Non sfuggirete all'amore Giovedì

La chiave del mistero è l'amore. Dio mi ama come figlio. È molto difficile sfuggire a questo amore. Forse lo stesso dolore mi spiega la portata di questa “passione” che Dio ha per me e che mi racconta nella parabola del figliol prodigo.

Non sfuggirete all’amore Giovedì

da L'autore

del 01 gennaio 2002

La chiave del mistero è l’amore. Dio mi ama come figlio. È molto difficile sfuggire a questo amore. Forse lo stesso dolore mi spiega la portata di questa “passione” che Dio ha per me e che mi racconta nella parabola del figliol prodigo.

LODI: salmo 22 salmo 38 – Cantico di Ezechia (Isaia 38)

VESPRO: salmo 27 – salmo 51 – Cantico di Giobbe (6,7,9; 16-19)

LETTURE: Isaia 53 – Lettera ai Filippesi (tutta) – Giovanni 9

Non sfuggirete all’amore

Ieri sera in fraternità è stata una cosa terribile. Un drogato robusto come un toro è finito da noi durante la messa.

Per fortuna eravamo alla fine della Liturgia e lui che non ne poteva più è uscito con noi che non ne potevamo più per l’agitazione che la sua presenza inquieta aveva trasmesso all’assemblea in preghiera.

In cucina mi chiese un caffé fissandomi con due occhi che è difficile dimenticare perché sembravano quelli di un animale braccato da parecchi giorni e giunto alla fine della sua resistenza.

Se ne versò mezza tazza sulla giacca per il tremore della mano e poi si rovesciò con un tonfo a terra con delle convulsioni terribili e col vomito alla bocca.

Eravamo in quattro ma non riuscivamo a tenerlo fermo, tanto che andò a picchiare la testa contro lo spigolo della stufa.

Nella mia mano c’erano sangue, caffé e bava.

Gli mettemmo un cuscino sotto la testa, coricato così per terra perché in quell’istante non ci sentivamo di portarlo al primo piano dove ci sono le brandine dei fratelli.

Si appisolò un istante, poi aprì gli occhi pieni di una tristezza infinita e mi chiese un qualunque surrogato di droga.

Aveva resistito tutto il giorno senza droga ed ora non ne poteva più.

Riprese a dimenarsi come un ossesso.

Più tardi venne un medico e gli fece un’iniezione.

Poi vennero quattro infermieri e lo portarono al neuro.

Questo che ho raccontato è la traduzione moderna della parabola antica di Luca: quella del figliol prodigo.

Al tempo di Gesù le cose erano più semplici e la fuga da casa era dovuta quasi sempre alla voglia di “divorare i propri averi con prostitute” (Luca 15, 30).

Erano uomini più sani.

Oggi, averi, salute, speranze, sono divorate dal l’uomo in fuga, dalla droga.

Ma la storia è uguale anche se più drammatica e violenta.

E soprattutto più chiara.

Quante cose mi ha spiegato la droga nella sua spietata logica del piacere!

Direi che ha rimpicciolito lo spazio dell’isola dove l’uomo è in fuga.

Dice Luca che il figliol prodigo, venduta ogni cosa, andò in un paese lontano.

Per noi non esiste nemmeno il paese lontano; basta girare l’angolo e ritrovarsi con un gruppo di simili in uno squallido alloggio nascosto dove al suono del solito giradischi si ha la possibilità di iniettarsi una razione di LSD.

Ma dicevo che l’isola è più piccola attorno al figliol prodigo e il risultato più immediato, le conseguenze più radicali, la lezione più chiara: lontano dal Padre non si può vivere a lungo: c’è la morte.

E questa arriva prima.

Le prostitute divorano più lentamente e meno radicalmente della droga.

L’LSD ha il potere di farti molto più male.

A tavola, in fraternità, abbiamo discusso molto sul fatto della droga.

Ciò che ci aveva maggiormente impressionato era la forza erculea del drogato che si riduceva a un nulla davanti alla morsa del male.

Il figliol prodigo della parabola era stato piegato dalla fame, il drogato di ieri sera era bloccato dagli stessi effetti della droga.

Non si riesce ad andare molto lontano sulla via dei nostri gusti sbagliati!

Ci pensa qualcuno o qualcosa a fermarci.

Mai avevo visto così evidente la missione del dolore nella vita dell’uomo.

Che sarebbe dell’uomo senza l’effetto del dolore fisico?

Chi lo fermerebbe?

Chi lo avvertirebbe del male che si sta facendo? Chi gli farebbe notare con energia le conseguenze delle sue esagerazioni? Delle ferite inflitte alla natura?

L’uomo è libero di gozzovigliare e di vivere sovvertendo l’ordine delle cose, ma incontrerà sulla strada puntualmente la sofferenza che lo atterrerà.

È libero di allontanarsi da Dio che è ordine, natura, vita, ma Lui, proprio Lui, lo circonda di una tale siepe, gli riempie la strada di tali spine da convincerlo con la forza che è meglio fermarsi e forse... tornare indietro.

Non riuscirà l’uomo ad eludere la natura che è un grande segno di Lui.

Non riuscirà a togliersi la paura anzi il terrore che la morte gli sa mettere addosso.

In fondo ciò che conta è fermarsi a tempo.

Mi torna alla mente la storiella di Pinocchio che è insensibile al dolore perché è di legno.

Ma il giorno in cui abbandona la sua gamba nel camino, vicino al fuoco, la sua insensibilità al dolore diviene il suo maggior pericolo e minaccia di bruciare tutto.

Pare una sciocchezza il dirlo ma: cosa capiterebbe se non ci fosse il dolore a sensibilizzarci a tempo, ad avvertirci?

Chi avrebbe fermato il drogato di ieri sera? Chi avvertirebbe l’alcolizzato del disordine in cui vive?

L’uomo è talmente malato di peccato, è talmente assetato di piacere che se non trovasse la siepe del dolore diverrebbe satanico in poco tempo.

Nulla si frapporrebbe alle sue voglie.

Sarebbe disposto a camminare sui cadaveri pur di soddisfare alle sue richieste.

E non lo vediamo forse nei ricchi e nei potenti: la possibilità di distruzione? Dove non giunge un potente nella sua libidine di possesso? Nella sua possibilità di schiacciare i deboli?

E non è forse meglio che qualcuno o qualcosa lo avverta a tempo prima che si avveri ciò che dice Matteo al capitolo XXV del suo Vangelo?

“Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno, perché avevo fame e non mi avete sfamato, avevo sete e non mi avete dissetato, ero ignudo e non mi avete vestito” (Matteo 25,41).

Eccoci giunti al punto esatto del perché del dolore: avvertimento.

Direi che il terribile effetto che il dolore fa su di noi, la tremenda paura che ci mette addosso è lì per dirci: “Sta’ attento, uomo. lo dolore sono soltanto un messaggero, un segno.

Tu, uomo, non devi avere paura di me che in fondo ti rendo un servizio, devi avere paura di ciò che rappresento.

lo dolore sono segno della separazione temporanea.

lo morte sono segno di una separazione eterna.

Quella sì che devi temere!”.

Torniamo alla parabola del figliol prodigo che è la più bella parabola del Vangelo e che ciascheduno di noi vive identificandosi normalmente nel figlio più giovane.

La nostra fuga è la prova che non crediamo a Dio, che non crediamo alla vita, alla luce, all’amore.

Il padre che è l’amore sa che l’amore non si può imporre e ci lascia fuggire.

E noi partiamo.

Alla vita preferiamo la non vita, alla verità la menzogna, all’amore l’odio e l’egoismo.

E ne facciamo esperienza. E ciò che è terribile nella parabola è che se avessimo trovato ciò che cercavamo, a casa non saremmo più tornati.

Per fortuna le cose non erano come avremmo desiderato e al posto del pane troviamo ghiande, al posto di godimento, carestia.

Anche gli amici non sono amici lontani da Dio e gli aiuti non sono aiuti.

C’è da stupirsi di tutto questo?

C’è da restare sorpresi se tutto si mette contro? Direi che le stesse cose sono più intelligenti di noi e cercano di aiutarci mettendosi contro di noi.

Guai se non facessero così e ci dessero gusto mentre noi ci stiamo rovinando definitivamente.

Chissà poi se il padre non mette anche la sua per contribuire ad avvelenarmi l’esilio.

lo ci credo.

Lui ha amici dappertutto e può molto. Chissà che non abbia scritto qualche lettera in questo paese ad amici: “È lì da voi mio figlio? Vi prego di non aiutarlo, anzi... rendetegli dura la vita... è l’unico modo per fargli capire le cose”.

Può darsi.

Il Vangelo non lo dice ma io lo penso.

Oh! se potessi fuggirei ancora! Se ci fosse qualche speranza di trovare una strada lontano da casa...

Oh! se potessi sento che salterei ancora la siepe che è in fondo al campo del mio padrone che mi ha dato questi porci da guardare.

Ma non mi ci provo più.

Capisco ora che dopo quella siepe ci saranno altre siepi all’infinito.

Non mi resta se non la via del ritorno.

Mi ricordo ora di aver Inteso qualcuno dire: la sofferenza è la prova che Dio non esiste.

È impossibile per un Dio che è padre sopportare il dolore del figlio!

Stasera ho netta l’impressione del contrario.

Proprio perché esiste... Lui ha inventato il dolore per inseguirmi.

L’amore ha una logica inesorabile e...

Io so che mi ama molto.

Il suo amore lo spinge ad avvelenarmi la fuga. Non vuole che io resti lontano da lui, non può sopportare un simile pensiero.

Mi ha lasciato libero di partire ma ha organizzato le cose in modo tale da obbligarmi a tornare.

Se io amassi, amassi veramente farei lo stesso.

Dobbiamo avere compassione per chi ama.

Forse è l’unica compassione che possiamo avere di Dio!

Per chi ama, la separazione è il male estremo specie se può diventare eterna.

Il dolore fisico è una bazzecola in confronto.

Che importa soffrire un po’?

Ciò che conta è tornare e restare assieme per sempre.

Interrogate chi sa amare, chi non è più capace di vivere dopo la separazione da suo figlio, chi è spezzato in due per la scomparsa della mamma, chi si butta giù da un ponte dopo la morte della fidanzata, chi è capace di attendere tutta la sua vita il ritorno del marito esiliato, imprigionato.

Domandate a costoro... se volete capire cosa sia l’amore e cosa sia l’angoscia provocata da tale amore quando esso viene deluso, separato, spezzato!

E che cos’ è tutto questo a paragone dell’amore di Dio?

Lui che per amore ha consegnato suo figlio alla morte per salvare noi dalla morte?

Sì, diciamo sempre “Dio è amore”, ma è tanto difficile capire la portata di una tale affermazione!

Ed è proprio perché ci mancano i termini di questo problema che non comprendiamo le cose di Dio.

Come capire la parola “inferno”, la parola “paradiso” senza partire dalla profondità di questo mistero dell’amore di Dio?

Tentiamo di salvarci con qualche paragone, ma essi valgono per quel che valgono e non giungono mai ad esprimere la pienezza contenuta nel mistero.

È certa una cosa; quando ho amato, veramente amato, ho capito che il male, il vero male sta nella separazione.

La separazione è insopportabile per chi ama.

lo quando penso di essere separato e di una separazione eterna dalla persona più amata perdo la testa.

Provate a pensarci e concretamente.

La mamma separata dal bimbo

lo sposo dalla sposa

l’amico dall’amico

il figlio dal padre

e... per sempre.

Questo sì che è insopportabile.

Un treno mi passa sul corpo e mi taglia in due.

Ma cos’è che è stato tagliato?

Il mio corpo o la mia vita?

Una combinazione chimica o la mia luce?

Un agglomerato di cellule o il mio Amore?

No, nessuno può tagliare la mia vita che è eterna.

Nessuno può tagliare la mia luce che continua a sussistere.

Nessuno può tagliare il mio Amore.

Noi siamo eterni, non possiamo più morire perché siamo innestati nella Vita eterna che è Dio.

Noi siamo innestati nella luce che è il Cristo.

Noi siamo uniti all’Amore che è lo Spirito Santo.

E nessuno può tagliare in due lo Spirito Santo.

Questa partecipazione alla vita divina nessuno ce la può togliere.

Ma ciò che nessuno può togliere, ciò che nessun treno può tagliare io lo posso togliere, io lo posso tagliare con la mia volontà.

lo mi posso staccare da Dio e questa è la mia vera morte.

Staccandomi dalla vita che è Dio

staccandomi dalla Verità che è Dio

staccandomi dall’Amore che è Dio

mi stacco da Dio

ed entro nella “non vita”

nelle tenebre, nell’odio.

A Dio che non vuole una cosa così orrenda resta il potere di avvertirmi.

E mi avverte.

E mi avverte col dolore.

È strano che gli uomini non vedano questo e che contestino il dolore come cosa irrazionale, come cosa inverosimile per un Dio che è amore.

Si è che essi non amano e non possono capire. Se amassero sfodererebbero anche essi le loro armi per fare in modo che il figlio torni a casa e la sposa rimanga per sempre con lo sposo.

No, non temete il dolore, temete ciò che indica.

Non temete la morte fisica che non esiste, temete la morte eterna che la morte fisica indica.

Quella sì temete, direbbe Francesco!

E sappiate che Dio ha fatto il dolore e la morte così orribili proprio per dirci che il vero dolore della separazione è orribile e che la vera morte – la seconda – è più orribile ancora.

Lo so che hai una domanda da farmi, la conosco.

Vuoi sapere il perché del dolore degli innocenti, il significato della sofferenza dei poveri, il perché della morte del Giusto.

Non lo sapevo il perché.

Quando ho conosciuto il Cristo me l’ha spiegato Lui.

Domandaglielo stasera: Lui te lo dirà.

E forse ti aggiungerà una frase che mi ha dato tanta speranza quando mi volle spiegare la salvezza universale, dovuta proprio alla vocazione che ha qualcuno di pagare per tutti.

“Non sfuggirete all’amore”.

Se nel Regno chiederemo agli innocenti che hanno sofferto per i peccatori, ai poveri che hanno pagato per i ricchi, ai torturati che hanno versato sangue per i prepotenti, se è stato giusto o sbagliato pagare così caro, ci sentiremo rispondere:“È stato necessario perché nessuno sfuggisse all’Amore”.

Carlo Carretto

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