262 padri sinodali e 94 invitati tra esperti e uditori, hanno ascoltato Benedetto XVI prendere la parola, a braccio, all'interno di un'Aula del Sinodo gremita di berrette rosso porpora e viola. Il Sinodo seguirà l'iter di sempre. Dopo gli interventi liberi dei padri sull'argomento, verranno votate e quindi presentate al Papa delle proposizioni. Queste gli serviranno per scrivere e pubblicare una esortazione...
Nato da un’idea di Paolo VI che lo istituì nel 1965 per mantenere viva l’esperienza del Concilio Vaticano II, il Sinodo dei vescovi, la cui tredicesima edizione è dedicata al tema della nuova evangelizzazione e della trasmissione della fede, ha visto iniziare i lavori ieri (tutto si concluderà il 28 ottobre) in Vaticano.
262 padri sinodali e 94 invitati tra esperti e uditori, hanno ascoltato Benedetto XVI prendere la parola, a braccio, all’interno di un’Aula del Sinodo (dietro il palazzo dell’ex Sant’Uffizio) gremita di berrette rosso porpora e viola. Nelle sue parole, pronunciate in piedi innanzi all’assemblea, la prima importante indicazione di metodo: “Il Sinodo non è un’assemblea costituente” ha detto.
Alle diverse spinte perché il Papa adotti il Sinodo dei vescovi come il luogo dove governare collegialmente la chiesa, e non principalmente come momento di consultazione, Ratzinger ha risposto da subito citando gli apostoli: “Gli apostoli non hanno varato la chiesa con la forma di una costituente che doveva fare la costituzione” ma come una comunità che quando si riunisce “ascolta l’iniziativa di Dio”.
Se, almeno in Italia, dal post Concilio a oggi la spinta per un governo più collegiale è arrivata principalmente dalla scuola di Bologna che fu dei compianti Giuseppe Alberigo e don Giuseppe Dossetti – memorabile lo scritto “L’officina bolognese, 1953-2003” nel quale chiedevano “la creazione di un vero e proprio organo che insieme al vescovo di Roma presieda agli aspetti comuni della vita delle chiese in analogia con il concistoro medievale e con il sinodo permanente orientale”. E ancora: “Sarebbe necessario riconoscere al sinodo dei vescovi una capacità legislativa vera e propria” – oggi sono invece le chiese di lingua tedesca a chiedere riforme in questo senso. Riforme che, almeno stando alle parole del Papa di ieri, non sembrano essere all’ordine del giorno.
Il Sinodo seguirà l’iter di sempre. Dopo gli interventi liberi dei padri sull’argomento, verranno votate e quindi presentate al Papa delle proposizioni. Queste gli serviranno per scrivere e pubblicare una esortazione post sinodale e cioè un documento che raccoglie, rielabora e propone quanto da quelle preposizioni è stato recepito.
Oltre le indicazioni di metodo, il fuoco del Sinodo. Per il Papa è l’annuncio della fede. “Il cristiano” ha detto in questo senso “non deve essere tiepido. E tiepido, senz’altro, non è stato il relatore del Sinodo, l’arcivescovo di Washington Donald William Wuerl, “conservatore ma creativo” e cioè fedele alla dottrina ma aperto al mondo secondo il vaticanista americano John Allen.
Ieri Wuerl ha tenuto la sua “relatio ante disceptationem” dove ha detto chiaro che i nemici dell’annuncio cristiano sono esterni alla chiesa ma anche interni. Fuori c’è la “secolarizzazione”, uno “tsunami – ‘maris aestuantis impetus’ ha detto citando in lingua latina – che ha scardinato tutto il paesaggio culturale, portando via indicatori sociali come il matrimonio, la famiglia, il concetto di bene comune e la distinzione fra bene e male”.
Dentro, nella chiesa, c’è stato il post Concilio. Cioè? C’è stata “l’ermeneutica della discontinuità che ha permeato gran parte degli ambienti dei centri d’istruzione superiore e che ha avuto anche riflessi in aberrazioni nella pratica della liturgia”.
Poco dopo l’intervento, davanti a una cinquantina di giornalisti riuniti nella sala stampa vaticana Wuerl ha ulteriormente sviscerato questi concetti. “La secolarizzazione, unita all’individualismo e al laicismo, ha svilito tutto l’ordine naturale. È uno tsunami che ha colpito principalmente il mondo occidentale. La divisione fra bene e male, l’evidenza che esiste un ordine naturale” a cui piegarsi “sono state annientate”.
È per questo motivo che oggi sembra d’essere “ai tempi della chiesa paleocristiana. Oggi, ha detto, “dobbiamo fare come la chiesa paleocristiana che comunicava il Vangelo a chi non ne sapeva nulla”. Ma questa comunicazione non può essere fatta “tradendo la propria identità” ha ricordato ritornando sui tradimenti post conciliari. E ancora: “Dopo il Concilio “è dovuta arrivare la nuova stesura del catechismo per ricordare a tutti cos’è la dottrina”.
Già ieri pomeriggio c’è stato il via ai primi interventi il cui contenuto viene però comunicato soltanto nella giornata di oggi. La prassi dei lavori è la seguente: di mattina i padri intervengono secondo una scaletta predefinita e non possono parlare più di cinque minuti. Nel pomeriggio gli intervento sono invece liberi e non possono superare i tre minuti. Il Papa, invece può intervenire come e quando vuole.
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