Oggi siamo noi i discepoli di Gesù.

Omelia di Don Cesare Durola alla Festa dei Giovani 2008. «Siamo noi oggi i discepoli di Gesù, siamo noi i figli della luce, siamo noi i ragazzi di Don Bosco, non possiamo più far finta di niente. Oggi siamo noi i discepoli di Gesù, i suoi amici, siamo noi che dobbiamo testimoniarlo, siamo noi che dobbiamo portarlo alle persone che ci vivono accanto e se non lo facciamo noi non lo fa nessun altro...».

Oggi siamo noi i discepoli di Ges√π.

da Feste dei Giovani

del 10 marzo 2008

 

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Siamo venuti in tanti oggi in questa valle di Panuel e ci siamo lasciati coinvolgere, a mano a mano, dalla storia di questo paese che, come ci ricordava il cantastorie all’inizio, è una storia che ci sta già guardando dentro e pian piano siamo già parte di questo grande ingranaggio, di questo grande orologio, che tra non molto inizierà a battere e prenderà vita.

 

 

Se siamo qui in tanti è perché siamo stati convocati, perché ci siamo fidati di qualcuno: del nostro don, della nostra suora, del nostro amico o amica che ci ha invitati a venire qua, o dalle esperienze fatte gli anni passati. Ci siamo lasciati interpellare, ci siamo messi in discussione… Forse avevamo anche altre cose da fare, ma siamo qua, e abbiamo composto questa grande assemblea intorno all’altare del Signore. Ci siamo fidati…

Nella nostra vita, però, quante occasioni abbiamo già perso? Quante volte non abbiamo avuto il tempo? Avevamo altre cose più importanti da fare…

Quante volte non abbiamo ascoltato le persone che ci volevano bene e che ci davano consigli, che cercavano di guidarci?

Non abbiamo voluto ascoltarle, perché forse abbiamo ascoltato le persone sbagliate, e ci siamo accontentati di sederci su un marciapiede, quello di tutti i giorni, e anche noi abbiamo mendicato, un po’ di affetto, un po’ di attenzione, qualche verità giornaliera, che dura dalla mattina alla sera, lasciandoci ancora più fame di amore e ancora più sete di verità.

Quante persone ascoltiamo ogni giorno… Dobbiamo imparare a discernere: è arrivato il momento di combattere i falsi profeti della nostra vita, della nostra società.

Non dobbiamo più lasciarli parlare questi falsi profeti, li dobbiamo cacciare dalle nostre città, dobbiamo combattere quella massa di curiosi che, come ai tempi di Gesù, seguivano le storie della gente, che mettono sulle prime pagine le tragedie delle persone, banalizzando i loro sentimenti, la loro dignità, che hanno trasformato la nostra fede in una scelta tra le tante, che hanno trasformato la Parola di Dio in una favola da raccontare ai bambini prima di metterli a letto e hanno reso Gesù una persona non più credibile, non più importante per la nostra vita.

Dobbiamo cacciare i farisei del nostro tempo che hanno colorato di grigio le nostre città con il loro egoismo, la loro indifferenza, che hanno strumentalizzato i problemi della nostra storia per arricchirsi ancora di più, per aumentare il loro potere, e hanno pian piano costruito attorno a noi un nuovo muro, fatto di sensi di colpa; hanno trasformato la nostra fede, le nostre relazioni, in formalismo, vuoto, senza più significato.

Non dobbiamo più credere a certi adulti e al loro perbenismo, a quegli adulti che non vogliono mollare i loro compromessi, ma che hanno scaricato su di voi, giovani, le loro responsabilità, perché non vogliono abbandonare la loro vita privata, i loro comodi.

Dobbiamo cacciare questi profeti, e dobbiamo imparare ad ascoltare le persone che ci sono accanto, le persone che ci hanno accompagnato nella vita, che ci hanno amato e ci amano, e allora capiterà anche a noi che ad un certo punto, nella nostra cecità, sentiremo avvicinarsi una persona, portata da qualcuno.

E quando i nostri occhi inizieranno a vedere delle ombre, cominceranno a vedere la luce, e ci accorgeremo che davanti a noi c’è la luce del mondo.

E allora facciamola entrare questa luce del mondo nei nostri cuori, dobbiamo avere il coraggio di spalancare la nostra vita a questa luce e di farla entrare.

Facciamo entrare Gesù nelle nostre case, nel nostro cuore, nelle nostre famiglie, nelle nostre relazioni, nei nostri affetti, facciamolo entrare nelle nostre scelte, nelle cose più intime della nostra vita; permettiamo a questo lievito che si impasti sempre di più con noi, perché Gesù non ha mai avuto paura di sporcarsi le mani, ha sempre camminato di villaggio in villaggio, di casa in casa, e si è seduto a tavola con i belli e con i brutti, con i poveri e con i ricchi, con quelli puliti e con quelli sporchi. Ma non basta: come l’olio sul capo del consacrato, lasciamo entrare Gesù fino alle giunture più profonde della nostra vita, fino al midollo.

Non dobbiamo aver paura di soffrire, di lasciare entrare una spada a doppio taglio che ci taglia le viscere. Lasciamo entrare Gesù nelle profondità del nostro cuore, fino a quel punto dove c’è il nostro marcio, dove ci sono i nostri peccati, dove c’è la nostra vergogna, perché è li che Gesù vuole arrivare: “Io sono venuto a salvare chi era perduto”, lì c’è il nostro segreto, lì c’è la parte di noi che non vorremmo mai vedere, che nessuno vorrebbe mai vedere.

 

Cari amici, se non ci lasciamo lavare i piedi da Ges√π non avremmo mai parte con Lui nel Regno dei Cieli.

Dobbiamo vivere questa esperienza della redenzione, dobbiamo lasciarci salvare da lui. Solo allora saremo in grado di liberarci di tutta la zavorra che ci portiamo dentro, saremo in grado di digiunare, finalmente, di togliere dal nostro cuore tutte le cose che non servono, tutti i nostri rancori, i ricordi, le cianfrusaglie che abbiamo accumulato nella nostra vita.

Allora la preghiera e il rapporto con Dio non sarà fatto più di parole, ma ci sentiremo visitati dal Signore, abitati dalla sua presenza, e pregare non sarà altro che guardarsi, contemplarsi. Pregare sarà vivere una vita insieme, dove Dio e io siamo una cosa sola. Allora fare l’elemosina sarà finalmente uscire dalle nostre case e andare incontro agli altri.

Siamo noi oggi i discepoli di Gesù, siamo noi i figli della luce, siamo noi i ragazzi di Don Bosco, non possiamo più far finta di niente. Oggi siamo noi i discepoli di Gesù, i suoi amici, siamo noi che dobbiamo testimoniarlo, siamo noi che dobbiamo portarlo alle persone che ci vivono accanto e se non lo facciamo noi non lo fa nessun altro; e siamo noi che siamo qua per fare esperienza di Lui, in un mondo che sta cambiando, in un mondo dove siamo costretti ad incontrarci con dei popoli nuovi, che ci portano a confrontarci con culture diverse a religioni che ci fanno paura, siamo noi che dobbiamo essere i testimoni, che dobbiamo dire alle nuove generazioni e hai popoli che non ci conoscono che cosa vuol dire essere cristiani e non lo possiamo più fare con le parole o le belle prediche, ma ricominciando a vivere da cristiani, ad amarci da cristiani, a perdonarci da cristiani, a  vivere come Gesù ci ha insegnato: solo così chi non conosce Gesù lo potrà incontrare.

Allora saremo in grado di lavarci i piedi gli uni gli altri: non è fare gesti di carità, ma è prenderci sulle nostre spalle gli altri, dire all’altro “tu mi appartieni, i tuoi problemi sono i miei problemi, tu mi interessi e tutto ciò che ti capita è mia responsabilità e se ti manca la dignità, il fatto che tu abbia una dignità e dei diritti è affare mio, mi coinvolge in prima persona”.

Allora avremo il coraggio, come ragazzi e giovani eucaristici, di portare sull’altare del Signore il nostro sacrificio ogni giorno, perché non vogliamo più essere manipolati, non vogliamo più che il mondo ci applauda. Il mondo ci deve dare ancora dei pazzi, il mondo si deve scandalizzare di noi, il mondo deve ancora perseguitarci, perché non vogliamo essere delle pecore di un gregge mansueto guidato da mercenari.

Allora non abbiate paura quando nell’intimo del vostro cuore vi sentirete chiamare. Magari vi chiamerà per seguirlo: andate, lasciate tutto e andate, e se anche avrete un po’ di vertigini o la pelle d’oca, non abbiate paura quando vi sentirete sussurrare nel cuore  “Tu sei prezioso veramente hai miei occhi”.

Quando sentirete questa voce, anche se balbettando, diteglielo: “Io mi fido di Te. Tu sei la mia vita. Io credo in Te Signore”.

Don Cesare Durola

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