In quel 27 gennaio, all'apertura dei campi di concentramento, ci doveva essere anche un grande giocatore e allenatore di quei tempi: Arpad Weisz. Però Weistz non ce l'aveva fatta. Non basta un solo giorno all'anno per ricordare quei tragici momenti: bisogna portarsi dentro il proprio cuore una speranza...
Il 27 gennaio 1945 quando venivano aperti i cancelli di Auschwitz dagli americani per liberare i milioni di ebrei imprigionati in quei campi di sterminio finì un vero e proprio genocidio, un incubo durato per molto - troppo - tempo. In quel 27 gennaio, all'apertura dei campi di concentramento, ci doveva essere anche un grande giocatore e allenatore di quei tempi: Arpad Weisz. Però Weistz non ce l'aveva fatta, era stato ucciso assieme alla sua famiglia l' anno prima, a causa delle abominevoli legge vigenti all' epoca, che ancora oggi non trovano senso.
Per chi non lo conoscesse Arpad Weisz è stato il primo allenatore che scese in campo con la squadra durante gli allenamenti e che dirigeva i giocatori in prima persona. E' stato lo scopritore di Giuseppe Meazza, il calciatore che ci ha fatto arrivare primi a due Mondiali e che è passato alla storia per le montagne di gol segnate con la maglia dell' Inter. Purtroppo il regime fascista lo rubò al calcio e, insieme alla sua famiglia, lo portò ad Auschwitz, dove trovò la morte.
Se dovessimo fermare la vita di Weisz in un momento specifico sicuramente lo faremmo in quella trentaquattresima giornata della stagione 1929/1930, quando l'allenatore ungherese portò alla vittoria del primo Scudetto a girone unico l'Inter: l'Ambrosiana Inter aveva 50 punti, giocava contro il Modena e staccò di due punti il Genoa.
Ma purtroppo la sua vita, e quella della sua famiglia, ha trovato una fine orribile in un campo di concentramento, per motivi e leggi assurde. L' unica cosa che possiamo fare, non riuscendo a tornare indietro nel tempo per evitare quel genocidio, è ricordare.
Ricordare una persona importante per il calcio come Arpad Weisz, la sua famiglia, ma anche tutti gli altri sei milioni di morti che quegli anni di follia si portarono dietro. Come dice Primo Levi, se un genocidio è avvenuto una volta può avvenire anche una seconda, e questo non deve accadere.
Ma non basta un solo giorno all'anno per ricordare quei tragici momenti: bisogna portarsi dentro il proprio cuore una speranza, ma anche la certezza, che quei brutti giorni non tornino più, e che tutto il mondo possa vivere in modo sereno e con la pace che unisce tutte le popolazioni.
Marco Lo Prato
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