Mi è caduto l'occhio su un articolo che parlava di questo fenomeno sempre più diffuso dei genitori “elicottero”, quelli che ronzano perennemente attorno ai figli, sempre vigili, costantemente pronti ad intervenire.
Carissimi figli,
è da una settimana che continuo a domandarmi se anche voi mi vedete come una mamma “mongolfiera”. Perché è così che sto iniziando a concepirmi io. È da quando avete cominciato l’oratorio estivo e io ho iniziato a prendere in mano il giornale un po’ più spesso. E giusto lunedì mi è caduto l’occhio su un articolo che parlava di questo fenomeno sempre più diffuso dei genitori “elicottero”, quelli cioè che ronzano perennemente attorno ai figli, sempre vigili, sempre allerta, costantemente pronti ad intervenire se qualcosa sembra mettersi storto. Allora, mi son detta, io all’opposto devo essere per forza un genitore aerostatico: di quelli che, una volta mollati gli ormeggi, sgasano su e fanno ciao con la manina, tanto poi che talvolta per mettervi ben a fuoco mi serve il binocolo.
Ho iniziato a farmene una ragione lo scorso martedì, la mattina in cui – armati di occhialini e infradito – siete partiti alla volta della piscina con gli amici del grest.
- Mamma, ma per te quanto dobbiamo aspettare per fare il bagno dopo pranzo?
- Ma, veramente… per me potete anche andare subito in acqua…
- D’accordo. Noi comunque aspettiamo un po’, va bene?
E va bene. Siete tornati alle sei, abbronzati, contenti, lessati dal cloro e dal sole. Ma tu, G. avevi ancora energia per pettegolare un po’: – Sai mamma, che L. doveva mettersi sotto la canottiera fino alla settima scorsa? È da un po’ che volevo chiederti una cosa…. Una volta, mi compri anche a me una canottiera?
E sia. Del resto, cosa dovrei fare, tenervi al riparo dagli spifferi sotto una campana di vetro? Col rischio che poi, una volta cresciuti e scoperchiati come quando si leva il sigillo di sicurezza, vi ritroviate a corto d’autonomia, fragili e insicuri? Non è una minaccia figli miei, è quel che paventano gli psicologi rispetto ai genitori troppo apprensivi. E nessuno di noi s’auspica questo, giusto?
D’accordo, questa teoria dei figli fragili come bomboniere di cristallo l’ho sposata solo ieri; mentre la storia della guancia di M. risale a tre giorni fa.
- Pronto, buongiorno è la madre di M.? Chiamo dall’oratorio. Non vorrei allarmarla troppo, ma sua figlia è caduta e si è sgraffiata in maniera pesantuccia la guancia destra…
E con qualche altro dettaglietto da film horror mi ha prospettato lo scenario di uno zigomo più sgrattuttuggiato di una crosta di Parmigiano. Dovevi esserti cucinata ben bene.
- Mi dica lei, signora. Vuole venire a prenderla e portarla a casa?
- Uhmmmm… Mi faccia un attimo pensare. Ma la bambina respira, ho capito bene? Allora, la ritiro come al solito alle cinque.
Anche se a volte, ve lo confesso, pare che le cinque non arrivino più. Già, perché non sempre mi viene naturale prendere le distanze. A volte – da dentro il mio cestello pronto per il volo – devo dar fuoco a un sacco di gas e affidarmi al principio di Archimede: che mi dia lui la spinta verso l’alto, su fino a un’altezza più lunga del cordone ombelicale. Ma il bello è che, anche quando sono su in cima, voi, con la vostra mente sempre fra le nuvole, mi tenete testa e talvolta arrivate addirittura dove io non arrivo; a capire, a comprendere, a fidarvi: di me – anche se ogni tanto scompaio dal raggio d’azione – e soprattutto di voi stessi.
Piccoli guerrieri del nuovo millennio che avanzate con decisione, anche senza l’Apache che da vicino vi copre le spalle.
Marcella Manghi
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