Dialogo tra il cardinale Angelo Scola e il filosofo Massimo Cacciari. Le ragioni del credente e del non credente a confronto sullo sfondo di un orizzonte comune.
Una serata di altissimo livello culturale, cui la città di Varese ha risposto con inaudito calore, quella vissuta il 7 febbraio al Teatro Apollonio di piazza Repubblica, assiepato all'inverosimile. Tutti in ascolto dell'intenso dialogo su "Le ragioni della fede" intessuto dall'Arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, e dal filosofo Massimo Cacciari.
Sul palco dell’Apollonio, due fini pensatori, uniti da un’antica frequentazione divenuta rispetto e amicizia, in ragione degli anni trascorsi in Laguna (Patriarca uno, sindaco l’altro). Scola e Cacciari si sono confrontati e incontrati sul terreno di una riflessione su due termini, ragione e fede appunto, che solo certa letteratura dogmatica e apologetica vuole in contrasto e che invece – come ha espresso Scola con una bellissima immagine – «sono come due fiori distinti, ma intrecciati, che sbocciano sul terreno della conoscenza».
E così, quella che il moderatore, l’inviato del Tg1 Enrico Castelli, temeva potesse trasformarsi in un’aspra dialettica tra credente e non credente, si è rivelata una serata densa di riflessioni filosofiche e teologiche, animate dalla consapevolezza comune che la fede rappresenta un orizzonte irrinunciabile per la ragione umana e per la vita stessa dell’uomo. «Nessun pensatore che sia veramente tale e onestamente impegnato nell’esercizio della ragione – ha detto il filosofo dell’Università Vita e Salute del San Raffaele – può evitare di giungere alla domanda metafisica fondamentale, che riguarda l’ultimo e il primo, cioè Dio stesso.» E, prendendo a prestito l’espressione del grande pensatore tedesco Leibniz, ha ricordato che «iniziamo ogni nostra indagine da filosofi e finiamo da teologi».
Una prospettiva pienamente abbracciata dal cardinale Scola che, di fronte a un uditorio a tratti smarrito nei meandri delle argomentazioni e dei concetti espressi dai due esperti, ha saputo calarla magistralmente nel vissuto quotidiano. E l’ha fatto ricorrendo all’immagine del sorriso di una mamma al suo bambino: «Quel sorriso dice molto più di un gesto – ha detto l’Arcivescovo -, offre una comprensione della realtà e comunica una verità. Il bambino a cui la mamma dona gratuitamente il sorriso, conosce la realtà affidandosi a lei e mettendo in gioco tutto se stesso. Questo affidamento è l’esperienza naturale della fede, che ci consente di vivere ogni giorno, che ci permette di svegliarci e cominciare il nostro impegno ogni mattina».
Ragione e fede, filosofia e teologia a braccetto, dunque, sempre disposte a interrogarsi a vicenda sul senso profondo dell’uomo e della realtà, «pena lo scadere nel dogmatismo (teologico o dell’intelletto) – ha detto Cacciari – che è la vera tomba della conoscenza, insieme alla superstizione».
Ma, allora, dove sta la differenza tra il credente e il non credente? Alla domanda ha risposto il filosofo, additando nell’intensa testimonianza cristiana di Scola la ragione dello scarto con la sua analisi, pur ragionevolmente aperta al trascendente: «Sarei l’ultimo idiota – ha commentato Cacciari – se rifiutassi di riconoscere l’impronta del divino in ogni cosa, se trascurassi la domanda sulla trascendenza. Ma non potrei mai nutrire, come fa Scola in ragione del suo credere in Cristo, del suo essere cristiano, la profonda e irrinunciabile fede nell’uomo, che io vedo contraddetta dalla storia ogni giorno».
E proprio la “testimonianza” (fino al martirio) è stata la cifra sintetica del pensiero espresso dall’Arcivescovo: «C’è un primato dell’esperienza che fonda la coscienza. L’uomo di fede, che crede in Gesù Cristo, fa da ponte tra Cristo stesso e il fratello-uomo. Il testimone non da semplicemente il “buon esempio”, che è un comportamento proprio di ogni uomo: egli conosce la realtà e comunica la verità, smentendo la volontà di potenza di cui siamo intrisi ogni volta che apriamo gli occhi ogni mattina».
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