La Hack viene spesso presentata dai suoi fans come la “voce della scienza”. Detti fans cercano di proporre questa equazione: Margherita Hack è una scienziata, quindi, quando parla lei, parla la scienza. In altre parole: ciò che dice lei è sempre vero, esatto come una formula matematica o come la legge di gravità.
Inizio questa mio articolo un po’ polemico riguardo alle battaglie culturali di Margherita Hack con una precisazione. La Hack viene spesso presentata dai suoi fans come la “voce della scienza”. Detti fans cercano di proporre questa equazione: Margherita Hack è una scienziata, quindi, quando parla lei, parla la scienza. In altre parole: ciò che dice lei è sempre vero, esatto come una formula matematica o come la legge di gravità. L’equazione, falsa, funziona, presso il grande pubblico, per un semplicissimo fatto: che una laurea in astrofisica fa sempre la sua impressione, quantomeno perché è cosa rara. Eppure occorre dire subito tre cose. La prima: la Hack è spesso al centro dell’attenzione più che per i suoi meriti scientifici, per le sue posizioni in campo etico, essendo lei sostenitrice del testamento biologico, del matrimonio omosessuale e della liceità della ricerca sulle staminali embrionali. In campo etico, però, gli scienziati non godono di nessuno status privilegiato. La storia è piena di illustri ricercatori che hanno servito il “razzismo scientifico”, la costruzione di armi di distruzione di massa, gli esperimenti nazisti e comunisti financo sull’uomo…
La seconda precisazione: non basta una laurea in astrofisica per essere un grande astrofisico. Come non basta laurearsi in filosofia per poter sedere accanto a Socrate o a san Tommaso.
La terza: è stata la stessa Hack, in varie occasioni, ad aver sostenuto con umiltà di non essere quel mostro della scienza che qualcuno, strumentalmente, vuole far credere. Se per esempio confrontiamo il suo curriculum con quello dell’unico scienziato credente che accedeva, ogni tanto, alla tv pubblica, Antonino Zichichi, vediamo molto bene che non c’è partita. La stessa Hack, dicevo, lo ha dichiarato candidamente. Quando il noto giornalista ateo, del tutto estraneo al mondo scientifico, Paolo Flores d’Arcais, propose, con discreto seguito, la candidatura della Hack a palazzo Madama con nomina presidenziale, lei stessa dichiarò: “E’ un onore, ma non credo di meritarlo, non ho scoperto nulla…”. Così è, in effetti. La Hack è una brava divulgatrice, sicuramente ha meriti scientifici di qualche genere, ma la sua fama è legata più che altro, come si è detto, alle sue dichiarazioni in campo etico, alla sua militanza comunista e alle sue frequenti apparizioni televisive (dovute al tradizionale predominio, nei media, di una certa sinistra radicale).
La attività politico-culturale di Margherita Hack è così sintetizzata su Wikipedia: “presidente onorario dell’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti; dal 2005 è iscritta all’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica. In passato è stata iscritta al Partito Radicale Transnazionale. Si è candidata alle elezioni regionali del 2005, in Lombardia, nella lista del Partito dei Comunisti Italiani ottenendo 5.634 voti nella città di Milano. Si è schierata nuovamente nelle elezioni politiche del 2006 con il Partito dei Comunisti Italiani… La Hack ritiene l’eutanasia un diritto, un modo per sollevare dalla pena un uomo che soffre. Nel 2011 sottoscrive il proprio testamento biologico..”.
Fatte queste dovute premesse, esordisco da un articolo che la Hack scrisse su Social News del settembre 2009. In esso si faceva una durissima requisitoria contro la Chiesa cattolica, colpevole a suo dire, di aver sempre lottato con ottusa ferocia contro la scienza sperimentale. Leggendo queste righe, che non posso qui riportare per motivi di spazio, verrebbe da fare un’ultima premessa: aver studiato astrofisica non significa di per sé conoscere la storia e la filosofia. La Hack infatti fa delle affermazioni su Giordano Bruno che nessuno dei grandi studiosi laici del personaggio, dalla Yates a Firpo a Paolo Rossi, sottoscriverebbe mai. Poi si butta sul caso Galilei: la minestra buona per tutte le stagioni. Anche qui la sua conoscenza della cultura dell’epoca, e del dibattito in corso, è nulla. Ma pazienza. Infine arriva dove voleva arrivare. A sostenere che la Chiesa oggi, opponendosi alla ricerca, occisiva, sugli embrioni umani, ripeterebbe i mitici errori del passato. “la ricerca sulle staminali embrionali è essenziale perché la Scienza ha dimostrato che può permettere la guarigione di malattie fino ad oggi inguaribili. Frenarla per questioni religiose e ideologiche è un delitto…”. Fermiamoci un attimo: la scienza, scrive la Hack, “ha dimostrato”: se le parole hanno un significato ciò vorrebbe dire che oggi sono possibili svariate cure attraverso l’uso delle staminali embrionali. Invece non è affatto vero. Non esiste una sola cura del genere. Di più: sono almeno vent’anni anni che la Hack e/o altri atei come lei, magari favorevoli anche alla clonazione, vanno predicando che l’uccisione di embrioni umani porterebbe a benefici inenarrabili per l’umanità. A suo tempo il candidato americano J.Kerry promise che se lo avessero eletto, egli avrebbe finanziato la ricerca sulle staminali embrionali, garantendo la cura, solo negli Usa, di 100 milioni di malati! Non ci credette nessuno. Continuiamo, noi rozzi ed ottusi credenti, difensori dell’embrione, a cercare uno scienziato, dagli Usa alla Cina, che abbia ottenuto qualcosa con le staminali embrionali. Invano. A maggior ragione per il fatto che molti di quelli che sino a pochi anni fa ci credevano e ci lavoravano, hanno ormai abbandonato il campo, riconoscendo che ci sono vie ben più promettenti, ed eticamente senza conseguenze. Ma la Hack continuava la sua requisitoria: “l’embrione è solo una cellula”, di cui evidentemente si può fare ciò che si vuole. Peccato che sia una cellula con 46 cromosomi, cioè appartenete alla specie umana, e che ognuno di noi, quindi, sia stato null’altro che un embrione: però lasciato vivere. La definizione dell’embrione umano data dalla Hack potrebbe essere adattata così: perché non sperimentare sull’uomo? “Non è altro che un ammasso di cellule”. Intuiamo però, senza grandi studi, dove una simile posizione porterebbe e dove ha già, in qualche luogo e qualche tempo, portato.
Dall’articolo in questione, passo ad una delle ultime fatiche della Hack, “Perché sono vegetariana”. In questo breve lavoretto la Hack riassume fatti e idee fondamentali della sua vita. Prima di analizzarli vorrei però riflettere su due vicende: la nascita della Hack a Firenze, in via Ximenes, e il conferimento alla Hack, nel 1994, del premio scientifico (uno dei pochissimi da lei ottenuto) denominato “Targa Piazzi”. Ximenes e Piazzi: chi erano costoro? Leonardo Ximenes fu un sacerdote gesuita della Toscana del Settecento. Astronomo, “geografo imperiale” di Francesco Stefano, “matematico reale” dell’arciduca Pietro Leopoldo di Toscana, tra le altre cose fondò l’osservatorio astronomico di Firenze che ancora oggi porta il suo nome e fu impegnato per un trentennio (1755-1785) nei principali lavori idraulici e stradali del Granducato e di altri stati italiani. Inoltre lavorò con grande successo alla bonifica delle paludi maremmane, lottando contro la malaria e il paludismo. I suoi successori all’Osservatorio astronomico ximeniano di Firenze furono a lungo sacerdoti, per lo più scolopi, con grandi meriti in campo scientifico sino alla I metà del Novecento. E Piazzi? Giuseppe Piazzi (1746-1826) fu un sacerdote teatino, fondatore e direttore dei prestigiosi osservatori astronomici di Palermo e Napoli (Capodimonte). Nel 1801 inoltre scoprì il primo degli asteroidi, cui dette il nome di Cerere, assurgendo così a fama internazionale. Casi isolati di cattolici e di sacerdoti, amici dell’astronomia, più unici che rari?
Al contrario. Per rispetto della storia sarà bene ricordare che per un lungo periodo, circa sino al 1750, furono le cattedrali a fungere da embrionali osservatori astronomici e a fornire lo spazio per la costruzione di importanti meridiane, tra cui quella, celeberrima, di Bologna.
E proprio a Bologna, città dello Stato pontificio, nacque nel XVI secolo il primo osservatorio astronomico, “con il consenso ed il supporto finanziario della Santa Sede” e con il sostegno, protratto e rinnovato nel tempo, di altre autorità ecclesiastiche.
Tornando agli anni di Piazzi e Ximenes, fu l’abate Giuseppe Toaldo (1719-1797) l’autore del progetto di conversione della Torlonga di Padova nell’ Osservatorio Astronomico padovano, di cui dal 1806 sarà direttore l’abate Vincenzo Chiminello (l’Enciclopedia Treccani ricorda che quest’ultimo fu anche professore di astronomia e meteorologia nell’università della città e fu “tra i primi a eseguire e a registrare sistematiche osservazioni meteorologiche, riconobbe esservi due massimi e due minimi barometrici diurni”). Analogamente a Firenze, Padova, Palermo, Napoli, Roma (dotata di ben 3 osservatori) ecc. anche a Torino le origini delle locali ricerche astronomiche videro protagonista un sacerdote, che è stato anche il padre dell’elettricismo italiano ed un importante metereologo: il sacerdote scolopio Giovanni Battista Beccaria (1716-1781)…
Potrei continuare a lungo elencando per esempio i circa 40 gesuiti astronomi cui sono dedicati crateri lunari, oppure il fatto che gran parte della metereologia e della sismologia nacquero grazie a monaci e religiosi. Per brevità, però, basti ricordare alla Hack e ai suoi fans, troppo facilmente inclini allo sberleffo nei confronti dei credenti, che nella storia dell’astronomia i grandi nomi non sono quelli di atei (nessuno), ma quelli dell’ecclesiastico Niccolò Copernico; del cattolico Galilei; del fervente cristiano protestante Keplero; del fondatore della spettroscopia e pioniere dell’astrofisica moderna padre Angelo Secchi…per arrivare, in tempi più recenti, al sacerdote gesuita che per primo ipotizzò l’espansione delle galassie e il big bang, Georges Edouard Lemaître (1894-1966). Se invece vogliamo stare in Italia, in tempi più recenti, si possono ricordare il nome di don Giuseppe Tagliaferri, presidente della Società astronomica italiana e quello dei cattolici Livio Gratton, Piero Benvenuti, Marco Bersanelli…, nessuno dei quali inferiore, quanto a meriti, anzi!, alla più celebre Margherita. Livio Gratton, per esempio, fu astronomo triestino morto nel 1991, che diede contributi in vari campi, sino a divenire presidente della Società astronomica italiana e vicepresidente dell’Unione astronomica internazionale; Piero Benvenuti, vivente, è stato presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), dal 2004 al 2007; nel giugno 2007 è stato nominato Consigliere di Amministrazione dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), ed è membro della Pontificia Accademia delle Scienze; Bersanelli, infine, è un “ciellino” tra i responsabili del satellite Planck.
Dopo questa digressione storica torniamo al librino in questione. In esso la Hack sostiene, in coerenza con la dottrina teosofica ricevuta in eredità dai genitori (nella foto la fondatrice della Teosofia), e in accordo con le religioni orientali, di origine indiana, di cui si dichiara ammiratrice, il vegetarianesimo e l’animalismo. Il testo è dunque una descrizione minuziosa delle sofferenze degli animali sottoposti a macellazione, sperimentazione, vivisezione e quant’altro, intessuta di strali verso religione cattolica (non potevano mancare) e di professioni di fede materialista. Interessa qui riflettere almeno su due fatti. Il primo: l’esaltazione delle filosofie induiste, proposta ad ogni piè sospinto in alternativa al cristianesimo, occulta il fatto che nella storia della scienza le religioni orientali non solo non hanno dato alcun contributo, ma anzi hanno funto e fungono tutt’oggi di ostacolo a qualsiasi progresso scientifico. Mentre il continente in cui sono sorte le università, la scienza e la medicina è proprio quell’Europa, profondamente segnata dalla religione cristiana, di cui la Hack non sembra apprezzare la storia, specie quella passata. Il secondo: la concezione della Hack porta coerentemente ad annullare la specificità dell’uomo, ridotto ad un aggregato di materia senza alcuno scopo ultimo. Così, per riallacciarmi a quanto si diceva all’inizio, allorché si ricordava l’assoluto disprezzo della Hack per l’embrione umano, rimane una forte perplessità: come può la celebre opinionista (che ha fatto anche, tra le altre cose, l’astronoma), stracciarsi le vesti con tanto, encomiabile, passione, per la salvezza degli animali, senza mai spendere una parola che sia una contro la vivisezione e la macellazione degli embrioni e dei feti umani con l’aborto, la sperimentazione in laboratorio, la clonazione…? Può, certamente, perché anche la Hack appartiene a quella grande famiglia degli animalisti – che va dai verdi nazisti sino a Peter Singer, passando per quella bioeticista italiana che ha riproposto recentemente la liceità pagana dell’infanticidio-, che negando l’esistenza di Dio e dell’anima umana, finiscono poi per abbassare l’uomo sotto al livello dell’animale. Così, ancora una volta, diventa chiaro che senza Dio, anche l’uomo è destinato a perdere il suo valore e significato. E la creazione diventa, come ebbe a dire proprio la Hack, la grande “scoreggia del Big bang”. Ma non è scienza questa, è solo materialismo marxista sotto mentite spoglie.
“Non c’è da stupirsi, quindi, se il primo osservatorio italiano nasce nel solco dell’antica tradizione astronomica bolognese. Ai primi del XVIII secolo, il conte Luigi Ferdinando Marsili (1658-1730) aveva incaricato Eustachio Manfredi (1674-1739) di erigere a sue spese una specola astronomica nel suo palazzo, già sede di molteplici attività scientifiche, grazie alle collezioni di strumenti di cui Marsili era in possesso e che metteva a disposizione degli studiosi. La Specola di Palazzo Marsili fu in attività fino al 1709, anno in cui i familiari di Marsili si opposero alla cessione della parte del Palazzo dove erano ubicati i vari laboratori che egli intendeva donare alla città di Bologna.Marsili smantellò i vari laboratori, nell’intento di trasferire gli strumenti in altra città, intento da cui le autorità bolognesi lo fecero recedere, offrendo garanzie per la loro adeguata conservazione e il loro regolare utilizzo attraverso l’allocazione di appropriate risorse umane e finanziarie. Bologna tuttavia era una città dello Stato Pontificio e, come tale, occorreva il consenso ed il supporto finanziario della Santa Sede, che non mancò. Marsili seppe perorare la causa presso Clemente XI, facendogli dono delle otto splendide tavole dipinte da Donato Creti (1671-1749) raffiguranti le osservazioni astronomiche dei vari corpi celesti, in cui erano riprodotti gli strumenti originali della specola marsiliana. La nuova specola era parte di un più ampio progetto, che era la fondazione dell’Istituto delle Scienze di Bologna, in cui sarebbero confluiti i vari gabinetti scientifici marsiliani; per questo progetto, il Papa concedette un primo finanziamento di 2.400 scudi, cui seguirà nel 1720 un secondo contributo di 15.000 scudi per completare i lavori nella sede di Palazzo Poggi…”.
I successori di Clemente XI non furono da meno nel supportare il progetto: Innocenzo XIII diede ordine che l’Osservatorio fosse ultimato in tempo per essere visitato dai pellegrini dell’Anno Santo del 1725; in effetti, esso iniziò a funzionare nel 1727, sotto la sempre vigile guida di Manfredi, che ne aveva curato il trasferimento e la costruzione. Clemente XI elargì un nuovo finanziamento per l’Istituto delle Scienze nel 1738, grazie al quale Manfredi riuscì a rinnovare la strumentazione. Non solo i Papi, ma anche diverse altre autorità religiose contribuirono con donazioni, in termini di denaro o di strumenti: tra questi, i cardinali Sebastiano Antonio Tanari e Giovanni Antonio Davia, che fecero dono, rispettivamente, di un pregevole cannocchiale dell’ottico Campani e di una serie di strumenti, tra cui un orologio astronomico, un quadrante, un cannocchiale ed un telescopio riflettore newtoniano. Bologna, pertanto, è un tipico caso in cui la Chiesa — nelle sue varie personalità e/o autorità — ha contribuito con dei mezzi finanziari allo sviluppo e all’impianto di un osservatorio astronomico vero e proprio, dove svolgere ricerche in modo istituzionale.
Francesco Agnoli
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