L'assegno unico per i figli

Il progetto di un assegno unico universale per i figli è parte di una riforma strutturale che dovrebbe riordinare e unificare in modo organico i provvedimenti esistenti, assorbendo gli assegni familiari, le detrazioni per i figli a carico, i premi alla nascita e il bonus bebè.

L'assegno unico per i figli

 

di Luigi Camiglio, tratto da rivista.vitaepensiero.it

 

Il progetto di un assegno unico universale per i figli è parte di una riforma strutturale che dovrebbe riordinare e unificare in modo organico i provvedimenti esistenti, assorbendo gli assegni familiari, le detrazioni per i figli a carico, i premi alla nascita e il bonus bebè. L’assegno unico ha il merito di portare per la prima volta al centro l’interesse di minori e giovani, e quindi delle loro famiglie, e si estende ai lavoratori autonomi ed incapienti, che nel nostro Paese rappresentano una quota molto (troppo) elevata degli occupati.

 

L’implementazione di questo provvedimento non sarà semplice, ma rappresenta un cambiamento di rotta che, se anticipato a vent’anni fa, avrebbe frenato o interrotto il drammatico declino della natalità e dell’economia, e il parallelo arretramento del tenore di vita. Il 1995 fu l’anno più buio per il tasso di fecondità – 1,15 figli per donna – a cui tuttavia non seguì sul piano politico alcun intervento sulle cause del crollo. Era plausibile attendersi un intervento politico di riequilibrio a favore delle giovani famiglie, utilizzando l’elevato avanzo della cassa per assegni familiari e maternità, ma ciò non avvenne: senza alcun dibattito, politico e pubblico, il cospicuo avanzo venne azzerato a favore di una drastica diminuzione delle aliquote contributive. Così come è avvenuto ancora più di recente, nel 2013 e 2014, con l’avanzo di contributi per gli assegni al nucleo familiare. La distrazione di risorse destinabili ai figli e alla famiglia è stata la prassi normale della politica economica fino ad oggi.

 

Al progetto per l’assegno unico universale dovrebbero essere destinati risorse aggiuntive per 3 miliardi nel 2021 e 6 miliardi a regime. Ciò rappresenterebbe per l’Italia circa il raddoppio degli assegni familiari nel 2018, secondo i dati Eurostat: un aumento rilevante ma ancora pari alla metà della Francia e un quarto della Germania. Il cambiamento strutturale in aumento colma parzialmente un vuoto pluridecennale di risorse per la famiglia, ed è un parziale “ristoro” dei devastanti danni economici e sociali causati dall’incapacità politica di essere almeno allineati con l’Europa.

 

L’assegno familiare unico universale per i figli diventa una componente significativa del reddito familiare, di particolare rilevanza nell’economia italiana, in cui è aumentata la quota di lavoratori con bassi salari. La tenuta economica delle famiglie italiane dipende in modo cruciale dalla divisione fra famiglie bireddito e monoreddito, essendo queste ultime più esposte a fluttuazioni e incertezze dell’economia reale. In entrambe le tipologie di famiglie sono presenti forme di lavoro a tempo parziale o legate all’economia informale, in cui prevale la componente femminile con livelli salariali ancora più bassi, ma necessari per far tornare i conti a fine mese, cercando di far il possibile per non privare i figli dell’essenziale.

 

L’assegno unico universale non distingue queste due tipologie di famiglie, ma perché ciò avvenga è necessario che l’assegno unico sia legato a una riforma fiscale. La famiglia, specialmente con figli, è il centro decisionale per la distribuzione del reddito familiare in consumi e risparmio: in un periodo di pandemia la capacità di risparmio è diventata essenziale per affrontare spese impreviste essenziali per la salute. Ma la distribuzione del risparmio aggregato segue la legge di Pareto, cioè il 20% delle famiglie con il reddito più elevato generano l’80% del risparmio totale: il che significa che una quota consistente di famiglie, almeno un terzo, deve rivolgersi a familiari o prestiti, oppure rinunciare alle cure necessarie nei tempi prescritti. Per i consumi è invece essenziale la distribuzione fra spese fisse o quasi-fisse, come gli affitti e le spese per riscaldamento, elettricità e altro, e le spese discrezionali, in particolare il “carrello della spesa” per il quale diventa centrale la scelta qualitativa di beni e servizi per i figli.

 

Sono possibili varie modalità per avere come riferimento il reddito familiare e un esempio semplice e intuitivo è quello del quoziente familiare francese, in cui le aliquote d’imposta si basano sul reddito familiare diviso per il numero di componenti, corretti per una scala di equivalenza, inevitabilmente il risultato congiunto di valutazioni statistiche, economiche e politiche. In questo modo ci si avvicina a una maggiore equità orizzontale e, ad esempio, le famiglie numerose potrebbero (forse) pagare meno imposte: la dichiarazione dei redditi potrebbe inoltre bilanciare un aspetto trascurato del gettito fiscale, e cioè la elevata regressività delle imposte indirette sui consumi dei redditi familiari più bassi, differenziando le aliquote per tipi di beni, fin dove possibile, e compensando questa “perdita secca” sui redditi bassi, che potrebbe diventare l’opportunità per un limitato risparmio. Non si deve trascurare il fatto che il gettito fiscale delle imposte dirette ha il medesimo ordine di grandezza del gettito delle imposte indirette.

 

L’ISEE può essere considerata la versione italiana del quoziente familiare, perché considera il reddito complessivo del nucleo familiare, più il 20% del patrimonio mobiliare e immobiliare, diviso per una scala di equivalenza: il primo membro “pesa” 1, il secondo 0,57, il terzo (primo figlio?) 0,47, il quarto (secondo figlio?) 0,42 (ma qual è il peso per la famiglia che cambia casa in previsione di un secondo figlio?) Sono previste maggiorazioni di 0,2 per il terzo figlio e comunque fra 0,2 e 0,3, salvo che per problemi di disabilità. Si tratta perciò di pesi che sintetizzano considerazioni statistiche, politiche e sociali, per tener conto della eterogeneità delle situazioni familiari. L’ISEE appare perciò come una misura parziale di equità orizzontale, più di natura esclusiva che inclusiva, a differenza del quoziente familiare che appare molto più come una misura inclusiva, con una sola necessaria correzione per i redditi familiari molto elevati. L’ISEE non ha certo favorito una politica familiare al pari del quoziente familiare francese, che insieme ad altre misure di trasferimenti in natura ha finora garantito un tasso di fecondità pari a 2, cioè quello di una popolazione stazionaria.

 

In Italia l’indifferenza politica su natalità e giovani, a partire dalla silenziosa “distrazione” del 1996, ha continuato a corrodere in profondità l’economia e la società italiana: nel 1996 i giovani fra 20 e 39 anni erano 17,5 milioni e nel 2015 sono crollati a 13,3 milioni: più di 4 milioni in meno. È come se nel giro di vent’anni fosse scomparsa tutta la popolazione del Piemonte: dovrebbe essere evidente che l’ulteriore diminuzione della natalità in questo decennio ha portato a un’analoga diminuzione del Pil potenziale. Ma purtroppo così evidente non è stato. Eppure è sufficiente una superficiale analisi per scoprire il rilevante impatto della diminuzione del tasso di disoccupazione, e quindi delle prospettive di reddito, sulla natalità: in Germania, prima della pandemia, la natalità aveva ripreso finalmente a crescere con il diminuire del tasso di disoccupazione al livello di piena occupazione. Anche per questo, in tempi recenti è in atto un rifiuto internazionale in opposizione all’indifferenza politica rispetto a giovani e minorenni, ed è stata avviata una rete internazionale di “colloqui”, che si è propagata in un lampo, per dibattere la questione dell’inclusione dei minorenni nel “calcolo politico”: al centro del dibattito è attualmente la diminuzione dell’età del voto a 16 anni, già presente in altri paesi come l’Austria, ed è in corso un dibattito sulle possibili modalità con cui riconoscere il peso politico dei minorenni e della loro rappresentanza.

 

In questo quadro l’assegno unico universale per i figli, e il suo rafforzamento, acquista una valenza strutturale ancora più forte e, per paesi come l’Italia, è un fattore fondante per una genuina e sostenibile ripresa della nostra economia: giovani e bambini devono entrare nel “calcolo politico” premiando chi li rappresenta. Nella fase di crisi in corso è necessario intervenire anzitutto sul problema delle disuguaglianze e dei bassi salari, perché la ricaduta sui figli non sia inevitabile, e l’assegno unico universale, esteso ai servizi in natura, deve diventare parte centrale di una politica comprensiva per la famiglia, sia per ragioni di giustizia, oggi forse finalmente riconosciute, sia perché qualunque progetto di ripresa è destinato a non avere fiato senza una ripresa di vigore per le giovani generazioni. Risalire la china del potenziale di crescita sostenibile è l’obiettivo primario, e più potere d’acquisto e capacità di risparmio per le famiglie ne sono il carburante.


 

Luigi Campiglio

Luigi Campiglio è professore ordinario di Politica economica nella Facoltà di Economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Studioso di livello internazionale, è autore di diversi saggi, libri e articoli per riviste italiane ed estere, occupandosi tra l’altro dell’analisi della crisi economica europea, delle generazioni e sviluppo economico, della distribuzione del reddito, consumi e povertà. È direttore della «Rivista Internazionale di Scienze Sociali». 

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