La tecnoscienza sfida l'uomo: nuovo totalitarismo dietro l'angolo.

Il problema fondamentale oggi è il conflitto di potere su chi genera la vita, e chi stabilisce le frontiere e le basi dell'umano. È un conflitto aperto dagli scienziati che 'giocano ad essere Dio' come titolava il Times. C'è l'esplicito tentativo di entrare in gara con la Creazione, perché - secondo le nuove utopie tecnoscientifiche - l'uomo fatto dall'uomo sarà migliore, più sano, più bello di quello originato dal Caso, o creato da Dio.

La tecnoscienza sfida l’uomo: nuovo totalitarismo dietro l'angolo.

da Quaderni Cannibali

del 10 aprile 2008

L’irruzione della tecnoscienza nel campo della procreazione - Il sapere scientifico ha sempre avuto ricadute pratiche, tecnologiche, ma oggi la tecnica sta assumendo il ruolo principale nella ricerca scientifica e diventa una forma di manipolazione che non si cura della conoscenza profonda dei processi su cui interviene. Il termine “tecnoscienza” indica una scienza fondata ormai più sulla tecnica, che sull’acquisizione della conoscenza. L’irruzione della tecnoscienza nel campo della procreazione sta modificando in modo radicale le relazioni tra uomo e donna, e tra questi e i figli.

Tutti noi siamo abituati a pensare alla relazione materna e paterna come a qualcosa di profondamente legato agli istinti, al corpo, alle relazioni primarie che fondano la convivenza umana. Ma le cose non stanno più così. Per capirci meglio, vorrei citarvi un libro: Everything conceivable. How assisted reproduction is changing men, women, and the world, scritto da una giornalista del Washington Post, Liza Mundy. Il titolo gioca sul doppio significato del termine “concepibile”: si può “concepire”, cioè immaginare, di tutto; ma ormai si può anche concepire, nel senso di far nascere un bimbo, in molti modi.

 

Il Mondo Nuovo, ovvero la vita umana concepita fuori dal corpo della donna e la “riproduzione collaborativa” - È un viaggio nel Mondo Nuovo, nato quando per la prima volta una vita umana è stata concepita fuori dal corpo di una donna. Un mondo in cui è possibile che la madre che ti ha partorito non sia quella genetica (nei soli Stati Uniti il 12% delle fecondazioni in vitro avviene con ovociti donati); un mondo in cui sono sempre più numerose le donne che fanno figli oltre i quarant’anni; un mondo in cui l’82% dei figli nati da donatore vorrebbe conoscere il padre biologico; un mondo in cui molte nuove famiglie sono disegnate fin dall’inizio con un solo genitore o anche con cinque, di cui uno o due “sociali”, cioè legati al bambino giuridicamente, e gli altri biologici (che potranno occuparsi del figlio o sparire nell’anonimato). Un mondo in cui con la tecnica Icsi gli spermatozoi meno vitali possono essere iniettati nell’ovocita e fecondarlo, anche se i maschi nati da quella tecnica sono destinati a essere sterili. Qualcuno ha calcolato che, se l’1% degli uomini di ogni generazione è infertile e se tutti useranno l’Icsi, fra diecimila anni la specie umana non potrà più riprodursi. In realtà la sterilità, soprattutto maschile, sta comunque crescendo dappertutto, per cause ancora poco studiate. Stiamo assistendo, scrive la Mundy, a un incredibile «esperimento sociale mediato dalla tecnologia». Il libro non è un manuale di divulgazione scientifica o un testo di bioetica, ma un racconto-inchiesta, che raccoglie storie vere narrate dai protagonisti.

Come quella di una coppia di maschi omosessuali e delle loro due figlie gemelle. Prima c’era stata la scelta della donatrice di ovociti, per metà fecondati con il seme dell’uno e per metà con quello dell’altro (la cosiddetta “equità riproduttiva”). Poi l’incontro con la donna, già madre di quattro figli, che presterà l’utero (lo perderà per un’emorragia durante il parto delle gemelle), poi ancora la decisione sugli embrioni da trasferire. «Abbiamo sempre voluto dei gemelli. Talvolta abbiamo sognato dei gemelli con la stessa madre biologica e due padri biologici» confessano i due, e il sogno si avvera: le bimbe sono gemelle, con due padri diversi e senza madre. O forse con due: la donatrice anonima di ovuli e la donna che le ha partorite. È quella che viene definita “riproduzione collaborativa”: il senso usuale di parole come “padre” e “madre” non esiste più. Nel Mondo Nuovo le persone vogliono avere bambini indipendentemente dalla relazione d’amore e a qualsiasi costo, nonostante infertilità e malattie, nonostante la mancanza di un compagno, l’età e il sesso.

Le pagine del libro trasudano di domande drammatiche, per esempio, quelle che riguardano la ricerca affannosa della propria origine. «Essere voluti, sfortunatamente, non è sufficiente», si legge su un sito dove i figli nati da donatori cercano ostinatamente i genitori biologici, cioè chi li ha generati. Le famiglie in cui la fecondazione è avvenuta tramite donazione di gameti spesso formano associazioni che riuniscono i discendenti dello stesso donatore, come il “gruppo 1.476”, che comprende i nati dal seme donato a una banca dall’anonimo numero “1.476”.

 

Problemi di salute e riduzione fetale - Poi ci sono i problemi di salute: «I bambini nati da fecondazione in vitro sono diversi da quelli concepiti da genitori senza problemi di fertilità. La gente che soffre di infertilità, o subfertilità, sembra essere geneticamente differente da chi non ha problemi a metter su famiglia come vuole»: lo dice il presidente della Canadian Fertility Society, padre di un bimbo nato da fecondazione in vitro. Questi bimbi sono spesso prematuri e sottopeso anche se nati da un singolo embrione, con maggiori complicanze in gravidanza e un tasso più alto di disabilità alla nascita. Negli Usa aumenta il numero dei prematuri e dei parti gemellari, con le complicanze che ne derivano, compresa la morte.

Per evitare pericolose gravidanze multiple a volte si ricorre alla “riduzione fetale”, cioè all’aborto selettivo di alcuni feti, per permettere agli altri di svilupparsi. Non esistono dati ufficiali. È uno dei capitoli più crudi del libro. Il dottore guarda il monitor dell’ecografo, inietta il cloruro di potassio nel cuore dei feti selezionati e mostra alla madre quelli rimasti. Ci sono poi, naturalmente, gli embrioni congelati: in America sono mezzo milione, con organizzazioni che si occupano del loro inventario e compagnie commerciali per lo stoccaggio, come se si trattasse di scatolette di pomodori pelati.

Ho voluto riportare alcuni dei fatti raccontati nel libro, per spiegare come tutto questo sia ormai vita vissuta, esperienza che tende a modificare il nostro senso comune, i sentimenti profondi che finora sono stati condivisi da tutte le culture umane. Intanto però, le cose vannoavanti: sono avvenuti in questo periodo alcuni fatti che rendono il libro di cui stiamo parlando già obsoleto, nonostante sia stato pubblicato soltanto l’anno scorso. Provo ad elencarne alcuni.

I “cibridi”: embrioni interspecie uomo-animale - C’è stata, ad esempio, l’autorizzazione data dall’Hfea (l’Authority che in Inghilterra regola le questioni che riguardano la fecondazione artificiale e gli embrioni umani) ai cosiddetti “cibridi”. Il nome indica gli embrioni interspecie uomo-animale, creati con cellule somatiche umane e ovociti di mucca o di altri mammiferi; gli embrioni così assemblati sarebbero umani al 99% circa. Della mucca rimarrebbe il Dna mitocondriale: un lascito genetico minimo se considerato a livello puramente quantitativo, ma fondamentale sul piano qualitativo. Aver consentito questa sperimentazione è il primo passo verso un futuro in cui l’umanità viene ridotta a una percentuale. Si potrà essere umani al 99%, e magari anche meno, si potranno progettare in laboratorio creature che non si sa più a che specie appartengano, fino a prefigurare una situazione da film di fantascienza, una sorta di bar di “Guerre Stellari”. Per adesso questi embrioni verranno distrutti per farne cellule staminali, ma una volta che siano stati creati, sicuramente a qualcuno verrà in mente di impiantarli in un utero, magari di mucca. Ma perché questi assurdi esperimenti? Semplice: con la creazione dei cibridi gli scienziati inglesi vogliono ovviare alla carenza di ovociti umani, che ostacola i tentativi di clonazione terapeutica. La clonazione terapeutica è stata l’araba fenice della ricerca scientifica degli ultimi anni, un obiettivo tanto sbandierato quanto fallimentare. In nessun laboratorio del mondo si sono mai ottenute staminali embrionali da clonazione e oggi il metodo della clonazione è stato superato dalle scoperte del giapponese Shinya Yamanaka, che ha trovato il modo di far regredire cellule adulte allo stato embrionale.

 

Dietro gli esperimenti di clonazione ci sono convenienze economiche - Eppure molti scienziati insistono ancora con gli esperimenti di clonazione, perché ci sono stati enormi investimenti su questo tipo di ricerca e, abbandonarla, vuol dire buttare a mare denaro, brevetti, strutture e carriere. Gli ovociti animali servono perché se ne trovano in abbondanza, mentre il problema degli studi sulla clonazione è sempre stata la carenza delle preziose “uova” femminili, dovuta al fatto che le donne per produrle devono essere sottoposte a trattamenti ormonali pesanti e rischiosi. Se si usano gli ovociti di mucca, invece, se ne possono avere migliaia a basso costo. Ma ora è sorto un altro ostacolo: per la clonazione servono anche le cellule somatiche di un essere umano. Qui non ci sono problemi di disponibilità, perché si tratta di cellule che si possono prelevare con facilità. Il problema è che serve il cosiddetto “consenso informato”. Ma se si chiede a qualcuno «vuoi offrire una cellula della pelle per fare un tuo clone ibrido, con un ovocita di una mucca?», è difficile ottenere un consenso entusiasta, per quante garanzie si offrano.

E così passiamo al secondo fatto avvenuto nelle ultime settimane, una notizia a cui è stato dato scarso rilievo, ma che è invece molto significativa: sempre in Inghilterra, c’è stata la richiesta da parte di ventinove scienziati, fra cui tre premi Nobel, che tessuti e cellule depositati finora nelle bio-banche possano essere utilizzati senza consenso informato del donatore.

Il materiale biologico attualmente a disposizione è stato donato genericamente per scopi di ricerca, non specificatamente per esperimenti di clonazione, tantomeno per la produzione di embrioni ibridi uomo-animale. È lecito pensare che non tutti avrebbero messo a disposizione del proprio materiale biologico per questo tipo di esperimenti. Ma cercare donatori consenzienti, adesso, farebbe perdere troppo tempo, e allora meglio eliminare il consenso informato. Pare che il Parlamento inglese sia intenzionato ad assecondare la richiesta degli scienziati. La proposta è significativa perché tutta la concezione dei cosiddetti nuovi diritti individuali si fonda proprio sul consenso informato, cioè sul diritto di ogni persona ad autodeterminarsi pienamente, a decidere di sé, della propria vita e della propria morte in assoluta libertà. Il consenso informato è la pietra miliare di questa idea dell’autonomia individuale. Eppure, dopo aver fatto del consenso un mito, si è disposti a scavalcarlo appena torna comodo: i sostenitori entusiasti dell’autodeterminazione, come Stefano Rodotà, dovrebbero rifletterci sopra.

 

“Spermatozoi femminili” ed embrioni con due madri - Chiudo questa rapida carrellata delle ultime novità tecnoscientifiche con due notizie che hanno colpito l’opinione pubblica: gli studi sugli “spermatozoi femminili” creati da cellule somatiche di donne, quindi prive del cromosoma “y”, e quelli sugli embrioni con patrimonio genetico di due madri. La prima è stata interpretata come una vittoria dell’autosufficienza procreativa femminile, e dell’esclusione del maschio dalla generazione. Non è così. Lo scopo sostanziale di questo tipo di ricerca è la commercializzazione del corpo umano e della procreazione (produrre gameti da commercializzare attraverso le bio-banche). La seconda notizia ha sconvolto molti commentatori, perché distrugge un concetto basilare come l’unicità della genitorialità biologica. Avere due madri genetiche è sembrata una manipolazione eccessiva e scandalosa: eppure esistono già, fin dal 2001, bambini nati con Dna di due madri, solo che la notizia non era stata divulgata attraverso i mass media. La novità di cui si parla oggi riguarda esclusivamente la tecnica usata, diversa da quella applicata sei anni fa.

 

Una tendenza alla destrutturazione dell'esperienza umana, a partire dalla prima bimba in provetta - Le notizie che ho ricordato probabilmente le abbiamo lette con una certa distrazione, un po’ perché sono state diluite nel corso di qualche mese, un po’ perché non sembrano riguardare la nostra vita reale, i problemi della quotidianità. Messe in fila fanno una maggiore impressione e rivelano un tratto comune: la tendenza alla destrutturazione dell’esperienza umana, alla manipolazione radicale del corpo e delle relazioni.

L’enorme cambiamento - una rivoluzione davvero epocale - che sta investendo le esperienze e le evidenze umane ha una data precisa, la data di un evento simbolico: la nascita di Louise Brown, la prima bimba nata da una provetta. Tutto questo, insomma, parte dagli esperimenti sulla fecondazione in vitro che risalgono agli anni Cinquanta. Vorrei essere esplicita su un punto: esiste una netta linea di demarcazione tra i vecchi diritti civili degli anni ‘70, come il divorzio e l’aborto, e quelli che oggi vengono indicati come nuovi diritti. La legge 40, quella che regola la fecondazione artificiale e che abbiamo difeso con l’astensione al referendum di due anni fa, contiene un equivoco in cui cadono molti cattolici: è vista con più indulgenza di quella sull’aborto, perchè appare come una legge che permette la nascita, la vita. Ma anche gli ibridi sono vita, anche le chimere, anche l’embrione creato in qualunque modo in laboratorio è vita. In realtà i vecchi concetti pro-life, a difesa della vita, non sono più adeguati: in campo non c’è più solo la minaccia alla vita, ma la minaccia all’umano.

 

L'esperienza umana perde senso - La fecondazione artificiale è il primo passo per il trasferimento della nascita in laboratorio, al di fuori del contesto delle relazioni spontanee che si condensano intorno alla procreazione. È la prima volta, nella storia, che un figlio non proviene da un rapporto carnale tra un uomo e una donna.

Vorrei ricordare che la legge 40 produce un alto tasso di aborti programmati, cioè previsti e dati per scontati: per ogni bambino nato vivo ci sono in media 9 embrioni eliminati. Ma anche senza considerare l’intrinseca abortività delle tecniche di procreazione assistita, il problema è che apre una prospettiva del tutto nuova, la manipolabilità dell’umano. Credo che l’unicità della condizione umana sia legata al rapporto inscindibile tra biologia e relazione. Le due cose sono strettamente intrecciate: se si separa la biologia dalla relazione affettiva, si ottiene la perdita di senso dell’esperienza umana. Da una parte si schiaccia l’umano sul biologico, facendo del corpo e della procreazione qualcosa di totalmente manipolabile. Dall’altra si destrutturano i rapporti che sono a fondamento della convivenza e di qualunque cultura umana. Prendiamo la maternità: le gatte, come tutti i mammiferi, fanno figli in modo simile alle donne, ma non restano legate a loro per sempre, e tantomeno lo fanno i gatti maschi. Nel mondo animale la paternità è un evento inconsapevole, labile, pressoché inesistente. Per gli esseri umani, invece, la relazione materna è il modello di tutte le relazioni umane proiettate nel “per sempre” e la paternità acquista peso anche grazie al rapporto di fedeltà e di amore tra uomo e donna. Il motivo è che tutti siamo figli; è perché tutti abbiamo vissuto quella relazione simbiotica infantile, perché ne abbiamo nostalgia profonda, che siamo capaci di immaginare e costruire il matrimonio, la famiglia, l’amore che dura tutta la vita. Il termine matrimonio ha una radice femminile, “mater”, perché è la maternità il cuore della famiglia, il nucleo primario intorno a cui si strutturano le relazioni di parentela e si forma la comunità.

Come faranno i nostri figli a considerare un valore la tensione alla fedeltà coniugale, se si possono avere più madri, persino geneticamente? Se non partiamo dal rapporto che fonda il nostro “per sempre”, cioè la maternità, non riusciremo più ad educare alla responsabilità nelle relazioni affettive.

 

Gli scienziati che “giocano ad essere Dio” e la biopolitica - Il problema fondamentale oggi è il conflitto di potere su chi genera la vita, e chi stabilisce le frontiere e le basi dell’umano. È un conflitto aperto dagli scienziati che “giocano ad essere Dio” come titolava il Times. C’è l’esplicito tentativo di entrare in gara con la Creazione, perché - secondo le nuove utopie tecnoscientifiche - l’uomo fatto dall’uomo sarà migliore, più sano, più bello di quello originato dal Caso, o creato da Dio. Sarà selezionato geneticamente, migliorato e potenziato grazie alle tecniche di “enhancement”, prodotto secondo alti standard di qualità, magari certificati da qualche Authority.

La politica ha acquisito un nuovo potere sui corpi, non paragonabile a quello che deteneva un tempo, cioè quello di segregare, togliere la libertà o addirittura la vita. L’esercizio di quei poteri non toccava l’essenza dell’umano, né la costruzione della coscienza. Oggi la politica ha il potere di stravolgere l’esperienza millenaria degli uomini, a partire dalla possibilità di manipolare i corpi, di controllare informazioni privatissime e di regolare, attraverso le leggi, le nuove tecnologie.

Si parla di “biopolitica”. È un termine coniato da Michel Foucault, che oggi però assume un significato diverso. Il potere interviene da sempre sui corpi, ma finora è stato esercitato attraverso la coercizione, il sequestro delle libertà, nei cosiddetti luoghi concentrazionari, come carceri, manicomi, ecc. Oggi invece viene esercitato attraverso l’introduzione di nuovi diritti, come se si trattasse di un allargamento delle libertà individuali. È un incredibile paradosso, perché si sta costruendo una società totalitaria in nome dei diritti individuali.

Parlo di quello che potremmo definire “totalitarismo genetico”, che passa attraverso l’utopia scientista. Se qualcuno comincia a dividere l’umanità tra chi ha diritto di nascere e chi no, tra chi è “fit” e chi è “unfit”, come facevano i movimenti eugenisti d’anteguerra, se si può stabilire chi deve essere sottoposto ad eutanasia, se si può intervenire sul patrimonio genetico di qualcuno prima che nasca, se si possono avere informazioni sulle probabilità di vita e sulle eventuali malattie di una persona, è chiaro che ci si sta predisponendo a una società totalitaria. Il potere della tecnoscienza secondo molti scienziati non dovrebbe assolutamente avere limiti esterni, nemmeno quelli etici, perché è buono in sé: la scienza avrebbe come fine il bene dell’umanità, il progresso, e quindi non può essere limitata. In questo modo si sta legittimando un potere irresponsabile, che è il presupposto della dittatura e lo si sta facendo grazie a un allargamento delle libertà individuali.

 

Alla domanda “che cos'è l'umano?” il dibattito scientifico si blocca - Se non è guidata e indirizzata, la ricerca scientifica tende a produrre scenari post-umani. I segnali sono moltissimi, ma forse l’esempio più surreale del dibattito che ci aspetta è rappresentato dalla discussione aperta nel Parlamento inglese intorno al problema degli embrioni interspecie, i “cibridi”. Non si tratta di una discussione etica, ma tecnica: a chi compete il rilascio dell’autorizzazione? L’Hfea è l’Authority che regola le questioni che riguardano fecondazione artificiale ed embrioni umani, ma si possono considerare i cibridi come creature umane? Ed ecco la domanda centrale: che cos’è, come si definisce l’umano? Qui il dibattito si è arenato, in un crescendo di interventi alla Jonesco, bloccato dall’impossibilità di fornire una definizione soddisfacente, comprensiva di tutti gli aspetti dell’umano.

La discussione, a parte i tocchi di umorismo demenziale (come il confronto tra il patrimonio genetico di un essere umano e di una banana) dimostra semplicemente che quando si abbandona il terreno delle evidenze originarie si entra in un campo minato.

 

Le “staminali etiche” - Eppure la scienza non è affatto nemica. La recente scoperta di Yamanaka (le cosiddette “staminali etiche”, cioè cellule somatiche “ringiovanite” fino a diventare quasi come le staminali embrionali, senza creare né distruggere embrioni) dimostra proprio che se non si forzano in modo estremo le tecniche di intervento, se non si saltano le diverse fasi della ricerca sperimentale per arrivare d’un balzo alle ricadute tecnologiche, si ottiene di meglio e di più. Yamanaka non è mai passato attraverso la distruzione di embrioni e ha preferito circoscrivere le sue ricerche agli animali. Così la scoperta più importante dell’anno, quella che ha reso obsolete in un colpo le tecniche di clonazione, viene da un paese che non ha puntato sulla sperimentazione sugli embrioni umani come la Corea, che non ha investito cifre spaventose come la California, che non ha costruito enormi “città della ricerca” come Singapore. Viene da una cultura come quella giapponese, che ha sempre nutrito rispetto per la bellezza e l’equilibrio armonioso della natura.

Dopo la rivoluzione operata da Yamanaka la comunità scientifica si è velocemente ri-orientata, tanto che Ian Wilmut, noto per aver clonato la pecora Dolly, ha abbandonato la clonazione per seguire il metodo inventato dal giapponese, e, nel suo piccolo, anche la ricercatrice italiana Elena Cattaneo ha recentemente dichiarato di voler fare la stessa cosa.

Per noi è importante dare la massima risonanza possibile alla scoperta di Shinya Yamanaka e a quello che significa: la ricerca sulle cellule embrionali umane non dovrebbe più essere finanziata, e la nostra proposta di moratoria europea (su cui sono state raccolte oltre 25.000 firme) andava esattamente in questo senso. Ci sono già 400 linee staminali embrionali certificate a disposizione dei laboratori; si possono usare quelle, nell’attesa che il metodo Yamanaka sia messo a punto e diffuso. Quando, il 21 novembre scorso ho lanciato, su Avvenire, la proposta di moratoria europea per bloccare la creazione di embrioni destinati ad essere distrutti in laboratorio, ho scritto: «non vogliamo fermare un treno in corsa, non chiediamo di interrompere i progetti di ricerca già finanziati dall’ultimo programma quadro europeo. Chiediamo solo di rallentare il treno, visto che la stazione d’arrivo non c’è più».

Eugenia Roccella

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