Parla il parroco don Albanesi, che si costituisce parte civile contro l'aggressore...
«La mano che ha ucciso Emmanuel è la stessa che ha messo le bombe nelle chiese». Non ha dubbi, don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco di Fermo e della Fondazione Caritas in veritate, che gestisce il progetto di accoglienza di 124 migranti (su 480 totali presenti sul territorio della provincia marchigiana), nel seminario messo a disposizione dall’arcivescovo metropolita Luigi Conti. Proprio il sacerdote, a gennaio, aveva unito in matrimonio Emmanuel e la fidanzata Chimiary, con una cerimonia dai soli effetti religiosi e non anche civili, perché la coppia non aveva i documenti necessari. Don Albanesi - che in serata ha ricevuto la telefonata di solidarietà del presidente del Consiglio, Matteo Renzi - si costituirà parte civile nel processo contro l’aggressore e mette in stretta correlazione quest’ultimo episodio con le intimidazioni alle quattro parrocchie fermane in prima linea nell’accoglienza di migranti ed emarginati. Tra febbraio e maggio, infatti, ordigni esplosivi hanno provocato ingenti danni ad altrettante chiese, tra cui quella di san Marco alle Paludi, di cui don Albanesi è parroco.
Come ha maturato questa convinzione?
Non si tratta di una semplice sensazione. La mano e la matrice razzista sono le stesse. Dopo quest’ultimo, gravissimo episodio, chiedo formalmente alla Procura e alle istituzioni di cambiare atteggiamento di fronte a queste espressioni di arrogante violenza. Vanno bene la vicinanza e la solidarietà, ma non l’atteggiamento a mio modo di vedere troppo “soft” rispetto a questi fatti. Gli aggressori sono conosciuti da tempo dalle forze dell’ordine e quindi vanno subito fermati. Non si tratta di ragazzate. Basta con questo clima melmoso che, da un po’ di tempo, caratterizza il nostro territorio.
Come si affronta questa escalation di violenza razzista?
Per quel che mi riguarda, non ho intenzione di fermarmi nell’accoglienza di migranti e richiedenti asilo. Io non ho paura. Anzi, fatti come questa aggressione vigliacca e gratuita mi spingono ad andare avanti con ancora più convinzione, forte del sostegno del mio vescovo, che mi ha dato il permesso di costituirmi parte civile nel processo e, fin da subito, ha concesso l’uso degli spazi del seminario per accogliere i profughi.
Che pensieri le suggerisce la vicenda di questo giovane che, sfuggito alla guerra, viene ucciso dove invece credeva di aver trovato rifugio?
Dobbiamo pregare e chiedere perdono per non aver saputo proteggere e accogliere una giovane vita, sfuggita al terrore per trovare poi la morte in Italia. Ora il pericolo da scongiurare è una escalation di nervosismo tra i profughi o in città. Non accettiamo vendette.
Paolo Ferrario
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