Ma l'uomo di oggi ha i piedi di sabbia?

C'è chi è cresciuto in un universo abbastanza strutturato e riesce a coniugare individualismo e umanesimo. Ma altri non vi riescono, non avendo integrato l'idea di autorità, restando incapaci di limitarsi. In famiglia la sfida è quotidiana: per i genitori, saper esercitare sui figli una giusta autorità ...

 

Ma l'uomo di oggi ha i piedi di sabbia?

 

          «Viviamo in un’epoca che cerca di farsi ascoltare anche attraverso coloro che varcano la soglia di uno psicanalista». Catherine Ternynck, francese, ha costruito la propria visione di certe sofferenze tipiche dell’Europa di oggi innanzitutto attraverso l’ascolto di centinaia di "clienti" stesi su un lettino. A proposito del suo ultimo saggio in uscita in Italia, L’uomo di sabbia, individualismo e perdita di sé (Vita e Pensiero, pp. 204, euro 16), la psicanalista racconta che è nato dalla percezione di una trama di fondo, «la distanza crescente fra l’esigenza individualista di performance, o di competenza, e il declino dei valori umanistici». Un divario dalle immediate ricadute sociali: «Almeno in Francia, constato un fossato fra coloro che sembrano adatti per la corsa individualista e gli altri, i quali diventano spesso prede del consumismo e dell’edonismo, come se esistesse una predisposizione per finire ai margini».           Una predisposizione evidentemente non biologica, chiarisce l’autrice: «C’è chi è cresciuto in un universo abbastanza strutturato e riesce a coniugare individualismo e umanesimo. Ma altri non vi riescono, non avendo integrato l’idea di autorità, di legge, restando perlopiù estranei al simbolico e dunque incapaci di limitarsi». Il titolo del saggio si riferisce a un identikit generico che pare diffondersi nelle nostre società: «L’uomo di sabbia non ha radici solide, è cresciuto su una terra povera, senza humus, dove ad esempio l’autorità ha perduto la propria legittimità, dove i bambini devono issarsi nella vita senza figure disposte a formarli, in un quadro di relazioni filiali disgregate».           La fragilità delle radici, chiarisce la Ternynck, sembra suscitare una sorta di nuova fobia di fondo: «L’assenza è molto presto assimilata al vuoto assoluto. Dunque, non dobbiamo mancare di nulla, non sopportiamo privazioni e frustrazioni. Eppure, l’assenza è un tassello importante, perché iscriverla nelle nostre vite ci permette di simbolizzare. Ma la divaricazione fra quest’esigenza e quelle dell’economia di mercato diventa lacerante. Per questo, diveniamo malati del troppo, degli eccessi».           In famiglia, poi, la sfida è quotidiana: «Per i genitori, saper esercitare sui figli una giusta autorità e trasmettere in particolare il senso dei limiti è un dono prezioso. Ciò consentirà più tardi ai figli di divenire autori della propria vita. Ma la nostra società tende implicitamente a colpevolizzare quest’autorità». In questo quadro d’insoddisfazioni che si traducono talora anche in rivendicazioni associative e collettive estreme, certi governi cedono e si lanciano in progetti legislativi più che controversi, come quello sul "matrimonio per tutti" che sta spaccando la Francia. In proposito, la saggista spiega: «Sulla scorta di questo progetto di legge, si considera che ogni persona può detenere al contempo un’identità maschile e femminile. Ma non credo che per la strutturazione di un bambino, una madre che veste i panni di padre sia equivalente rispetto a una coppia tradizionale». In ballo, vi sono questioni di portata antropologica, dato che «il rapporto filiale ha da sempre poggiato su un equilibrio fra la dimensione verticale, quella genealogica, e una dimensione orizzontale, ovvero quella coniugale fra gli sposi». Proprio per questo, sottolinea la Ternynck, «vi sono in Francia tanti psicanalisti anche non credenti che criticano questo progetto di legge come disumanizzante».           Secondo l’autrice, le generazioni attuali pagano probabilmente pure certi effetti imprevisti dei cambiamenti epocali del Dopoguerra: «Il vento libertario conosciuto negli anni Settanta ha finito per rivelare una libertà pesante, per nulla uguale per tutti. L’autonomia si è trasformata in un autonomismo volontarista che può pure sfinire chi è impegnato ogni giorno a costruire la propria traiettoria di vita, a pensarla e a difenderla. Da qui, le frequenti cadute in un individualismo forsennato. Sul piano clinico, ciò può invece accompagnare delle depressioni o il loro rovescio, delle dipendenze di ogni tipo. In un’epoca di presunta autonomia, non si sono mai viste tante persone dipendenti». Ma allora, come arrestare la destrutturazione? In proposito, la Ternynck ammette che è difficile decifrare fra tanti segnali contradditori. Ma esprime almeno una convinzione: «La sfida del XXI secolo consiste nel ritrovare della forza. Probabilmente, reintegrando l’umano, i valori umanistici e spirituali, fra cui anche il rapporto con il male, la colpa, la vulnerabilità. Il male esiste, è in noi, saperlo pensare può rafforzarci. Un vero soggetto si costruisce anche attraverso la vulnerabilità e i fallimenti. La vera libertà fa sempre il paio con il senso di responsabilità».

 

 

Daniele Zappalà

 

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