Il luogo della Chiesa è tra la gente. La Settimana Santa è l'antidoto perfetto alla tentazione del narcisismo teologico. Questo passaggio è diventato cruciale, e il Papa ha deciso di non girarci intorno con troppi distinguo. Perché il narcisismo è semplicemente la lebbra spirituale del secolo.
«Gesù non ha casa perché la sua casa è la gente». Ormai è chiaro: nel pensiero, nei segni, nella predicazione di papa Francesco, questa immagine non è la conclusione a effetto di un sermone devoto. È l’inizio di una rinnovata teologia della Chiesa, che deve smetterla di guardarsi allo specchio. In questa ossessione, riconosciamolo francamente (nei suoi appunti per le Congregazioni del Conclave, pubblicati dal nostro giornale, il Papa parla di «parresia», il lessico cristiano della 'franchezza' evangelica), abbiamo perso troppo tempo. Una Chiesa che si guarda allo specchio – a volte con compiacimento, a volte con angoscia – perde la prospettiva. A volte si piace troppo, a volte si deprime per niente. A volte si concede alle interessate lusinghe di occasionali ammiratori, a volte si perde nella malinconia di non essere abbastanza cercata. Così diventa sempre più autoreferenziale, incomincia a preoccuparsi troppo per cose da poco, investendole di importanza suprema (e di penosi litigi). Scambia l’ostensorio per il Signore, cerca la pagliuzza e non vede più la trave, confonde il tempio della preghiera per tutti i popoli con il confortevole luogo della propria autocelebrazione.
In altre parole, come annotava il cardinale Bergoglio nei suoi appunti, «la Chiesa si ammala». Ed è una malattia che diventa terribilmente seria, se non è curata in tempo. Il Papa l’ha chiamata «narcisismo teologico». Esistono insomma «due immagini di Chiesa», fra le quali dobbiamo ogni volta risolutamente smascherare la differenza. Esiste la Chiesa evangelizzatrice «che esce da se stessa». Oppure, la Chiesa mondana, «che vive in sé, da sé, per sé». E questa seconda può avere persino un’apparenza – un belletto, un abito, una loquela – verosimilmente spirituale. Un pericolo, per chi deve essere evangelizzato, perché in un primo momento potrebbe esserne anche attratto. Ma l’inevitabile delusione, alla prova del Vangelo e della vita, lascia poi ferite difficili da rimarginare.
È l’effetto di fraintendimento di quella che il Papa Bergoglio, con un efficace ossimoro ricevuto dal teologo De Lubac, ha chiamato «mondanità spirituale». Il male peggiore in cui può incorrere la Chiesa. Negli appunti della sua conferenza ai cardinali prima del Conclave, Bergoglio propone un’immagine assai forte della deriva di questa esasperata autoreferenzialità della Chiesa. Nella conclusione del libro dell’Apocalisse si trova la bella immagine di Gesù che sta alla porta e bussa. «Penso che a volte Gesù – commenta il cardinale Bergoglio – bussi da dentro, perché lo lasciamo uscire». La Chiesa autoreferenziale, infatti, «pretende di tenere Gesù Cristo dentro di sé e non lo lascia uscire». La Chiesa, invece, deve seguire Gesù che esce da ogni ripiegamento di Dio «in se stesso», e punta dritto sulla «folla» in attesa di parole e segni trasparenti della misericordia di Dio. Ossia, della certezza che Dio non si dimentica degli umani, neppure quando essi lo rimuovono. Dio sa che gli umani, segretamente, sperano di essere smentiti nel loro abbandono di Dio. «Lui fa sempre il primo passo».
È dunque inconcepibile che la Chiesa aspetti di essere semplicemente visitata e riverita nel suo salotto buono. Dovunque c’è popolo, lì si compone la Chiesa: Gesù, i discepoli, la folla... E dove la leggenda dell’assenza di Dio ha seminato la rassegnazione di una religiosità sostitutiva del vitello d’oro, che depreda il popolo dei suoi ultimi beni e ingrassa la disperazione, lì si restituisce la Chiesa alla sua immagine. Mai tanto bella come quando si fa luna del Signore in cui Dio parla e agisce. Mai tanto vera come quando esce da se stessa, e segue il Signore fino alle periferie del mondo e della vita. Morte compresa. Mai tanto a casa propria, come quando si fa casa per quelli che non ne hanno, né per il corpo, né per l’anima.
La Settimana Santa è l’antidoto perfetto alla tentazione del narcisismo teologico. Questo passaggio è diventato cruciale, e il Papa ha deciso di non girarci intorno con troppi distinguo. Perché il narcisismo è semplicemente la lebbra spirituale del secolo. E ha proporzioni epidemiche. La celebrazione del Giovedi Santo, a partire da oggi, deve essere guardata con uno sguardo di purezza nuova. Il popolo al quale il Signore continua a consegnarsi, Corpo e Sangue, siamo noi più tutti quelli che stanno fuori: alla periferia delle canoniche devote e delle città intelligenti. Il Signore e il suo Vangelo sono per tutti loro. Quando succede questo, succede la Chiesa che Lui ha voluto. Perciò, grembiule ai fianchi, bacinella di acqua pulita, lino bianco sul braccio. E uscire.‚Äã
Pierangelo Sequeri
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