraversano la trama de «La regina degli scacchi» (titolo originale «The Queen’s Gambit»), la serie televisiva proposta su Netflix e ispirata all’omonimo romanzo di Walter Tevis, uscito nel 1983.
La protagonista della vicenda, ambientata negli Stati Uniti tra gli anni cinquanta e sessanta, è Beth Harmon, una bambina che vive in un orfanotrofio, a seguito della tragica scomparsa della madre. È proprio lì che scopre il suo eccezionale talento per gli scacchi, grazie alle lezioni del custode, il signor Shaibel. La ragazza viene poi accolta da una famiglia adottiva e inizia una brillante carriera di scacchista, che la fa arrivare in breve alle competizioni internazionali.
Ma la storia di Beth non è solo quella di una ragazza predestinata al successo. Tutt’altro.
Beth appare sempre sopraffatta dal suo sentirsi «orfana» di qualcuno e qualcosa, e sperimenta il dramma di un talento che rischia di essere sprecato. È acclamata da tutti come giocatrice, guadagna cifre importanti, ma non si vede né bella, né amata come le altre ragazze. «Tu – le dirà la compagna di un’assurda serata di follie – hai già molto più di loro. È qualcosa che nessuno di loro ha: il talento. Questo può darti una vita che chiunque invidierebbe».
Quando Beth sembra ormai schiava dell’autodistruzione causata dalla droga e dall’alcol, incontra di nuovo Jolene, una sua compagna dell’orfanotrofio.
«Non sono il tuo angelo custode – le dice Jolene – e non sono venuta a salvarti. A malapena riesco a salvare me stessa. Sono qui perché hai bisogno di me. Le famiglie fanno così».
L’occasione del funerale del signor Shaibel riporta Beth all’orfanotrofio, facendole riprendere in mano la sua storia.
Le ragazze ospiti stanno provando in cappella l’Ave Maris Stella e quel canto accompagna il viaggio interiore di Beth, che ripercorre dopo anni i locali del suo vecchio orfanotrofio. Il suo sguardo rimane colpito dalla collezione di articoli sulle sue imprese, curata con affetto dall’antico maestro.
Quella visita le permette di intuire qualcosa di decisivo: la sua storia, così carica di dolore, è stata comunque attraversata dalla luce di un amore gratuito, che lei non è mai riuscita a vedere pienamente. Quello, ad esempio, del signor Shaibel, di Jolene, della madre adottiva Alma, dei compagni di scacchi.
In Beth il discorso cristiano rimane sottotraccia, tuttavia la sua storia di «redenzione» permette di riflettere sull’offerta di vita nuova che viene dal Vangelo: «Solo quello che si ama può essere salvato. Attraverso le nostre contraddizioni, fragilità e meschinità Dio vuole scrivere una storia d’amore» (papa Francesco, Giornata Mondiale della Gioventù, Panama, 26 gennaio 2019).
La «regina degli scacchi» ha finalmente accolto l’amore che le viene offerto e con questa «mossa» può vincere la partita più importante, quella contro il suo male di vivere, aprendosi ad una bellezza già presente, ma che domandava soltanto uno sguardo capace di coglierla.
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