Omelia: 1° domenica di Avvento - “Tu sei nostro Padre!”

«Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani». Questa affermazione del profeta Isaia tratteggia bene la situazione del cristiano che, ogni anno, si ritrova a vivere un nuovo anno liturgico...

Omelia: 1° domenica di Avvento - “Tu sei nostro Padre!”

da Quaderni Cannibali

del 24 novembre 2011 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) {return;} js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk'));  Letture:        Isaia 63, 16 - 64, 7               1 Corinzi 1, 3-9                     Marco 13, 33-37 «Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani» (Is 64,7). Questa affermazione del profeta Isaia, che ascolteremo nella prima lettura, tratteggia bene la situazione del cristiano che, ogni anno, si ritrova a vivere un nuovo anno liturgico, ritmato dalla vita e dal vangelo di Gesù: vita e vangelo che devono modellare l’esistenza stessa del cristiano. Siamo chiamati a diventare noi «vangelo», attraverso l’accoglienza e l’adesione a questo mistero. Accoglienza e adesione che cominciano da una certezza: «Signore, tu sei nostro padre». Certezza di essere, dunque, figli amati, creati, modellati e plasmati da lui: «noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani». Che meraviglia, che stupore sapere di essere in queste mani! Che gioia e che forza ci dovrebbe comunicare questa affermazione! Iniziando così l’Avvento, credo che sia più facile fare nostro il grido di questo tempo liturgico: «Maranatha, Vieni Signore Gesù»; un grido che è certezza di una presenza, speranza di una pienezza di vita con lui. Maranatha! Maranatha!Il cristiano sa che il Signore è presente e non abbandona nessuno.  Il profeta Isaia, nella sua riflessione, parla con Dio e più volte gli racconta come vanno le cose: male. “Il nostro cammino è un vagare lontano dalle tue vie, dice Isaia parlando a nome di tutto il popolo; abbiamo peccato contro di te e siamo stati ribelli; le nostre azioni sono come panno immondo, siamo avvizziti come foglie secche, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento; abbiamo sbagliato e tu ci hai lasciato in balia delle nostre iniquità”. Di fronte a questa realtà, Isaia ricorda il passato: non è sempre stato così, ci fu un tempo in cui il Signore compiva per il popolo cose terribili, apriva la strada davanti ai nemici… Isaia, ricordando il passato, invoca il Signore e gli dice: torna da noi. È curioso l’argomento che il profeta usa per convincere il Signore; non dice, per esempio: abbiamo capito il nostro errore e non lo rifaremo più; oppure: adesso ci impegniamo, siamo migliorati. Non fa leva sulla propria determinazione a cambiare, ma sui sentimenti di Dio: «Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani». La salvezza è proprio questa: la fedeltà di Dio! Dunque proprio questo brano ci aiuta a capire l’invito di Gesù del vangelo a vegliare, a non spegnere in noi l’attesa; Isaia ci ricorda che Colui che attendiamo non è uno sconosciuto: già l’abbiamo incontrato, già si è preso cura di noi, già ci ha manifestato il suo amore e la sua clemenza. Egli è fedele e non dimentica. Occorre qualificare l’attesa con la memoria, il ricordo di un Dio per noi e con noi sempre! Un’attesa fatta di amore, di desiderio. Quanto desiderio c’è nel grido di Isaia: «Se tu squarciassi i cieli e scendessi!». Quanto desiderio e speranza nel salmo di questa domenica: «Signore, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi». Chi ama il Signore lo desidera; chi lo desidera lo attende; chi lo attende veglia, non si lascia andare. Come vegliare? Cosa fare? Sono domande giuste, ma prima di tutto c’è un “chi” attendere. Se il nostro desiderio non è tutto per il Signore Gesù Cristo, personalmente amato, il fare ha poco significato. Cari amici, in questa prima domenica di Avvento, la Parola ascoltata è una grande invocazione di speranza. «Se tu squarciassi i cieli e scendessi!». Non è un pio desiderio ma è l’invocazione di un dono che è già stato fatto. Gesù Cristo ha già squarciato i cieli ed è disceso perché nessuna situazione di disagio, di incertezza o di peccato fosse senza uscita. Egli ha vinto la morte. È questo il vero e ultimo desiderio di ogni uomo, la vocazione del cristiano: la risurrezione dei morti, l’ultima speranza dell’uomo. L’Avvento, nella celebrazione dell’unico Mistero di salvezza ci fa riappropriare di quel culmine e di quella sorgente che è capace in sé di nutrire la fede, la speranza e la carità dei credenti e di rivelarli al mondo. È l’eucaristia che celebriamo e dalla quale anche la nostra fede, ora in questo momento viene nutrita. Vieni Signore Gesù! Maranatha! «Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani». Vieni Signore Gesù! Maranatha!

Don Carlo Maria Zanotti

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