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"La vita è donare la vita" - la vocazione al matrimonio

Se la pienezza della vita consiste nel vivere la vita come dono, l'uomo raggiunge la maturità quando diviene capace di far dono della propria vita. Si tratta del compito più impegnativo, dell'esame più difficile da superare nella vita, e in cui i “bocciati” non sono pochi.


'La vita è donare la vita' - la vocazione al matrimonio

da Quaderni Cannibali

del 01 luglio 2009

 

'Dio creò l'uomo a sua immagine;

a immagine di Dio lo creò;

maschio e femmina li creò.

Dio li benedisse e disse loro: ¬´Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra;

soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra»'. (Gen 1,27-28)

          Se la pienezza della vita consiste nel vivere la vita come dono, l’uomo raggiunge la maturità quando diviene capace di far dono della propria vita. Si tratta del compito più impegnativo, dell’esame più difficile da superare nella vita, e in cui i “bocciati” non sono pochi.

          Si tratta infatti d’imparare e di vivere l’ideale, di saper, giorno per giorno, far dono della nostra vita ad un altro, ad altri che possano vivere attraversi il nostro dono. Chi non è capace di vivere e di migliorarsi in questa dimensione sponsale dell’amore, potrà pure avere anagraficamente un’età “adulta”, potrà pure diventare ricco e famoso, ma è e resta un immaturo, una persona realizzata a metà e forse anche meno. Per questo la dimensione sponsale dell’amore, quella del dono della vita per dare vita, accomuna tanto la vocazione al matrimonio quanto quella ad una consacrazione per costruire con Dio una “famiglia spirituale”. Sono due modi tanto diversi, eppure completamente per i bisogni dell’umanità e della Chiesa, di vivere la medesima realtà.

          Così, al giovane che si introduce nell’età matura Dio dice di “lasciare il proprio padre, la propria madre”, nel senso di una realtà divenuta ormai una comoda prigione, per entrare nell’età adulta. Si tratta di lasciare l’età del solo ricevere per entrare nell’età in cui dobbiamo anche saper dare. Solo così l’uomo realizza in pieno la vocazione fondamentale di vivere ad immagine di Dio. Vivere il dinamismo del “dare” e del “ricevere” vuol dire infatti vivere umanamente alla maniera di Dio, del Dio di Gesù Cristo, del Dio cristiano che è Trinità, Comunità d’Amore. Il Dio che è l’Unità non dell’Assoluta Solitudine, ma l’Unità della Comunione del Dono reciproco e perfetto di due Persone, il Padre e il Figlio, che sovrabbonda in una terza: lo Spirito Santo. In Colui che è il Dono per eccellenza, un Dono sovrabbondante che “deborda” al di fuori della Trinità stessa, così da essere l’Amore attraverso cui Dio crea e continuamente santifica il mondo e ciascun uomo.

          Così, stando al brano del Genesi che apre la  Bibbia, proprio perché la natura vivente tutta porti in se stessa il segno, l’immagine della Vita Divina, Dio ha inventato la distinzione e la complementarietà dei sessi. E perché fra i viventi vi fosse qualcuno in grado di imitare Dio, non solo nel dinamismo di una vita che è reciprocità e relazione per natura, ma anche di una reciprocità che fosse vissuta liberamente e consapevolmente come dono di sé, Dio ha chiamato l’uomo a trasfigurare ed integrare la propria sessualità naturale nella dimensione spirituale dell’Amore.

          Se vogliamo usare una classica e mai sufficientemente approfondita definizione dell’amore, esso consiste nel trovare la propria felicità nel far felice l’altro. L’amore è dunque finalizzato alla vita, alla pienezza della vita altrui e propria. Anzi, ha raggiunto la perfetta maturità umana proprio colui che ormai sa che la pienezza della propria vita passa irrevocabilmente per la pienezza della vita dell’altro, degli altri. 

 

          Il matrimonio allora è lungi dall’essere quella ridicola “regola” o “istituzione” volta al controllo per fini socialmente utili dell’istinto sessuale. Al contrario, il matrimonio è il momento in cui la coppia, dopo un cammino di fidanzamento adeguato, è chiamata ad inaugurare una nuova epoca del proprio amore che durerà tutta la vita. L’epoca di quell’integrazione delle due dimensioni instabili dell’amore, la dimensione fisica e la dimensione sentimentale-affettiva, in quella spirituale della libera scelta di donarsi per essere “uno”. Un’unità nella diversità delle persone da estendere ad altri: i figli innanzitutto, poi i genitori dei due sposi nella loro età anziana, poi i generi, le nuore, i nipoti, ma anche tutte quelle persone che una famiglia davvero cristiana ed “aperta” sa mettere al centro dei propri interessi, ponendosi al servizio della comunità. Tutto questo significa formare una famiglia. Due luci che divengono una “piccola città”. Una piccola città posta sul monte per indicare la strada al viandante smarrito nella notte, come la città più grande della Chiesa di cui la famiglia è segno e realtà. 

 

          È attraverso questa scelta libera e personale dell’Amore che si fa dono che esso diviene fermento di unità. Un’unità dinamica che, come il fuoco, tende ad estendersi e se si rinchiude soffoca. Amarsi “per sempre” non è fossilizzarsi. Se vuoi che l’Amore duri per sempre occorre che esso come il fuoco trovi nelle diverse età della vita nuovo combustibile da bruciare, altrimenti diventa una grigia brace di rimpianti. Dall’altro/a ai figli, dai figli ai genitori anziani e da essi al resto della comunità per aprirsi al servizio e non condannarsi, quando i figli sono grandi e andati via di casa, ad una maturità e ad un’anzianità ripiegata su se stessa. 

 

          È attraverso questa scelta libera dell’Amore-dono-per-sempre-per-tutti che l’instabilità fisica e sentimentale che caratterizza l’amore sessuato trova la stabilità e con ciò i giovani trovano la via per la loro maturazione. Non si può pensare che la stabilità, l’indissolubilità dell’amore matrimoniale che Dio richiede dall’uomo per farlo essere Uomo per davvero possa fondarsi solo sull’instabilità dell’attrattiva fisica. O possa fondarsi sull’instabilità dell’affettività sentimentale. I sentimenti vanno e vengono. Se l’amore fosse solo sentimento, chiedere ad una persona di amarne un’altra per tutta la vita, sopportandone i limiti, bizzarrie, difetti, egoismi, forse pure tradimenti… sarebbe pretendere che tutti siano dei “fachiri”, anzi molto più che fachiri. Dormire su un letto di chiodi al confronto sarebbe una barzelletta. 

 

          D’altra parte ascoltare frasi del tipo “tutto è finito”, “non ti amo più” - frasi ormai diventate stereotipe non solo al cinema, alla televisione, nelle canzoni, ma purtroppo nella storia di tanti matrimoni falliti nel corso dei primi anni (più di un terzo dei matrimoni celebrati falliscono nei primi tre anni, almeno a Roma!) - , fa capire come sia difficile che la coppia sia in grado di salire al di là del livello iniziale dell’amore, quello appunto fisico-sentimentale. Frasi del tipo “non ti amo più” nascondono infatti la realtà di un amore che non è andato oltre il sentimento e la sua instabilità costitutiva. Esse propriamente infatti significano: “non mi dà più gusto volerti bene”, “sento per te adesso un sentimento di rigetto, un sentimento di indifferenza”. “Sentire” e “non sentire”, dunque: ma questo è Amore? 

 

          Con l’amore di solo sentimento Cristo non sarebbe mai salito sulla croce, tante madri non accetterebbero di correre il rischio di morire pur di non abortire, tanti padri non si ammazzerebbero di lavoro per la famiglia, tante mogli non affronterebbero sacrifici di ogni genere pur di tener unita una famiglia, né si troverebbe nessuno capace di immolare una vita accanto al letto del proprio coniuge o del proprio figlio malati in maniera incurabile… Con i soli sentimenti non ci si sveglia la notte per dar da mangiare al figlio neonato o per non lasciar la moglie sola a cullarlo; non si sopportano e si curano i suoceri ed i propri genitori anziani; non ci si sforza di sorridere ad ogni costo quando si torna a casa stanchi e ci si mette a giocare col proprio figlio… Solo di sentimenti non si vive, anche se sono sempre i benvenuti quando assecondano e rendono più facile la nostra scelta d’amore e di dare la vita…

Cos’è dunque il matrimonio?

          Una palestra dell’amore, la grande scuola di vita con la quale Dio insegna agli uomini a diventare come Lui: ad immagine di Dio li creò, maschio e femmina li creò. Vale la pena iscriversi a questa scuola e soprattutto sforzarsi di frequentarla superando crisi e difficoltà piccole e grandi? La risposta te la dà il Salmo con la più struggente delle preghiere: Signore, che io non resti confuso in eterno (Sal 71,1)!

          Quando si sbaglia, si resta confusi… “Ma sbagliare è umano”, mi obietterai. È vero, si può sempre rimediare ai propri errori fondamentali. C’è il rischio allora che la confusione, la disperazione diventino senza rimedio. E qual è il più atroce dei fallimenti? Riguarderà forse il lavoro, i soldi, il successo, la salute…? Via, non diciamo sciocchezze! Non c’è disgrazia più grande che potrebbe capitare ad un uomo di quella di accorgersi di non essere stato utile a nessuno! Così amava ripetere R. Follereau, l’apostolo dei lebbrosi.

          Il matrimonio, la via del donare la propria vita per dare la vita ad un altro, ad altri che dipendono da noi, è la grande via che Dio ha impresso nella costituzione fisica, psichica e spirituale di ogni uomo, di ogni donna, perché a chiunque sia possibile di sfuggire al “fallimento radicale” dell’utilità di una vita! Vogliamo buttar via tutto per qualche crisi sentimentale? Ma i sentimenti si dominano. Vogliamo mandare tutto a monte per la classica incompatibilità di carattere? Ma i caratteri si plasmano: la vita a due, anzi, serve proprio a questo, basta esserne consapevoli prima di intraprenderla. Vogliamo arrenderci per le difficoltà economiche, per le incomprensioni familiari, per le difficoltà del lavoro…? Vogliamo rinunciare, insomma, per la paura di non farcela, di sbagliare come tanti? Ma la riuscita o non riuscita di un matrimonio non è questione di casualità, è anche questione di preparazione e di volontà. Sì, l’Amore dipende essenzialmente dalla volontà: l’Amore è scegliere di amare, è voler amare, è sforzarsi di amare ad ogni costo, ad ogni prezzo. Per questo l’Amore è anche essenzialmente pazienza, perché la pazienza è “la virtù dei forti” e solo “i violenti si impossessano del regno dei Cieli” (Mt 11,12). L’apostolo Giovanni, al principio dell’Apocalisse (1,9), con la sapienza dell’anziano, così introduce il suo discorso: “Io, Giovanni, vostro fratello e vostro compagno nella sofferenza, nel regno e nella pazienza in Gesù”. 

 

          Solo l’Amore ricevuto e donato, quello con la “A” maiuscola, quello è gratuito. E proprio perché gratuito è inesauribile. Per questo con esso ci si può pagare il “riscatto” di una vita intera, va bene che non ha prezzo. “E voi mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei..” (Ef 5,25). Non rinunciare perciò all’Amore, con esso certamente rinunceresti alla Vita. Con l’Amore tutto puoi acquistare, ma non c’è prezzo per esso. Non c’è prezzo per la gratuità del dono di sé, fino alla fine, fino alla sua pienezza, ad “immagine di Dio” ed “a lode della sua gloria” (Ef 1,14)!

“…forte come la morte è l'amore,

tenace come gli inferi è la passione:

le sue vampe son vampe di fuoco,

una fiamma del Signore!

Le grandi acque non possono spegnere l'amore

né i fiumi travolgerlo.

Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa

in cambio dell'amore, non ne avrebbe che dispregio”.

(Cantico dei Cantici 8,6-7)

Gianfranco Basti

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