Maturità: parliamone fuori dagli schemi

Ho letto tanti commenti autorevoli sulle tracce della prima prova dell'esame di Stato. Qualcosa condivido, qualcosa no. La mia idea? Il vizio di chi scrive è chiedersi se sono belle o interessanti in sé, rischiando di confondere il soggetto con l'oggetto. La questione è tutta lì.

 

 

del 25 giugno 2013

 

 

Ho letto tanti commenti autorevoli sulle tracce della prima prova dell’esame di Stato. Qualcosa condivido, qualcosa no. Come sempre.

La mia idea? Il vizio di chi scrive (ma anche della commissione che ha predisposto le sette tracce) è chiedersi se sono belle o interessanti in sé, rischiando di confondere il soggetto con l’oggetto. La questione è tutta lì. Certo, sotto i riflettori finiscono le tracce, che ogni anno vengono passate al setaccio dei commentatori “esperti”. Spesso però si dimentica che dovrebbero essere solo strumenti per provocare gli studenti – loro sì, al centro – ad esprimersi, e ad esprimere la propria “maturità”. Questione di prospettiva. A cosa (a chi) teniamo veramente noi insegnanti, noi adulti, i membri della commissione ministeriale? Il punto è questo, perché se la risposta – come dovrebbe – sono i ragazzi, cambia tutto. Lo sa chi vive la scuola, non chi la guarda da fuori. Fossero anche occhi ministeriali.

 

 

Le tracce della prima prova sono uguali per tutti gli indirizzi: dagli Istituti professionali, ai tecnici, ai licei. Tenetelo presente per un momento. Tutti gli studenti dovrebbero avere la possibilità di scegliere tra sette tracce, in modo da poter dare il meglio di sé, seguendo i propri interessi, i propri talenti. Risultato? I risultati li vedrò domani, quando, insieme alla commissione, leggerò e correggerò i lavori dei miei allievi (liceo linguistico). Ma lavoro nella scuola dal 1987, conosco i programmi e conosco i ragazzi. Non hanno potuto svolgere l’ambiziosissimo tema storico (illustrare gli aspetti più rilevanti della vicenda politica di due tra i Paesi emergenti – Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica). Non il saggio breve sugli «omicidi politici» (certo che ne abbiamo parlato, nelle ore di storia, ma che competenze possono avere dei diciottenni su questioni aperte come il caso Moro – su cui ci arrovelliamo da più di trent’anni?). E non è vero – come ho letto – che queste tracce sono la dimostrazione che la scuola è aperta al mondo e non è autoreferenziale. Non basta si nominino l’economia, la politica, la ricerca scientifica, la cooperazione, la coevoluzione! Queste tracce, con questi temi così specialistici, a 18-19 anni prevedono unicamente la ripetizione del “sentito dire”, non certamente il manifestarsi di quel senso critico cui invece la scuola dovrebbe educare.

      E allora, sapete una cosa? Qui lo dico e non lo nego: è colpa mia. Sì, è colpa solo mia se i miei studenti, di fronte a queste tracce, ieri hanno mostrato facce da funerale peggio di quando una verifica è andata malissimo. Ho sempre insegnato ai ragazzi rigore e umiltà. Ad approfondire, ad andare al fondo delle questioni, a documentarsi, a parlare di cose che sanno, oppure a stare zitti. In questi anni ho ripetuto senza mai stancarmi che la vita, la scuola, la cultura sono cose serie e non si improvvisa. E allora come vuoi che si buttino a parlare con leggerezza della ricerca sul cervello, sul progetto Brain per cui Obama ha già stanziato 100 milioni di dollari? O di «Stato, mercato, democrazia», «buona politica - buona economia»? E’ vero che per costruire il fantomatico “saggio breve” e accontentarsi della sufficienza basterebbe aver imparato a muoversi bene tra i documenti ministeriali, ma i miei ragazzi hanno avuto come compagna di strada un’insegnante che non sa che farsene di computer-di-carne-ordinatori-di-documenti, ma vuole esseri umani, teste pensanti. Sanno che, quando correggo, la differenza la fanno i contributi, le conoscenze personali, la… vita. O ci sono – e si vedono – o la tecnica senza il cuore non serve a nulla.

Non penso di dire delle corbellerie. Chi è entrato nelle classi, chi ha figli di quest’età lo sa: la media degli studenti che hanno frequentato l’ultimo anno sta esattamente in mezzo tra l’esperto ultra specialistico richiesto da quattro di queste tracce, e l’assemblatore passivo.  Spiacente. I miei ragazzi – e ne sono orgogliosissima! – non appartengono a nessuna di queste due categorie, ed è per questo che domani toglierò i sigilli alla busta e troverò svolta solo l’analisi del testo, il saggio breve di ambito artistico – letterario (Individuo e società di massa) e il tema di ordine generale. Lì, almeno, avranno potuto parlare anche di sé. Certo, non come avrebbero voluto, non come sono stati abituati a fare nel corso di questi anni, accompagnati dalla certezza che lo studium è innanzitutto curiosità e passione per l’umano. E’ così che, passo dopo passo, insieme ci siamo preparati al “grande viaggio”: non accontentandoci dei tecnicismi e del copia-incolla, ma cercando, dentro al cuore, la nostalgia del mare aperto.

 

Luisella Saro

 

http://www.culturacattolica.it

 

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