Mario il guerriero e la mamma

Commovente il modo nel quale ha descritto il suo momento più emozionante, quando è andato in tribuna e ha abbracciato la madre adottiva, una donna non più giovane venuta apposta a Varsavia, dicendole: "I gol sono per te".

Mario il guerriero e la mamma

da Attualità

del 29 giugno 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 

Non sappiamo ancora se usciremo vittoriosi da questo Europeo 2012 o se la Spagna ci costringerà a chinare il capo nel momento più difficile e doloroso, ad un passo dal successo. Non sappiamo cosa succederà quando si smetterà di parlare di calcio giocato e si tornerà, inevitabilmente, a parlare di scommesse, partite vendute e comprate. Soprattutto, non sappiamo cosa succederà tra uno o due mesi all’Euro, non inteso come rassegna sportiva, e all’Italia, non intesa come nazionale di calcio.

 

I social network si dimostrano inesorabile termometro del Paese reale: il responso è che l’Italia è divisa in due. Da un lato coloro che reclamano il diritto di staccare per un attimo la spina e godersi uno dei pochi momenti in cui l’Italia si ritrova davvero unita – il tifo per la nazionale di calcio – dall’altro i sostenitori del realismo a oltranza, ai quali non importa un fico secco di undici ragazzotti in pantaloncini.

 

Questo articolo è indifferentemente sia per i primi che per i secondi. Tutti assieme guardate la foto in alto a sinistra. Cliccateci sopra se volete, ingranditela. Anche se non avete la più pallida idea di cosa sia il fuorigioco o del perché ci sia un giocatore in campo che ogni tanto prende la palla con le mani, avrete riconosciuto la nuca possente e la striscia di capelli tinti e rasati che sormonta il cranio di Mario Balotelli, il bad boy. Quello che schianta le supercar, che si azzuffa in campo, che si accompagna a escort o starlette siliconate. Quello che Why always me?

 

Quella che non avete riconosciuto, probabilmente, è la donna che gli accarezza il viso, premendo dolcemente la guancia di Mario contro la sua. Quella donna è Silvia Balotelli e quasi 19 anni fa ha ottenuto l’affidamento di quel ragazzo, dopo che i genitori naturali ghanesi avevano deciso di abbandonarlo in un ospedale a distanza di un anno dalla nascita. Lo ha portato in casa, lo ha cresciuto e coccolato assieme al marito Franco e agli altri tre figli naturali Corrado, Giovanni e Cristina, lo ha aiutato ad entrare ed esplodere nel magnifico e terribile mondo del calcio. Lo ha fatto diventare suo figlio.

 

Silva in quella foto sta piangendo e di sicuro non sarà stata la prima volta che lo ha fatto per suo figlio. Avrà pianto ogni volta che un bambino ha guardato con sospetto la pelle scura di Mario, avrà pianto ogni volta che i suoi coetanei l’hanno apostrofato “negro di merda”, avrà pianto per i buuu e i “se saltelli muore Balotelli”. Lacrime di rabbia, di frustrazione, di paura. Nel silenzio della propria camera o dall’altra parte dello schermo. Ma stavolta Silvia non ha pianto per questo.

 

Ha pianto dopo duemila chilometri in aereo, lei che giovincella non è più. Ha pianto dopo un’ora in cui ha visto suo figlio giocare davanti a tutto il mondo, ma soprattutto davanti a lei. Ha pianto dopo averlo visto cadere a terra, rialzarsi, segnare, esultare, segnare ancora, mostrare i muscoli. Ha pianto dopo averlo visto soffrire in panchina con la testa nascosta dalla maglietta e poi, finalmente, ha pianto mentre lo abbracciava. Di gioia.

 

Aveva gli occhi lucidi anche Mario, mentre la Rai lo intervistava e dedicava a sua mamma i due gol contro la Germania. È rimasto in silenzio quando la telecamera lo ha sorpreso sepolto dall’abbraccio festoso degli amici e da quello talmente dolce da far male di Silvia. «In finale viene anche papà, dovrò farne quattro» ha detto scherzando, ma forse non troppo.

 

Cosa c’entra questo con lo spread, la crisi, l’euro e l’Euro 2012? Tutto. C’entra Mario: un italiano figlio del nostro tempo, nato da immigrati che da noi cercavano la speranza e che, invece, hanno dovuto abbandonare in un ospedale il loro primogenito. C’entra Silvia: l’Italia a cui non smette mai di battere il cuore, neanche se tre figli ti saccheggiano già il portafogli e il quarto ha scritto nel dna un futuro sull’ottovolante. C’entriamo noi: che Mario l’abbiamo insultato in maglia nerazzurra, salvo ricrederci e strizzargli l’occhio quando si è fidanzato con la Fico, per poi metterlo alla gogna dopo due partite e adesso “abbiamo il ’90 più forte del mondo”.

 

Il calcio è un time-out, mentre la realtà continua a scorrere. Però solo chi gioca sa quanto sia importante anche una minima pausa per riprendere fiato. E quella foto, un flash prima che l’arbitro rimandi la vita in campo, è una meravigliosa boccata d’ossigeno.

 

Francesco Guarino

 

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Siamo esplosi al primo gol, le emozioni ci hanno travolto al secondo e abbiamo deciso per sempre che sì, Balotelli è davvero 'Supermario'. Giovinezza, potenza e talento allo stato puro, e una freddezza, una lucidità che stupiscono in un ragazzo che fuori dal campo ne combina di tutti i colori: in 16 minuti, quelli trascorsi tra le due reti, ha travolto le illusioni tedesche e deciso il nostro 2-1 sulla Germania.

 

E al 36' del primo tempo, Mario Balotelli è diventato un'icona. Quando si è sfilato la maglietta ed è rimasto immobile, in quella posa da guerriero con gli occhi fissi, in un lampo abbiamo intuito gli spazi africani e contemplato una statua Masai. Con quel nome che più italiano non si può, 'Supermario' è stato un simbolo della globalizzazione bella, che travolge i razzismi e senza la quale non avremmo umiliato i tedeschi.

 

Poi, quando parla, Balotelli ritorna ragazzo. Lo spogliarello che gli è costato il cartellino giallo, lo ha commentato così: 'I compagni non si sono mica arrabbiati, è che mi invidiano il fisico'. Presunzione sfacciata e ingenua, e assolutamente giovanile. Ma commovente, invece, il modo nel quale ha descritto il suo momento più emozionante, quando è andato in tribuna e ha abbracciato la madre adottiva, una donna non più giovane venuta apposta a Varsavia, dicendole: 'I gol sono per te'.

 

Prima della partita contro la Germania, Balotelli lo si amava o lo si odiava, per motivi viscerali più che razionali. Il suo colore, la sua storia, la sua età, le sue intemperanze venivano usati per abbatterlo o giustificarlo. Ma a Varsavia alla fine si è visto soltanto il talento, quella porta dove chi è nato fuoriclasse sbatte tutte le rabbie e gli umori balzani e crea davanti al mondo qualcosa che è più grande di lui. E ieri sera eravamo tutti Balotelli: abbiamo dimenticato i problemi, i mal di pancia e un'Italia (intesa come Paese, non come Nazionale) che non sempre ci piace, per sentirci fieramente, istintivamente italiani. Come quel nostro connazionale di colore, immobile in mezzo alla stadio, che senza volerlo in un secondo ci ha reso meno provinciali.

 

Speriamo che Supermario abbia detto un grazie a Prandelli, che ha creduto in lui ed è riuscito a dargli qualche regola. Noi, da parte nostra, ringraziamo di cuore questo allenatore e quest'uomo che non ha mai perso la sua umanità in un ambiente cinico, che riesce a vincere senza diventare arrogante e ha quella faccia onesta e normale che non crea un'immagine, ma un esempio e un risultato sì.

 

Rosanna Biffi

 

Rosanna Biffi

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