Un blog: poca trasparenza, riprese effettuate in barba alle leggi locali, campi profughi riprodotti in set cinematografici, ricavi non destinati alle popolazioni coinvolte.
Scene realizzate in veri e propri set cinematografici, riprese effettuate in barba alle leggi locali e poi l'accusa più infamante: destinare il ricavo delle puntate non ai rifugiati ma a rimpinguare le casse delle due organizzazioni coinvolte, Intersos e Unhcr (Agenzia Onu per i rifugiati). A una settimana circa dalla messa in onda riesplode la polemica su “Mission”, il docu-reality sui campi profughi in onda dal 4 dicembre su Rai Uno. A riaprire il dibattito le rilevazioni del blog Africanvoices, che mostra in anteprima alcune scene del programma: Paola Barale, occhialoni gialli e tenuta ginnica, che cucina in quello che dovrebbe essere un campo profughi ma che sembrerebbe piuttosto un tranquillo villaggio congolese; Emanuele Filiberto Di Savoia che dipinge insieme a lei una scuola, anche questa all’interno del villaggio e infine Albano, panama bianco e sciarpa di seta, che distribuisce cibo in Giordania. Immagini diffuse insieme ad accuse precise dall’autore del blog che scrive sotto lo pseudonimo Fulvio Beltrami (si qualifica come giornalista) e cita come fonte un operatore di Intersos coinvolto nella realizzazione del programma. Le accuse di poca trasparenza nella gestione, riaprono così il dibattito sul più contestato programma televisivo di stampo sociale. Ma vengono tutte rinviate al mittente dal presidente di Intersos Nino Sergi, che garantisce sulla qualità e regolarità del programma e soprattutto sulla destinazione dei fondi ai paesi interessati dalle riprese: Ecuador, Mali, Giordania, Congo e Sud Sudan. E che parla di “accuse infamanti diffuse in malafede”.
Il campo profughi riprodotto in “set” cinematografici. I primi dubbi sulle immagini sono relative alla località delle riprese. L’obiettivo del programma, secondo quanto riferiscono gli autori, è raccontare al grande pubblico di Rai Uno la realtà terribile che vivono le popolazioni nei campi profughi. Ma le scene diffuse che vedono Paola Barale cucinare per i profughi sembrerebbero realizzate piuttosto in un villaggio. “Sottoposto alla visione della comunità congolese in Uganda, il video sembra contenere molti dubbi sulla località esatta delle riprese che potrebbe non essere Doruma. La comunità congolese è concorde nell’affermare che non si tratta di un campo profughi ma di un tranquillo villaggio congolese non toccato dalla guerra. La scena iniziale con la Barale che aiuta in cucina ha alte probabilità di essere stata girata in una abitazione privata” –si legge sul blog, che riporta anche la risposta di UNHCR Italia: “In Congo le riprese non sono state realizzate in un campo profughi come da lei indicato, bensì nella località di Doruma dove sono presenti, come siamo certo lei saprà, circa 17.000 sfollati interni”. “Questa precisazione - continua Beltrami - ci ha aiutato a superare la nostra sorpresa quando siamo venuti a conoscenza dalle autorità locali congolesi che il campo sfollati di Doruma non esiste più da anni e molte delle persone che vi erano accampate, sono state trasferite nei campi di Mugunga 1 e di Kanyarychinya, rispettivamente nelle zone ovest e nord di Goma, città capoluogo del Nord Kivu”.
Non solo, ma dalle prime immagini l’impronta del programma sembra anche distante dalla volontà di spiegare il lavoro degli operatori umanitari nelle realtà interessate. Le immagini mostrano “una dimensione di finto-reality realizzato a metà strada tra gioco, fiction, isola dei famosi, in una atmosfera familiare, tranquilla e gioiosa impossibile da trovare in un campo profughi. I protagonisti sono solo i Vip impegnati in pseudo-lavori manuali preparati ad hoc che mostrano il lavoro dell’operatore umanitario come banale e che chiunque potrebbe improvvisare, persino Paola e Filiberto”.
Irregolarità nei permessi. Altro aspetto controverso quello dei permessi per realizzare le riprese nelle zone interessate dal programma, in alcuni casi, come in Congo e Sud Sudan negati alla troupe della Dinamo srl (società di produzione di Mission). Secondo i documenti in possesso di Fulvio Beltrami il governo Sud Sudanese avrebbe accusato gli organizzatori di Mission di non aver rispettato le regole concordate per le riprese del programma nel 2012 “non avendo consegnato copia delle riprese per essere visionata dalle autorità predisposte al fine di assicurarsi che il contenuto non danneggiasse la dignità dei cittadini sud sudanesi sfollati e la reputazione del giovane paese africano, che ha ottenuto l’indipendenza dagli Arabi del Nord Sudan nel 2011 dopo oltre vent’anni di guerra civile”. Il blog lancia l’accusa di aver usato addirittura un volo umanitario per permettere ai vip e agli organizzatori di raggiungere il Congo dopo il rifiuto dei permessi. Le riprese sarebbero quindi state effettuate senza rispettare le leggi locali e senza richiedere le dovute autorizzazioni.
A chi vanno i soldi di Mission? Quando andrà in onda, il prossimo 4 dicembre, il programma conterrà al suo interno anche una richiesta di aiuto (attraverso un sms solidale) per le popolazioni visitate durante le riprese. Secondo African Voices il ricavato non andrà alle popolazioni coinvolte ma alle due organizzazioni, Intersos e Unhcr. Dubbi vengono sollevati anche rispetto al soggiorno dei Vip, che avrebbero alloggiato in alberghi di lusso, e ai loro compensi. Unhcr, dal canto suo, garantisce che “i fondi raccolti verranno destinati ai paesi (e non ai campi visto che non si tratta sempre di campi) oggetto delle riprese come da accordi con la RAI e con le compagnie telefoniche”.
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