Michele Rua

Il secondo don Bosco

Ricorre oggi la memoria del Beato Michele Rua, primo successore di don Bosco alla guida dei salesiani

«Don Rua è stato il fedelissimo, perciò il più umile e insieme il più valoroso figlio di Don Bosco». Con queste parole dette con tono deciso, il 29 ottobre 1972 Papa Paolo VI scolpì per sempre la figura umana e spirituale di Don Rua. Il Papa, in quell’omelia scandita sotto la Cupola di San Pietro, delineò il nuovo Beato con parole che quasi martellarono questa sua fondamentale caratteristica: la fedeltà. «Successore di Don Bosco, cioè continuatore: figlio, discepolo, imitatore… Ha fatto dell’esempio del Santo una scuola, della sua vita una storia, della sua regola uno spirito, della sua santità un tipo, un modello; ha fatto della sorgente, una corrente, un fiume». Le parole di Paolo VI elevavano ad un’altezza superiore la vicenda terrena di questo “esile e consunto profilo di prete”. Scoprivano il diamante che aveva brillato nella trama mite e umile dei suoi giorni.

Era cominciata un giorno lontano con un gesto strano. Otto anni, orfano di padre, con un’ampia fascia nera fissata dalla mamma sulla giacchetta, aveva teso la mano per avere una medaglietta da Don Bosco. Ma a lui invece della medaglia Don Bosco aveva consegnato la sua mano sinistra, mentre con la destra faceva il gesto di tagliarsela a metà. E gli ripeteva: “Prendila, Michelino, prendila”. E davanti a quegli occhi sgranati che lo fissavano meravigliati, aveva detto sei parole che sarebbero state il segreto della sua vita: “Noi due faremo tutto a metà”.

E in lenta progressione cominciò quel formidabile lavoro condiviso tra il maestro santo e il discepolo che faceva a metà con lui tutto e sempre. Nei primissimi anni Don Bosco volle che Michele stesse con lui, ma che ogni sera tornasse a cenare e a dormire da sua madre, la signora Giovanna Maria. Quando però veniva all’Oratorio, Don Bosco già in quei primi anni voleva che stesse accanto a lui anche a tavola. Michele cominciava ad assimilare così la maniera di pensare e di comportarsi di Don Bosco. “Mi faceva più impressione – dirà più tardi – osservare Don Bosco nelle sue azioni anche minute, che leggere e meditare qualsiasi libro devoto”. Stando con Don Bosco, doveva accumulare in quel corpo minuscolo tanta serena forza da bastargli per tutta la vita, nella quale avrebbe dovuto esprimere un’energia continua.

Il 3 ottobre 1852, durante la gita che i migliori giovani dell’Oratorio facevano ogni anno ai Becchi per la festa della Madonna del Rosario, Don Bosco gli fece indossare l’abito ecclesiastico. Michele aveva 15 anni. La sera, tornando a Torino, Michele vinse la timidezza e chiese a Don Bosco: «Si ricorda dei nostri primi incontri? Io le chiesi una medaglia, e lei fece un gesto strano, come se volesse tagliarsi la mano e darmela, e mi disse: ‘Noi due faremo tutto a metà’. Che cosa voleva dire?». E lui: «Ma caro Michele, non l’hai ancora capito? Eppure è chiarissimo. Più andrai avanti negli anni, e meglio comprenderai che io volevo dirti: Nella vita noi due faremo sempre a metà. Dolori, cure, responsabilità, gioie e tutto il resto saranno per noi in comune».  Michele rimase in silenzio, pieno di silenziosa felicità: Don Bosco, con parole semplici, l’aveva fatto suo erede universale.

Don Bosco non gli comandava nulla; gli faceva soltanto conoscere i suoi desideri. E per Michele erano comandi, senza pensare a quanto gli sarebbero costati. Furono desideri di Don Bosco, prontamente attuati da Michele, l’insegnamento della religione ai giovani interni, la cura dei colerosi nella terribile pestilenza del 1854, l’insegnamento del nuovissimo e complicato sistema metrico decimale, l’assistenza costante nel vastissimo refettorio, nel cortile, in chiesa, la direzione dell’Oratorio domenicale di San Luigi quando don Leonardo Murialdo dovette ritirarsi, la copiatura, fatta di notte, nella sua nitida e ordinata calligrafia delle pagine arruffate della Storia d’Italia di Don Bosco, e delle pagine tormentate delle prime Regole della Società di San Francesco di Sales.

Il 29 luglio 1860 Michele Rua è ordinato sacerdote. Diventato ‘don Rua’, riprende alacremente tutte le sue occupazioni. Giovanni B. Francesia, a cui il carico di lavoro di don Rua sembra eccessivo, dice in quei giorni a Don Bosco: “Ma perché gli fa fare tante cose?”. Si sente rispondere: “Perché di don Rua ne ho uno solo”. Di anno in anno l’Oratorio diventa una casa immensa. Ogni anno i giovani salgono di numero in maniera incredibile. Arriveranno a 800, di cui 360 artigiani. I Salesiani, che crescono anch’essi ogni anno, sono impegnati nelle scuole, nei laboratori, nei vasti cortili. A lavorare e a coordinare il lavoro di tutti, con la supervisione di Don Bosco, c’è don Rua.

Tra il cumulo delle sue mansioni, in tutti quegli anni don Rua è sempre il Direttore dei numerosissimi giovani che affollano Valdocco: studenti, artigiani, aspiranti salesiani, giovanissimi salesiani. Don Rua si sforza di ‘diventare Don Bosco’ in tutto, anche nel comportamento esterno. Certo, l’aspetto fisico e il temperamento sono diversi. “Le sue maniere, la sua voce, i suoi lineamenti, il suo sorriso, non avevano quel misterioso fascino che attirava e incatenava i giovani a Don Bosco. Ma era per tutti il padre premuroso e affettuoso, preoccupato di comprendere, incoraggiare, sostenere, perdonare, illuminare, amare”, come aveva cominciato ad esserlo a Mirabello. E i giovani di Valdocco, rabdomanti infallibili come tutti i giovani del mondo quando c’è da capire chi vuol loro bene e chi invece ‘fa solo finta’, dimostrarono coi fatti di riconoscere in lui un amico paterno.

Dal 1875 al 1885 Don Bosco vive il suo decennio più intenso, ma brucia anche inesorabilmente la sua vita. Accanto a lui, sempre più suo braccio destro, lavora con intensità e silenzio don Rua, ricevendo sempre maggiori responsabilità. Giorno dopo giorno diviene agli occhi di tutti ‘il secondo Don Bosco’. 

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Tratto da: sdb.org

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